domenica 18 dicembre 2022

PNRR e trasporti (Puntate 483 e 555 in onda il 4/5/21 e 20/12/22)

Puntata 555

Il tracciato dell'autostrada SA-RC
visto dal monte Pollino

Con mia sorpresa, nell’edizione delle 13.45 del giornale di radio Rai 3 del 17/12/2022 è stato menzionato, anche con una breve intervista all’autore, il libro “L’imbroglio” di Franco Maldonato sul progetto di ferrovia ad alta velocità Salerno-Reggio Calabria. Un tema di cui a Derrick parliamo da quando il testo del PNRR è stato reso noto, cioè da quasi due anni, e che Maldonato tratta con nitore e rilevanza.

Servono ferrovie affidabili, ragionevolmente veloci e in grado di raggiungere tutti i centri rilevanti, non opere faraoniche su direttrici separate da gran parte dei centri di interesse delle zone attraversate. Ha senso, si chiede Maldonato, abbassare i tempi tra Salerno e Reggio Calabria, ma continuare a non raggiungere, per esempio, Matera?

Il progetto segue per molti tratti grosso modo il tracciato dell’autostrada e si tiene lontano dalla costa da Salerno fino ad almeno Paola, nel cosentino. Nemmeno l’attuale stazione di Salerno sarà servita, né quella di Battipaglia, che sarebbero sostituite da altre fermate dedicate. Leggendo il progetto come descritto sul sito delle ferrovie, mi sembra di capire che le uniche aree che potrebbero vedere una migliore connessione, velocità a parte, sono i poli universitari di Fisciano e quello di Cosenza, serviti da due nuove fermate. (Ma c’è da chiedersi quanti abbiano interesse ad arrivare da molto lontano all’università con pochi treni veloci al giorno, anziché con servizi per pendolari regionali efficienti e frequenti).

Una linea ad alta velocità, lo abbiamo già visto in altre puntate (sotto, e link), richiede opere drasticamente più complesse di quelle di una linea convenzionale, con un uso estesissimo di viadotti e tunnel per aumentare i raggi delle curve e limitare i dislivelli. La velocità implica poi la segregazione rispetto alle stazioni convenzionali. Si tratta insomma di un’infrastruttura di fatto separata, poco interconnessa a quella tradizionale e che tende a favorire il trasporto tra pochi hub lontani isolando ancora di più i centri di valenza locale rispetto al passaggio di treni intercity, che essendo parzialmente in concorrenza con l’alta velocità tenderanno a diminuire.

Ma come nota Maldonato, il plauso al progetto di alta velocità arriva da quasi tutte le forze politiche. La narrazione è quella di un’opera per l’emancipazione del Sud, che come tutti gli slogan non vuol dire nulla a meno che non ci si chieda cosa s’intende. Emancipiamo il sud facendo risparmiare tempo all’uomo d’affari che lavora tra Salerno e Reggio Calabria e che non ha ancora imparato a usare le videoconferenze (magari un manager sull’orlo della pensione)? Oppure lo emanciperemmo rendendo più raggiungibili le località turistiche, vivibile la provincia e meno isolati i tanti bei borghi agonizzanti?

Anni fa pubblicai e ora ripropongo qui sopra la foto di quattro canne di tunnel autostradale a quasi mille metri d’altezza che si vedono dalle pendici in prossimità della cima del Pollino, insieme alla devastazione degli sbancamenti dei cantieri per raggiungerle: due tunnel nuovi, due già abbandonati della Salerno-Reggio Calabria. Autostrada oggi veloce e mastodontica, mentre la statale Tirrenica – lontanissima – è d’inverno spesso interrotta per frane. Ora anche l’Alta velocità ferroviaria, tra tunnel e viadotti, passerà in prossimità del Pollino dopo aver anche tagliato più a Nord gli Alburni, dice Maldonato in un’intervista su Youtube. E, aggiungo io, competerà per lo stesso traffico per cui fino a pochi anni fa si sono erette e scavate le opere dell’autostrada.

Come i futuristi di inizio Novecento, identifichiamo la modernità con l’ardore della velocità. A costo di ignorare la qualità della vita, l’ambiente, la bellezza e la connessione delle località intermedie, che forse contano di più. E nell’ansia di riuscire a spenderli, nemmeno ci chiediamo a vantaggio di chi andranno le decine di miliardi pubblici investiti in tunnel e viadotti e sottratti ad altro, perché a ben vedere forse il vero merito dell’alta velocità è proprio questo: far spendere decine di miliardi in fretta per rispettare il PNRR.


Puntata 483

Questa è Derrick e questo è il 179esimo giorno dal decreto del 6/11/2020 che chiuse le scuole per la
seconda volta senza che le superiori, anche nelle regioni più fortunate d’Italia, abbiano da allora mai più riaperto a pieno regime.

Parliamo anche noi di PNRR, in particolare di trasporti. Nel documento sono previsti circa 28 miliardi tra fondi UE e fondo complementare per ferrovie e strade, in buona parte dedicati alle ferrovie ad alta velocità. Come ha scritto Marco Ponti sul Domani il 27 aprile 2021 (link sotto), i progetti del Governo riguardo all’alta velocità ferroviaria richiederanno tra i 22 e i 28 miliardi, solo in parte coperti dai fondi UE, e sono stati deliberati senza alcuna analisi costi-benefici, in particolare senza un’analisi della domanda attesa per questo servizio.

