martedì 24 giugno 2014

Imposte ambientali ed esternalità - Parte 3 - D209

Terza e ultima puntata con Andrea Molocchi e Donatello Aspromonte, autori di uno studio che confronta il valore economico dei danni ambientali legati alle varie attività (in gergo le esternalità ambientali) con quello delle imposte ambientali (che dovrebbero far pagare gli stessi costi a chi li causa).

Riguardo ai risultati dello studio rimando alle puntate precedenti.
Qualche commento invece sulla metodologia del calcolo delle esternalità: come si dà un prezzo agli effetti indesiderati di un’attività? L’abbiamo visto altre volte in Derrick: per calcolare i costi esterni ambientali occorre tra le altre cose quantificare sia un valore monetario della vita (per esempio il costo del modo più economico di preservarla, o il reddito effettivo o potenziale di quella persona), sia la quantità di vita persa, per esempio a causa dell’esposizione a sostanze tossiche, dato, quest’ultimo, che si ricava da studi epidemiologici.

Quanto arbitrio c’è in tutto ciò? Forse ce n’è, ma molto meno, per esempio, di quanto ce n’è nel decidere una politica di investimenti pubblici senza studi costi-benefici, magari rincorrendo qualche tipo di retorica o moda momentanea. Sentiamo Andrea Molocchi:


Se avete ascoltato questa puntata, volete farlo sapere o fare commenti, scrivete a ioascolto@radioradicale.it. 
Grazie.

martedì 17 giugno 2014

Esternalità e imposte ambientali - Parte 2 - D208

Eravamo lo scorso martedì con Andrea Molocchi e Donatello Aspromonte, fondatori della società di consulenza ECBA project e autori di uno studio che confronta il valore economico dei danni ambientali legati alle varie attività (in gergo le esternalità ambientali) con quello delle imposte ambientali (che dovrebbero far pagare gli stessi costi a chi li causa) in Italia.

L’altra volta abbiamo visto che secondo lo studio da un lato le imposte ambientali in Italia coprono buona parte (ma non tutta) del valore economico dei danni ambientali, dall’altro però c’è qualcuno, come le famiglie e il settore dei servizi, che ne paga troppe rispetto al proprio uso dell’ambiente. Al contrario, altre categorie ne pagano troppo poche.

Nell’ambito in particolare dell’industria manifatturiera com’è la situazione? Sentiamo Molocchi:

[Molocchi 3]

Cosa manca, in particolare dalle pubbliche amministrazioni, perché incoerenze come queste vengano sanate? Aspromonte:


Se avete ascoltato questa puntata di Derrick su Radio Radicale, volete farlo sapere o fare commenti, scrivete a ioascolto@radioradicale.it .

Grazie.

martedì 10 giugno 2014

Esternalità e imposte ambientali - Parte 1

Al convegno dello scorso 21 maggio per il lancio di #MenoInquinoMenoPago di Legambiente e Radicali Italiani c’era tra i relatori Andrea Molocchi, fondatore insieme ad Antonello Aspromonte della società di consulenza ECBA project. Molocchi ha parlato di un recente studio di ECBA che confronta il valore economico dei danni ambientali legati alle varie attività (esternalità ambientali) con le imposte ambientali (che dovrebbero far pagare quei costi a chi li causa) in Italia.

Ho chiesto a ECBA Project di sintetizzare per Derrick alcuni risultati della ricerca.
Chiedo in particolare ad Andrea Molocchi quali sono i principali indicatori di danno ambientale utilizzabili per parametrare le imposte ambientali.


Ecco. Rispetto a questi indicatori noi in Italia paghiamo troppe o troppo poche imposte ambientali?


Dunque imposte ambientali più basse (anche se non di molto) delle esternalità legate alle emissioni atmosferiche dannose. Ma pagano tutti troppo poco o ci sono sperequazioni nel peso delle imposte ambientali? Lo chiedo a Donatello Aspromonte di ECBA Project.
Allora ricapitoliamo: da un lato le imposte ambientali coprono buona parte (anche se non tutta) del valore economico dei danni ambientali, dall’altro però c’è qualcuno, come le famiglie e il settore dei servizi, che ne paga troppe rispetto al proprio uso dell’ambiente.

Riprendiamo la prossima volta.

martedì 3 giugno 2014

Pro e contro dell'energia da biogas - Parte 3 - D206

Terza puntata sugli impianti di produzione di energia elettrica da biogas dopo una pausa di due puntate dedicate all’iniziativa di Radicali Italiani e Legambiante #MenoInquinoMenoPago.

Riassunto delle precedenti: gli impianti di cui parlo sono generalmente in zone agricole. Usano gas esito di un processo di digestione anaerobica di materiale organico, come scarti di lavorazione agroalimentare e prodotti agricoli ad hoc, per produrre elettricità e fertilizzante.
Il senso dell’operazione è ridurre alcune emissioni chimiche delle lavorazioni agricole e zootecniche e spiazzare la produzione di elettricità da fonte fossile. Ma le preoccupazioni e opposizioni a questi impianti non mancano. In parte, a mio avviso, sono serie, in parte per niente.

L’altra volta abbiamo trattato il tema della concorrenza tra uso energetico di prodotti agricoli e uso per produzione di cibo, preoccupazione da un lato ideologica dall’altro inutilizzabile (a meno di non voler obbligare qualcuno a produrre cibo anche se può usare in modo più proficuo le sue capacità economiche e non. Io stesso, per esempio, ora sto usando le mie capacità non per produrre cibo: sono per questo un pericoloso speculatore?).

Poi ci siamo occupati dei possibili impatti ambientali locali negativi degli impianti a biogas. Tema questo invece rilevante a mio parere.
Altro spunto da parte dei detrattori: l'uso energetico delle biomasse dipende dal fatto che ricevono sussidi.

Vero. È così per buona parte delle fonti energetiche rinnovabili del mondo. Il carbone è ancora di gran lunga il modo più conveniente per fare energia (anche quello più letale secondo la comunità scientifica e l'OMS oltre che il peggiore in termini di gas-serra emessi). Senza sussidi o politiche di incentivo a fonti più pulite (ma nessuna fonte energetica è del tutto priva di impatto) produrremmo ancora oggi energia quasi solo da carbone, petrolio e gas. Quando spegniamo una centrale da fonti cosiddette alternative, se ne accende una tradizionale (nell'elettricità funziona così, l'elettricità è ancora poco stoccabile).
Certo: è vero che un sussidio a un settore tende a ridimensionarne altri in concorrenza, anche in modo indesiderato. Ma da un lato l’agricoltura tradizionale è anch’essa ipersussidiata, dall’altro questo spiazzamento avviene continuamente e in mille modi nel progresso economico: ogni nuova tecnica di trasformazione e uso delle risorse interviene nel processo di competizione per l’uso delle risorse stesse.

Altro caveat sugli impianti a biogas: potrebbero non avere un bilancio energetico/chimico favorevole. Punto interessante e complicato. Quesito: un impianto a biogas o in generale a biomasse è in grado di ridurre nel complesso le emissioni dannose (in particolare il potenziale-serra di emissioni chimiche come quelle di metano) nell'ambito dell'intera area di territorio da cui riceve la biomassa? In altri termini: è più pulito rispetto all'attività della stessa area in assenza di impianto?
Il bilancio è positivo se lo è il bilancio chimico (e verosimilmente anche energetico). Ma valutarlo non è banale.

E attenzione: come abbiamo visto l’altra volta, se anche il bilancio è positivo ciò non significa che non ci sia un problema di impatto locale negativo nel punto in cui avviene la combustione di biomassa o biogas.