Mi ha colpito un articolo
sull’Economist del 3 giugno 2017 ("The everything makers - Indian state-owned companies", a pag. 57 dell'edizione cartacea), come sempre non firmato.
Parla di come nell’economia indiana sia forte la presenza delle aziende di stato eredità del passato socialista del paese. Aziende che perlopiù perdono soldi in settori competitivi dove non riescono a essere abbastanza dinamiche (Air India, in rosso dal 2007, ne è presa a esempio), oppure guadagnano in settori monopolistici.
Parla di come nell’economia indiana sia forte la presenza delle aziende di stato eredità del passato socialista del paese. Aziende che perlopiù perdono soldi in settori competitivi dove non riescono a essere abbastanza dinamiche (Air India, in rosso dal 2007, ne è presa a esempio), oppure guadagnano in settori monopolistici.
E aziende che secondo l'Economist da un lato dispensano
lavoro con finalità di welfare, dall’altro usano grandi quantità di capitale –
risorsa scarsa in India – spiazzando gl’investimenti privati e remunerandolo –
monopoli a parte – meno delle aziende private.
Il segmento dei monopoli
pubblici indiani, in particolare nell’energia, invece macina l’80% dei profitti
di tutte le aziende pubbliche, senza che però questi monopolisti siano
efficienti. Per esempio Coal India, nel settore del carbone, ha un output per
turno/uomo pari a un ottavo di quello di Peaboy energy, competitor
americano.
(Alcune) liberalizzazioni senza privatizzazioni
Dove liberalizzazioni e
concorrenza sono state introdotte, come nel caso dell’aviazione civile, le
aziende pubbliche indiane hanno massicciamente perso quote di mercato e
bruciato capitale pubblico visto che la loro privatizzazione invece è stata
perlopiù rimandata e le azioni sono quindi rimaste in mano allo Stato.
E in Italia?
Quanto
pesano nella nostra economia le aziende controllate dallo Stato?
Prendiamo le
tabelle del report “Italian leading companies” dell’ufficio studi di Mediobanca (link sotto) e scopriamo che nel comparto industria e servizi la prima azienda per fatturato
è saldamente il privatissimo gruppo FCA.
Dietro di lui però: Eni, Enel, Gestore
dei Servizi Elettrici (l’agenzia del Tesoro che gestisce i sussidi alle fonti
elettriche rinnovabili e altre partite energetiche regolate), Telecom (ora TIM,
non più del Tesoro ma operante anche nel settore regolato delle reti delle
telecomunicazioni), Finmeccanica. Poi arriviamo alla holding Edizione dei
Benetton, con partecipazioni importanti in settori monopolistici
regolati come autostrade e aeroporti, e finalmente a Edison, azienda acquisita
dalla francese EDF e che si occupa di segmenti puramente di mercato
dell’energia, a differenza del gigante Enel, controllato dal Tesoro, che fa una parte considerevole dei suoi utili nella gestione monopolistica delle reti con
tariffe stabilite dall’Autorità dell’Energia.
Ci sono differenze con
l’India? Direi di sì: parte delle nostre aziende a controllo pubblico
dimostrano almeno in alcuni dei loro business di essere competitive sui mercati
anche internazionali (ma con il pericolosissimo rischio di sussidi
incrociati dai settori in monopolio, a spese degli utenti italiani, in favore dei loro business competitivi).
La cosa poco diversa rispetto all’India è invece la vastità del giro d'affari di aziende controllate dallo Stato o attraverso la proprietà o in quanto arbitro delle regole di business monopolistici.
La cosa poco diversa rispetto all’India è invece la vastità del giro d'affari di aziende controllate dallo Stato o attraverso la proprietà o in quanto arbitro delle regole di business monopolistici.
È chiaro che queste osservazioni, limitate alle aziende più grandi per fatturato, sono influenzate dal fatto che tra le aziende private italiane ci sono pochissimi giganti. Ma al prossimo che si lamenta con me del pericolo del dilagare del "turboliberismo" e dell’economia privata di mercato chiederò di dirmi dove l’ha visto questo dilagare. Lo ammetto: è un posto dove mi trasferirei volentieri.
Link utili
Report Mediobanca: http://www.mbres.it/it/publications/leading-italian-companies
Caro Michele,
RispondiEliminaAscoltavo stamattina a RR la tua rubrica, come faccio di solito, e la chiusa mi ha fatto trasalire, quando dici che vorresti trasferirti in un Paese ove il turboliberismo la fa da padrone, ecc..ecc... E se il turboliberismo che ha già messo (e continua a mettere) le mani sull'acqua cosiddetta "pubblica", almeno in Italia, dovesse entrare ancora più pesantemente sulla gestione di questo elemento ? So che le città di Parigi e Berlino sono riuscite a de-privatizzare la gestione dell'acqua, con notevoli risparmi per l'utenza, tra l'altro. il che è paradossale: non dovrebbe la concorrenza ridurre le tariffe e migliorare il servizio ? Si, quando è concorrenza vera e non diventa monopolio. Non avendo la tv, forse ti sei perso la serie di documentari di Yann Arthus-Bertrand, la terra vista dal cielo. Le cose che ti mette davanti agli occhi fanno paura....
Claudio
Ciao Claudio, tieni conto che sul termine "turboliberismo" sono ironico. La nostra è un'economia a mio avviso fortissimo (e poco trasparente) intervento pubblico, pur con un welfare debole (ma non meno costoso che in altri paesi). Sull'acqua: penso che solo facendola pagare e remunerandone gli investimenti se ne valorizza l'importanza. Servizio pubblico, o universale, non vuol dire, per me, necessariamente metterlo in mano a partecipate (che fanno in molti casi parecchi soldi sul servizio idrico- vd acea - ma li usano per dare cedole ai comuni anziché per investire in rete, evidentemente).
EliminaVedo che la pensiamo diversamente e a maggior ragione ti ringrazio di seguirmi e dei tuoi commenti. Torna presto, Ciao!