Ecco alcune affermazioni sintetiche sull'alta velocità ferroviaria (alcune sono approfondite in altre puntate - link sotto)

  • L’alta velocità al Sud è una bella metafora, suggerisce integrazione e sviluppo
  • Le linee ferroviarie ad alta velocità costano enormemente di più di quelle normali in termini di denaro e uso di territorio. Costa anche molto di più muoverci sopra i treni (l’attrito dell’aria aumenta con il quadrato della velocità, andare molto forte ha costi enormi, da cui anche il mancato decollo della levitazione magnetica)
  • Non si possono interconnettere quasi per nulla (nemmeno nell’uso delle stazioni già esistenti lungo il tragitto) alle linee normali
  • Perfino nelle aree ad alto traffico riducono l’offerta intercity tra centri non serviti dall’alta velocità e anche per questo riducono la connessione di chi non è vicino a una grande città servita
  • Sono utili a chi è disposto a spendere molto per risparmiare poco tempo, cioè tipicamente a manager con impegni serrati che si alternano in diverse città. Un modo di lavorare che si sta riducendo con l'uso ormai diffuso delle videoriunioni. Un’idea non moderna quindi, ma di modernariato
  • Pagarle con soldi pubblici significa drenare risorse verso una minoranza di utilizzatori rispetto alla generalità del pubblico
  • Oltre al primo vantaggio menzionato (la suggestione positiva - ma fallace - dell’integrazione del Sud), l’alta velocità è un metodo relativamente semplice per spendere tantissimi soldi in un solo macroprogetto. Questo sì la rende utile a spendere con successo fondi europei
Poi, finiti i cantieri, resta un’infrastruttura molto invasiva e utile a pochi. La provincia, i borghi, la bellezza e il potenziale economico diffuso del nostro Paese restano disconnessi e pagano, solo per citarne una, la mancata manutenzione delle strade provinciali o mancati progetti di trasporto pubblico leggero extraurbano.

Se guardiamo al turismo: come si può affermare che serva un treno veloce per Reggio Calabria – che potrebbe fermare nel tragitto da Salerno solo in un paio di stazioni dedicate - più che uno affidabile, frequente e confortevole con soste nei principali centri della costa?

Una via francigena ciclabile avrebbe forse impatti più favorevoli in termini di rapporto costi-benefici, connessione territoriale e sociale, sviluppo, attrattività internazionale del Paese?

Il ponte pedonale più lungo del mondo
vicino ad Arouca (Portogallo)
Io credo di sì, ma non lo sapremo mai, perché l’analisi non c’è. Ci sono solo 600 milioni in tutto sulla viabilità ciclabile nel PNRR.

Del resto da noi fino a ora le poche vie ciclopedonali extraurbane si sono fatte solo dove qualche amministratore illuminato ha avuto l’idea di sfruttare vecchi tracciati ferroviari o argini percorribili. Perché non pensare oggi a infrastrutture ciclopedonali progettate ex novo, anche con opere civili, nei luoghi dove potrebbero avere il maggior potenziale?


Link

domenica 4 dicembre 2022

Aiuti alle bollette: Germania batte Italia, anche in intelligenza (Puntata 553 in onda il 6/12/22)

Tempio a Soi Dao (foto Derrick)
La scorsa puntata di Derrick è stata una di quelle che suscitano reazioni. Sono grato a chi si è fatto vivo con commenti e critiche, tra cui l’esperto del settore Luigi De Francisci che mi fa notare che se è vero che la tecnologia più costosa necessaria finisce per influenzare il prezzo di tutta l’energia, è anche necessario soprattutto con prezzi così alti prevedere sistemi di redistribuzione ai danni dei produttori con costi più bassi per finanziare gli aiuti.

De Francisci ha certamente ragione, come abbiamo anche visto in questa rubrica, ed è un approccio generale europeo che in Italia chiamiamo recupero degli “extraprofitti” ma che stando a dati consuntivi e previsioni è in grado di coprire solo una frazione dei costi degli aiuti alle bollette.

Costi che con circa 60 miliardi più i 20 della legge di bilancio per il primo trimestre 2023 in Italia hanno già superato l’intero valore delle misure di transizione ecologica del PNRR. E se fa impressione (e a me ne fa) questo confronto, che dire dei 200 miliardi totali preannunciati dalla Germania contro il carovita di cui circa 100 andranno sulle bollette?

Beh, una cosa rilevante da dire c’è, e riporta il discorso proprio a quel prezzo marginale da cui siamo partiti. La Germania è sì generosissima nel suo intervento (che del resto si applica a un mercato dell’energia che è proporzionalmente più grande del nostro), ma lo fa stando ben attenta a non cancellare proprio il segnale di prezzo marginale in capo ai consumatori. Gli sconti tedeschi infatti si applicheranno solo su una quota tra il 70 e l’80% dei consumi storici dei beneficiari. Sopra tale soglia, il prezzo applicato sarà quello pieno di mercato.

Cosa significa? Significa che gli aiuti alla tedesca non disincentivano in nessun modo il risparmio energetico, perché lasciano inalterata la botta sulle tasche di ogni metro cubo di gas o megawattora di elettricità consumati in più rispetto a quantità di moderazione.

La proposta di legge di bilancio del governo Meloni invece, in continuità con il precedente, rifinanzia e in parte allarga gli aiuti, che in tutti i casi tranne il bonus energia famiglie prevedono trasferimenti crescenti al crescere dei consumi futuri.

I tedeschi, in altre parole, fanno di necessità virtù, obbligando il sistema economico a diventare energeticamente più efficiente, noi no, almeno stando alle norme.

Per fortuna poi gli agenti economici e le persone sono spesso più razionali delle norme, e, come ha scritto Caterina Maconi su Repubblica citando un sondaggio Nielsen, e come abbiamo visto dai consuntivi gas di ottobre, la maggioranza di noi sta cercando di risparmiare energia. Da un grafico pubblicato sull’Economist su dati Bruegel, tuttavia, emerge che nei primi dieci mesi del 2022 la Germania ha ridotto i suoi consumi di gas del 13,4% contro il nostro 4,3%. Dato che peraltro va letto tenendo conto del maggior uso del gas termoelettrico in Italia, che ha dovuto sostituire l’idroelettrico a causa della siccità.

Siccità che, in questo weekend di acquazzoni in cui scrivo Derrick in casa al freddo mentre dovrei essere fuori in bici, sembra temporaneamente risolta, il che potrebbe preludere a migliori performance di risparmio di gas in Italia, mentre non mi sembra migliorare la sensatezza della politica degli aiuti alle bollette.


Link

venerdì 2 dicembre 2022

Il prezzo marginale (Puntata 552 in onda il 29/11/22)

Il più alto influenza tutti
(Foto di Perla Lisset Medina)
Quando un mercato esprime prezzi molto alti di solito si aprono quesiti o polemiche che finiscono per
investire aspetti anche esistenziali dei mercati stessi. La tentazione, forse un po’ inevitabilmente, è sempre la stessa: pensare che addomesticare un prezzo con una sospensione del mercato renda più economico l’approvvigionamento di una risorsa scarsa.

Una domanda che più volte è arrivata a Derrick è: perché sulla borsa elettrica tutta l’energia acquisisce il prezzo della sola ultima unità scambiata, cioè quello che gli economisti chiamano prezzo marginale?

Il ragionamento che spinge alla domanda è che non ha senso remunerare tutto al prezzo più alto tra quelli richiesti dai fornitori, perché questo dà una remunerazione non richiesta a quelli che avevano offerto di vendere a meno. Stessa cosa che avviene anche nelle aste del debito pubblico: il rendimento che viene stabilito è quello del prestatore più esoso necessario a piazzare tutti i titoli.

Come mai?

Una prima risposta è leggermente impropria ma credo comunque utile: immaginiamo non un’asta – com’è quella della borsa elettrica o quella dei titoli di Stato – bensì un banale mercato rionale, per esempio delle uova. Ipotizziamo che le uova siano tutte uguali e che ci siano vari fornitori potenzialmente disposti a venderle a prezzi diversi che corrispondono ai loro costi. È credibile che effettivamente il prezzo a cui vendono sia diverso all’interno dello stesso mercato?

No. Perché se così fosse i venditori a prezzo più basso che vedono un concorrente riuscire a vendere a più proporrebbero essi stessi un prezzo modificato in modo da essere solo leggermente più basso del concorrente esoso. E così via. Inevitabilmente il prezzo finisce per essere pari al valore da cui il venditore più esoso – ma necessario a soddisfare la domanda – non può scendere, magari perché corrisponde ai suoi costi di produzione relativamente alti.

Uno potrebbe ribattere che però un’asta come quella della borsa elettrica o dei titoli di Stato è diversa dal mercato rionale, perché i vari fornitori nell’asta non si vedono l’un l’altro e non possono fare arbitraggio. È vero. Ma mettiamoci di nuovo nei loro panni: Offrirebbero sempre il loro miglior prezzo – basato sui propri costi – se sapessero che poi gli viene pagato quello, e non il prezzo più alto offerto del fornitore meno efficiente? No: con le nuove regole farebbero offerte più elevate, attraverso un processo di tentativi e osservazioni in modo da apprendere qual è il massimo che possono ragionevolmente ottenere, che di nuovo tenderà a essere legato al prezzo del competitore meno efficiente ma necessario a servire la domanda.

Provo a prevenire anche la prossima obiezione:

Quand’anche il mercato a pronti, quello che nel caso della borsa elettrica si svolge per ogni ora con un'asta il giorno prima, debba funzionare in modo che tutti paghino lo stesso prezzo del fornitore necessario meno efficiente, chi impedisce che chi ha costi più bassi si accordi per periodi più lunghi a un prezzo svincolato da quello marginale? Nessuno. E infatti una buona parte dell’energia viene scambiata con accordi bilaterali che non necessariamente considerano il prezzo a pronti. Ma il mercato a pronti influenzerà il prezzo degli accordi, perché le parti hanno l’alternativa di usare quel mercato rispetto a siglare un contratto fuori dal mercato.

mercoledì 23 novembre 2022

Sanzioni antitrust per abusi sul mercato elettrico (Puntate 383 e 551 in onda il 15/1/19 e 23/11/22)

Puntata 551 in onda il 23/11/22 (Sanzioni a Enel)

Non è un periodo facile per il mercato al dettaglio dell’energia, tra retorica di prezzi politici europei sostanzialmente inattuabili, un mare di sussidi fiscali sulle bollette la cui insostenibilità è solo in attesa di manifestarsi in modo esplosivo e interventi populisti introdotti dal governo Draghi e confermati dall’attuale che limitano la libertà dei venditori di modificare le condizioni di prezzo anche nell’ambito delle loro prerogative contrattuali (ne ha scritto lo scorso 9 novembre l’ex presidente dell’Autorità dell’Energia Guido Bortoni – oggi presidente del CESI - su Milano Finanza).

A questo si aggiunge l’eterna retorica della politica contro la fine del cosiddetto mercato “tutelato”, che con il picco di prezzi all’ingrosso, cui le tariffe di tutela sono agganciate ha in realtà esposto i clienti a fluttuazioni maggiori rispetto a gran parte dei contratti – fissi – sul mercato libero. Fine che per il gas è stata rinviata per le famiglie al 10 gennaio 2024, data già fissata per l’elettricità. Si tratta solo dell’ultima di una serie di rinvii ormai rituali.

Rinvii che non ci hanno risparmiato di ricevere visite e telefonate scorrette da agenzie di venditori di energia che invece millantano una imminente fine delle tariffe di tutela e la presunta necessità immediata di firmare un nuovo contratto con il fornitore di turno. Necessità in realtà falsa perché i sistemi di transizione al mercato libero dei clienti ancora in tutela prevederanno – se mai ci si arriverà – un passaggio automatico gestito con presidi antitrust a protezione dei clienti.

E proprio Enel, il fornitore di gran lunga più importante in termini di numero di clienti finali, si è beccata una nuova multa dall’Antitrust per aver fatto telefonate ai clienti in tutela del tenore che ho appena descritto. L’aspetto grave a mio avviso riguarda non tanto la fornitura di informazioni distorte sulla fine della tutela, quanto il fatto di usare – stando all’indagine dell’antitrust – informazioni sull’anagrafica dei clienti in tutela che dovrebbero essere prerogativa del ramo d’azienda che svolge specificamente – e con logiche del tutto regolate – questo servizio. Società che dove Enel è gestore delle reti locali appartiene sempre al gruppo (e lo stesso vale per le ex municipalizzate in altre zone urbane d’Italia) ma che non dovrebbe avvantaggiarsi di questa contiguità.

Si tratta di un tipo di violazione simile a quella che portò pochi anni fa a una multa a Enel e Acea ancora più pesante e di cui Derrick scrisse, e su cui è possibile recuperare le informazioni, come sull’infrazione recente, sul blog Derrick Energia.

Puntata 383 in onda il 15/1/19 (Sanzioni antitrust a Enel e Acea per abusi sul mercato elettrico)

La befana 2019 ha portato a Enel più carbone di quel che brucia nella centrale di Civitavecchia (lo so: è una battutaccia) e non ha fatto bene nemmeno ad Acea. L’Antitrust ha infatti sanzionato la prima per circa 93 milioni e la seconda per circa 16 per “condotte abusive ed escludenti” nel mercato di vendita al dettaglio di energia elettrica a clienti domestici e piccoli non domestici. Concentriamoci sul procedimento contro Enel e vediamo com’è possibile riassumere le circa 90 pagine di motivazione della delibera (con alcuni omissis nella versione pubblica) sul procedimento classificato come A511.

Federico Faruffini, Lettrice
Galleria d'Arte Moderna, Milano
L’antitrust ha accertato che in un periodo recente di oltre 5 anni il gruppo Enel ha utilizzato i propri vantaggi informativi riguardo alla fornitura ai clienti elettrici della “maggior tutela” (cioè la tariffa a maggior tasso di regolazione da parte dall’Autorità dell’Energia) per svolgere campagne mirate alla transizione di quegli stessi clienti sul mercato libero (dove si trovano offerte comunque soggette a regole e vigilanza dall’Autorità, ma con un maggior grado di libertà competitiva degli operatori), campagne sempre operate nell’ambito del gruppo Enel, ancorché da parte di una società legalmente separata.

Secondo l’Antitrust, il fatto che non siano previste dalla regolazione di settore (e questo è evidentemente un limite della regolazione stessa) forme di separazione rilevanti tra il fornitore di maggior tutela e quello di mercato libero di uno stesso gruppo non toglie che approfittare per campagne sul mercato libero, in modo esclusivo o comunque discriminatorio, delle informazioni legate alla fornitura dei clienti in maggior tutela sia un abuso, visto che la disponibilità di tali informazioni deriva da un’attività in monopolio da cui non devono derivare vantaggi in attività di mercato.
A nulla è valso che Enel abbia fatto notare che la separazione tra i due filoni commerciali nel proprio gruppo fosse nel periodo considerato più intensa di quanto la regolazione di settore imponga.
L’Antitrust sulla base delle evidenze ha ritenuto che Enel abusando della propria posizione intendesse (e i risultati dimostrano un buon successo dell’operazione) esercitare una “preemption” del mercato della tutela, cioè una sorta di prelazione su quei clienti, svuotandone il bacino prima che ciò avvenisse con la legge concorrenza, che in una sua prima bozza prevedeva già a metà di quest’anno la fine delle tariffe di “maggior tutela” e qualche forma (non ancora definita peraltro) di transizione regolata di quei clienti sul mercato libero.

In che modo il set di regole del mercato elettrico al dettaglio ha reso possibile l’abuso contestato? A mio parere, attribuendo in modo non contendibile ai gestori di reti locali di distribuzione la fornitura del servizio di maggior tutela, senza prevedere adeguate segregazioni all’interno dei gruppi interessati rispetto alle attività sul mercato libero. O senza prevedere, in alternativa, la terziarizzazione delle informazioni commerciali riguardanti i clienti in tutela, in modo che l’accesso a queste informazioni possa essere non discriminatorio per tutti i fornitori sul mercato.
Terziarizzazione che potrebbe avvenire grazie al cosiddetto “Sistema Informativo Integrato”, un database dell’Acquirente Unico, la società pubblica che fornisce all’ingrosso l’energia per i clienti del mercato "tutelato". Ma se le azioni di “preemption” stanno funzionando, c’è il rischio che quando una simile terziarizzazione ci sarà sarà già troppo tardi.


Link utili:

martedì 15 novembre 2022

Il gas nazionale (Puntata 550 in onda il 15/11/22)

Vigne nei pressi di Biassa (SP)
L’uso di gas nazionale per i clienti energivori previsto nel decreto sostegni quater recentemente
licenziato dal governo è una fotocopia dell’impostazione del governo Draghi.

Se è vero che lo sfruttamento del gas nazionale è stato in parte limitato da un irrigidimento delle norme sulle concessioni, è più vero che la riduzione della produzione si deve soprattutto al progressivo esaurimento delle riserve. Meno ne rimangono, più si tratta di giacimenti costosi e marginali spesso non competitivi con quelli dei grandi esportatori (come i paesi del Golfo o gli USA) nemmeno tenendo conto dei minori costi di trasporto.

Il Governo ha parlato di un miliardo e mezzo addizionale all’anno di metri cubi di produzione possibili su un consumo italiano di oltre 70, una quantità che non modificherebbe il prezzo di mercato e che arriverebbe – per le nuove concessioni – in ritardo rispetto ai prossimi (pochi) inverni critici a fronte di previsioni di consumo in calo evidente.

Riguardo al rapporto tra gas nazionale e sconti alle aziende gasivore, si tratta di una connessione solo apparente. Infatti il decreto non prevede alcuna relazione fisica tra nuova produzione e aziende beneficiarie, bensì contratti finanziari che il Gestore dei Servizi Energetici stipulerebbe con i nuovi concessionari e che impegnerebbero le parti a compensare il prezzo della quantità di gas contrattualizzata rispetto al suo valore di mercato. Funzionerà così: se il prezzo di mercato supera quello pattuito nel contratto, il produttore (che il gas lo vende comunque sul mercato) paga la differenza al GSE, mentre se il prezzo è più basso la riceve. Quindi il GSE si troverebbe in mano un diritto/obbligo di pagare il gas una certa cifra prestabilita indipendentemente dal suo valore sul mercato. Dopodiché farebbe simili contratti (per la stessa quantità di gas sotteso) con i clienti aventi diritto, rovesciando a loro lo stesso diritto/obbligo.

La norma non prevede maggiori oneri per il GSE (se non l’impegno di occuparsi della cosa, immagino) e quindi nemmeno rischi in capo a lui, voglio sperare. Se è così, i clienti gasivori che si impegnano nel lungo termine a pagare il gas un prezzo minimo di almeno 50 €/MWh previsto nel decreto si prendono un bel rischio, visto che la storia del mercato vede prezzi in genere più bassi.

Se invece i clienti finali possono sfilarsi dal contratto quando vedono prezzi di mercato più bassi e lasciare il cerino acceso in mano al GSE, allora c'è un rischio di danno erariale per i contribuenti, che si ritroverebbero a trasferire tanto più denaro ai concessionari della produzione di gas quanto più se ne abbassano i prezzi.

Se quindi l’idea del Governo è recuperare risorse per abbassare le bollette (speriamo in modo selettivo), contratti come questi avrebbero un effetto controproducente in uno scenario di normalizzazione dei prezzi. Prolungherebbero infatti gli “extraprofitti” delle aziende del gas anche molto dopo la crisi.

Piuttosto che questo, sarebbe una buona idea allineare l’Italia agli altri paesi occidentali ed eliminare le franchigie che oggi rendono le royalty in capo ai concessionari di gas in Italia molto più basse.

Che poi parlare di royalty eque suonerebbe anche meglio rispetto a “tassare gli extraprofitti”, no? 

sabato 5 novembre 2022

Mattei torna qui! (Puntata 548 in onda il 1/11/22)

Enrico Mattei
Questo mio articolo è apparso su Il Tempo il 5/11/22 a pag. 12 con il titolo "Andiamo in Africa come partner industriali" .

Come lui sono nato nell’entroterra pesarese e dopo la laurea mi sono formato alla scuola di energia che porta il suo nome a San Donato Milanese: figuriamoci se non ammiro la figura di Enrico Mattei, di cui il 27 ottobre è ricorso l’anniversario della morte.

In Eni girava uno scherzo secondo cui l’acronimo SNAM, nome della società che è stata anche il monopolista della commercializzazione del gas in Italia, significasse in realtà Siamo Nati A Matelica, cittadina non lontana da dove Mattei nacque e da dove il gruppo Eni in effetti aveva aperto sedi forse motivate dalla sua attenzione a quel territorio.

Mattei fu incaricato di liquidare l’Agip e invece le procurò spazi prima inimmaginabili grazie all’innovazione con cui ruppe il cartello delle major petrolifere concedendo nuove prerogative ai paesi produttori che si affacciavano sul mercato. In Italia “inventò” il gas naturale, che avrebbe permesso al sistema energetico nazionale di non ricorrere troppo al carbone nell'industria e nella produzione di elettricità, anche se per abbandonare l’olio combustibile ci vollero la privatizzazione dell’Enel e l’introduzione della concorrenza con una nuova stagione di investimenti.

La presidente Meloni lo ha citato come innovatore riguardo ai suoi rapporti con l’Africa, un innovatore capace di leggere le tendenze economiche e tecnologiche globali e di fare nello stesso tempo gli interessi dell’industria energetica nazionale.

Cosa farebbe Enrico Mattei oggi? Dove accompagnerebbe i politici (che lui si vantava di usare “come si usa un taxi” – chissà se anche questo piace a Meloni) a farsi patrocinare accordi e investimenti? Su quali energie e tecnologie punterebbe?

Immagino che guarderebbe al futuro come fece allora. Il “suo” gas era uno strumento di emancipazione tecnologica, ecologica ed economica, mentre parlare oggi di “gas di transizione” in un paese che quella transizione l’ha fatta tra i primi al mondo suona quantomeno intempestivo, così come averlo promosso all’interno della tassonomia UE degli investimenti verdi da parte italiana è masochistico, visto che da noi quegli investimenti sono già stati fatti.

E magari, come suggerisce Meloni, Mattei guarderebbe come allora all’Africa, ma non per proporre lì un ulteriore sviluppo delle energie fossili (peraltro in piena contraddizione con accordi siglati dall’Italia a margine della COP26), bensì per arrivare in anticipo come partner industriale nelle tecnologie della nuova energia.

Tecnologie che nella parte più rurale dell’Africa, che deve ancora sviluppare un sistema elettrico moderno, potrebbero passare per percorsi innovativi anche in confronto all’Europa, fatti di reti locali intelligenti, di gestione flessibile della domanda, di accumuli e produzione elettrica distribuita da fonti rinnovabili. O, nel Mediterraneo, fatta di quegli elettrodotti sottomarini tra Italia e Nord Africa di cui chissà perché si parlava vent’anni fa più di quanto si faccia oggi. Ne uscirebbe un’Italia hub non del gas, bensì delle energie rinnovabili e delle loro tecnologie, facilitando anche il collegamento del futuro eolico offshore mediterraneo.

L’esempio di Enrico Mattei, la sua capacità di guardare lontano e rovesciare i tavoli delle convenzioni e del business as usual, sono necessari oggi quanto e più di allora. Ne hanno bisogno l’industria italiana dell’energia e i suoi clienti, ne hanno bisogno le politiche del clima.

lunedì 17 ottobre 2022

Il paradosso dell'export italiano di gas (Puntata 546 in onda il 18/10/22)

Questa puntata è tratta da un articolo più lungo scritto per ECCO Think Tank e leggibile integralmente al link sotto.

Una 500 esportata molto lontano
(Foto Derrick)
I mercati europei all’ingrosso di elettricità e gas sono interconnessi (non per niente si parla di mercato unico). Questo significa che gli interventi amministrativi sul mercato di un Paese hanno effetti anche su altri, effetti a volte contraddittori con obiettivi con cui gli stessi interventi sono stati proposti all’opinione pubblica.

Per esempio: il meccanismo con cui la Spagna ha fiscalizzato una parte del costo del gas per abbassare il prezzo dell’energia elettrica l’ha resa artificialmente competitiva rispetto a quella francese, e quindi la Spagna ha iniziato a esportare al massimo verso la Francia limitando il calo del prezzo interno.

In altri termini, le tasse degli spagnoli hanno sussidiato anche i clienti di elettricità di altri paesi.

Nel caso della Spagna, la scarsa interconnessione con il resto d’Europa rende questo problema limitato e proprio per questo l’UE ha dato comunque il via libera al meccanismo.

In un sistema elettrico più interconnesso, si arriverebbe invece all’apparente paradosso che il prezzo di mercato interno scenderebbe pochissimo e gran parte del vantaggio si trasferirebbe all’estero.

Nel sistema italiano di recupero dei cosiddetti extraprofitti dell’energia, questo problema non c’è, perché tale recupero è operato sui produttori in forma di tassa e non altera il prezzo di mercato all’ingrosso dell’elettricità. Una tassa che serve a finanziare (in modo molto parziale) gli sconti generalizzati oggi in vigore sulle bollette di famiglie e imprese.

C’è una distorsione che si sta però verificando anche in Italia. In forma, di nuovo, di export, in questo caso di gas. Export che non è mai stato così elevato come nei mesi a partire dalla crisi.

Perché l’Italia esporta gas in Europa? Perché è più interconnessa di altri paesi via tubo con fonti non legate alla Russia, il che frequentemente fa sì che il prezzo italiano del gas sia più economico di quello del mercato nordeuropeo.

E dove sta la distorsione?

Sta nel fatto che lo Stato italiano ha sussidiato l’acquisto di gas da immettere in stoccaggio, che è avvenuto in momenti di prezzi altissimi ai quali nessun operatore di mercato avrebbe messo fieno in cascina.

Se è vero che non è svuotando gli stoccaggi che stiamo esportando ora, bensì semplicemente sfruttando maggiore capacità di import rispetto alla richiesta nazionale, è anche vero che questo surplus sarebbe più basso se gli stoccaggi non fossero già pieni. In altri termini, quindi, l’export di oggi è anche una conseguenza dell’acquisto socializzato di gas durante l’estate.

La questione sarà ben più palese quando nell’inverno 23-24 avremo almeno uno dei nuovi rigassificatori pagati con garanzia dello Stato a sostenere tale export: export (e profitti) privati grazie a infrastrutture pagate con le tasse, e riduzione dei prezzi limitata proprio dall’export che collega i mercati facendo arbitraggio tra di loro.

Una discreta fregatura per il cliente di gas italiano che paga le tasse: il prezzo cala poco, le tasse o il debito aumentano tanto.

L’implicazione in termini di buone politiche è che sia gli investimenti in infrastrutture per la sicurezza energetica sia i meccanismi di controllo eccezionale del prezzo dovrebbero applicarsi a livello europeo. Oltre che essere coerenti con le politiche di decarbonizzazione. I rigassificatori tanto amati dalla politica mainstream, anche dalle aree che si professano attente alla sostenibilità economica, non vanno in questa direzione.


Link

domenica 9 ottobre 2022

Contratti gas e minaccia nucleare (Puntata 545 in onda l'11/10/22)

Francis Gavin dell’Università Johns Hopkins ritiene che quando si parla di conflitti nucleari non è tanto la superiorità negli armamenti a essere determinante, quanto la disponibilità a usarli davvero. E pochi soggetti sono più pericolosi di un despota ormai entrato in una fase molto oltre ogni possibilità di recupero.

Una cosa che mi sembra ci stia insegnando l’orribile aggressione russa è che il celebre assioma di Bastiat “dove passano le merci non passano gli eserciti” sembra non applicarsi più.

Né Putin né l’Europa hanno infatti finora chiuso del tutto i rubinetti del gas. Il primo, piuttosto, li modula già da prima dell’invasione per controllare il prezzo e il livello di minaccia verso l’occidente, e purtroppo trova terreno fertile in paesi europei disuniti dove la proposta della Commissione (e di autorevoli economisti) di mettere un dazio straordinario sul gas russo resta minoritaria.

Noi europei preferiamo tenere aperto un canale di vessazione del regime russo pur di non perdere il gas (sempre meno) che ci dà quando ne ha voglia, mentre avremmo la capacità di accelerarne il collasso economico estendendo al gas le sanzioni. Da un lato abbiamo messo in campo costosissime azioni per porci in grado di rinunciare al gas russo, dall’altro non ce ne avvantaggiamo in termini tattici e non abbiamo il coraggio di applicare nemmeno una tariffa selettiva. Estraiamo i cosiddetti extraprofitti dalle fonti rinnovabili, ma non dal gas di Putin.

E anche il governo ucraino si guarda bene dal compromettere questo filo commerciale: gli unici tubi di esportazione dalla Siberia oggi passano sul suo territorio (disturbati solo da incidenti tecnici quando la Russia decide di causarli o inscenarli), e verosimilmente l’Ucraina viene regolarmente remunerata dalla Russia per il transito (in gas? Può darsi).

Vedete che più contraddittoria dell’assioma di Bastiat di così questa situazione non potrebbe essere.

A parziale discolpa delle nazioni europee (non dico dell’UE, perché come abbiamo visto la posizione della Commissione non è quella immobile del Consiglio) potrebbe essere il fatto che se Gazprom non ha ancora contravvenuto ai minimi commerciali di esportazione (anche grazie alle finte cause di forza maggiore addotte quando gli è utile) se fossero i clienti a violare per primi i contratti questo li metterebbe in una condizione di svantaggio nella sede di un arbitrato internazionale.

Ma veramente si pensa questo? Di salvaguardare un contratto con una controparte che minaccia un attacco nucleare?

Altro problema da considerare è che in caso di chiusura dei rubinetti dovrebbe essere l’Europa a esportare gas all’Ucraina questo inverno, ma non si tratta di numeri preoccupanti se prima della guerra l’import Ucraino di gas (che ne è un discreto produttore) era di meno di 13 miliardi di m3/anno secondo worlddata.info.

La deterrenza nucleare serve a poco contro un uomo che sa di essere ormai destinato o a cadere lui da solo o a portare al disastro la sua nazione (o anche tutte le altre). Anzi potrebbe aizzare una comunità di guerrafondai patriottici.

Mettere sul lastrico l’economia pubblica russa chiudendo noi i rubinetti forse invece accelererebbe una sollevazione del paese.

E a me darebbe l’impressione che quel pochissimo gas che ancora uso in casa (solo per la doccia) non è più macchiato di sangue.


Link

martedì 27 settembre 2022

Ci scalderà il prete (Puntata 543)

Un prete fotografato da Paolo Ghelfi
Secondo un report di Goldman Sachs di inizio settembre (link sotto), quest’inverno ci sarà il picco dei prezzi energia, e in Italia la famiglia media spenderà su base annua 6000 Euro all’anno tra luce e gas, 500 al mese. Il Think Tank ECCO è più pessimista e ipotizza punte di 37€ al giorno di gas per riscaldare una casa nelle regioni più fredde (link sotto).

Quanto dobbiamo aspettarci che i consumatori reagiscano a simili prezzi, ora che la maggior parte di loro dovrebbe aver avuto l’impatto con almeno una prima tranche di aumenti nelle bollette nel frattempo ricevute?

Il bilancio italiano del gas naturale mostra a luglio un calo dei consumi del 3,2% rispetto a un anno prima, malgrado il fabbisogno elettrico dei condizionatori e l’uso eccezionalmente alto della generazione elettrica a gas a causa della minor produzione idroelettrica causata dalla siccità.

In Svizzera nel periodo estivo 2022 i consumi di gas sono diminuiti di circa 1/5, una cifra impressionante.

Io personalmente non potrò contribuire molto alla riduzione dei consumi diretti di gas, perché ho già smantellato la caldaia a gas del riscaldamento da anni e oggi climatizzo l’appartamento con pompe di calore. Che comunque userò con molta parsimonia perché non ho alcuna voglia di lavorare per la bolletta, che sia dell’elettricità o del gas, e quindi alla fine sì, certamente farò la mia parte.

Se guardiamo all’indietro, non dovrebbe essere così remoto il ricordo di tempi in cui una climatizzazione confortevole non era affatto la norma. Perfino nelle ville nobiliari e nei castelli fino ad almeno l’inizio del Novecento dubito si stesse molto confortevoli in inverno se non vicino al camino. Anzi, immagino il personale in cucina più caldo del povero nobile in pesanti vestaglie che si aggira in gelide sale dai soffitti sinistramente alti e finestre piene di spifferi.

Anche nelle case dove vivevano i miei nonni quando io ero piccolo l’unico ambiente ben riscaldato era la cucina, dove il cuore energetico pulsante era la “cucina economica” a legna – ve la ricordate? – quella stufa-piano di cottura e forno con un sistema geniale di cerchi concentrici in ghisa che permetteva al piano cottura superiore di aprirsi per dare accesso alla zona di combustione e caricarla di grossi ciocchi di legna ad ardere. Che meraviglia.

Le camere da letto in quelle case non erano riscaldate, se non all’interno dei letti con il cosiddetto “prete”: un telaio di legno simile a uno slittino affusolato che teneva alte le lenzuola e custodiva all’interno un braciere ardente.

Ora che viviamo in case meglio coibentate, non foss’altro grazie alle finestre moderne installate con gli sconti fiscali, forse possiamo affermare che tagliare drasticamente i consumi da riscaldamento è fattibile senza rischiare la vita? Chi vuole. Certo l’assenza di cucina economica non aiuta (ma qualche giorno fa in trasferta in Trentino ho visto negozi di stufe a pellet agghindati come gioiellerie).

Chi non vuole risparmiare luce e gas può sempre pagare le bollette e consolarsi pensando che scherzi del genere le energie fossili li hanno già fatti in passato e che forse conviene investire per emanciparsene il prima possibile.

Questo testo è stato scritto per la rubrica Sparks di Duferco Energia che ringrazio di permetterne l’uso anche su Derrick.

Ringrazio anche Fulvio Fontini per le conversazione che l’ha ispirato e Paolo Ghelfi per la foto.


Link

lunedì 19 settembre 2022

Condizionatori irragionevoli (Puntata 542 in onda il 20/9/22)

A Derrick abbiamo già parlato di condizionatori. Qualche tempo fa osservavo come tentare di rendere artificialmente vivibile un mondo torrido a volte porti a paradossi, o situazioni angoscianti, come quelle di vicoli che diventano invivibili perché ospitano le unità esterne delle pompe di calore che buttano fuori il caldo, o in generale di città infrequentabili se non dentro centri commerciali iperraffreddati (ne ho esperienza recente nel sudest asiatico).

Il tutto con consumi i cui effetti sul clima peggiorano ulteriormente cose, almeno finché useremo le fonti fossili di energia.

Oggi su questo tema abbiamo ospite in voce la giornalista e autrice Simona Bonfante, che ringrazio. Sentite con che storia.

Ringrazio Simona Bonfante, il cui sito è www.kuliscioff.com, e attendo aggiornamenti sulla sua storia.

martedì 13 settembre 2022

"Disaccoppiamento" tra prezzo dell'elettricità e del gas? (Puntata 541 in onda il 13/9/22)

Finestra a Regensburg (foto Derrick)
Non mi sembra che le questioni della crisi energetica siano qualitativamente molto cambiate negli ultimi mesi. Gran parte degli appelli sono sempre in favore della protezione di famiglie e imprese dai prezzi alti e dell’istituzione di un tetto al prezzo che in realtà può voler dire molte cose diverse e su cui per ora l’UE non ha trovato una quadra.

Forse la quadra non si trova perché alcuni degli obiettivi sono contrastanti. Tenterò, vista la brevità della trasmissione, di fare una serie di affermazioni per forza di cose non troppo dettagliate ma spero rilevanti e che sintetizzano le idee che mi sono fatto.

-        Se temiamo il razionamento, dobbiamo limitare il più possibile il prezzo politico dell’energia. Questo perché un prezzo più basso di quello di mercato tenderà naturalmente a produrre una domanda maggiore dell’offerta disponibile a quel prezzo e quindi a rendere ineluttabile proprio il razionamento. Questo lo sostiene per esempio Daniel Gros del Centre for European Political Studies, che ricorda quanto è fondamentale ora consumare poco e quindi fornire incentivi a farlo.

-        Una conseguenza, che mi permetto di lanciare come proposta di Derrick, è che i prezzi calmierati dovrebbero essere limitati a un fabbisogno di necessità, per esempio in base a una stima dei consumi necessari a riscaldare una casa in una determinata zona climatica in coerenza ai nuovi parametri stabiliti dal Governo. È facile calcolare queste quantità? No, ma nemmeno impossibile darsi dei criteri standard ragionevoli. E i nuovi contatori “smart” del gas letti a distanza permetterebbero di applicare la norma senza bisogno di mandare improbabili investigatori a vedere chi ha la caldaia accesa. Superata la soglia di moderazione, chiamiamola così, il prezzo sarebbe quello di mercato, senza sconti.

-        Poi c’è la questione del cosiddetto disaccoppiamento tra prezzo dell’elettricità e quello del gas, che mi sembra più che altro uno slogan scarsamente fattibile. Provo a dire perché.
Se per fare l’ultimo MWh di elettricità necessario serve usare il gas, non è affatto strano che il prezzo del megawattora a gas diventi il riferimento del mercato di breve termine. Gli accordi commerciali di lungo periodo all’ingrosso o al dettaglio a prezzo fisso o con criteri non necessariamente legati al gas non sono mica vietati, esistono, anche se oggi inevitabilmente vengono rinnovati a prezzi molto più alti. Ma è normale che la fissazione di un prezzo fisso risenta delle condizioni momentanee di scarsità, così come è normale che chi ha comprato a prezzo fisso con contratti lunghi prima della crisi oggi venga premiato.

In altri termini, non riesco a capire come sul mercato a pronti della borsa elettrica, che è quello che serve appunto a bilanciare domanda e offerta ora per ora, il prezzo di mercato possa essere diverso dal costo marginale della risorsa. Che – lo ricordo – nelle ore in cui le rinnovabili soddisfano tutta la domanda diventa anche nullo, o, dove le regole non lo impediscono come in Germania, negativo (cioè i clienti vengono pagati per consumare i sovrappiù momentanei di energia).

Se quest’ultima parte suona non chiara almeno per chi non si diletta di economia o energia. Se sì fatemelo sapere e magari proverò a riformulare meglio.

lunedì 1 agosto 2022

Un inverno senza funghi (Puntata 538 in onda il 2/8/22)

Consumo evitabile?
Speriamo di poter ricordare il luglio 2022 come un caso estremo di caldo e siccità. La tendenza purtroppo non è invece quella di un fenomeno isolato rispetto all’andamento degli ultimi anni.

Una cosa che dovrebbe spaventarci ancora più del caldo in sé sono certe sue conseguenze secondarie, che mostrano come l’adattamento alle nuove condizioni climatiche abbia in realtà le gambe cortissime e dipenda da attività, tecnologie, infrastrutture che in realtà finiscono per andare esse stesse in crisi o per peggiorare la situazione generale causando effetti indiretti avversi sul clima.

La linea verde della metropolitana di Milano, che percorre molti chilometri all’aperto, ha dovuto nei giorni peggiori ridurre la velocità a causa della temperatura troppo alta dei binari che ne modifica in modo pericoloso le caratteristiche fisiche. Trenord (già peraltro nota per i suoi frequenti disastri operativi) ha fatto saltare molti convogli forse per difficoltà della rete aerea di alimentazione dovute alla temperatura. Per inciso: i cavi elettrici oppongono più resistenza alla corrente quando sono più caldi: si tratta di un circolo vizioso che viene attentamente monitorato nelle reti elettriche proprio per evitare che segmenti di linea vadano in avaria in un effetto-domino di sovraccarichi che se incontrollato può causare un blackout.

Gli stessi condizionatori di treni e altri mezzi pubblici diventano insufficienti quando le temperature sono estreme. In compenso, funzionano al massimo della loro potenza contribuendo al consumo addizionale di energia elettrica che dev’essere fatta a gas, con tutte le conseguenze che sappiamo.

Il funzionamento dei condizionatori in città ha anche conseguenze per certi versi amare dal punto di vista della distribuzione del benessere. I condizionatori sono infatti pompe di calore: usano energia per portare il calore da luoghi già più freschi (all’interno) a luoghi più caldi (all’esterno), mentre se usati d’inverno fanno il contrario. Di conseguenza, l’energia che usiamo per raffrescare gli edifici ha l’effetto di riscaldare le strade, oltre che quello di surriscaldare il clima a causa dei gas-serra dovuti alla quota di energia necessaria ancora fatta con i combustibili fossili.

Ma capita anche, camminando in strada, di sentire uscire il fresco da ingressi di edifici che sono climatizzati ma a causa delle porte aperte lo disperdono. Agnes Pannier-Runacher, la ministra francese per la Transizione ecologica, ha annunciato che d‘ora in poi simili pratiche in Francia saranno sanzionate.

Sapete come la penso: le istituzioni in casi come questo hanno il dovere di guidare i comportamenti dei cittadini.

Chissà cosa penserà il prossimo inverno la ministra francese di quei cosiddetti “funghi” a GPL con le bombole, con cui sempre più spesso bar e ristoranti rendono frequentabili i dehors anche quando fa freddo. Voglio vedere se nella stagione del rischio di razionamento energetico ci toccherà assistere ancora a uno spreco del genere. (Facile controdeduzione è che i funghi usano credo bombole di GPL, che è un derivato del petrolio, e non metano. Resta a mio avviso l'opportunità di moderarne i consumi, anche se il petrolio è cresciuto molto meno del gas naturale).

martedì 12 luglio 2022

"Tassonomia" UE delle attività sostenibili (Puntata 536 in onda il 12/7/22)

Noccioleti in provincia di Viterbo
La seconda settimana dell’energia di luglio 2022 è stata una conferma dei trend a cui ormai ci siamo abituati: prezzi del gas alle stelle, i governi di molti Paesi d’Europa che lanciano appelli o iniziative per il risparmio energetico, il nostro che finalmente inizia a pensarci – parole del ministro della transizione ecologica – e intanto rafforza i trasferimenti dal bilancio dello Stato per tenere le bollette (comunque altissime) più basse di quel che sarebbero in assenza di queste continue iniezioni di denaro. (A Draghi forse lo spread fa più paura visto da Francoforte che da Roma).

C’è stata però anche una novità nella settimana energetica: il voto al Parlamento Europeo sulla cosiddetta “tassonomia” con la cosiddetta “inclusione di gas e nucleare”.

Di cosa si tratta?

La “tassonomia” è una sorta di indicazione europea per ora rivolta agli investitori privati su quali attività siano considerabili coerenti o meno con le politiche del clima. Un’etichetta con criteri omogenei per guidare gli investimenti, un po’ come quelle sulle classi di consumo degli elettrodomestici, solo che qui un investimento o è sostenibile o no, senza sfumature.

Il voto del Parlamento UE ha dato via libera a una proposta della Commissione che considera, all’interno di alcune limitazioni e modificando l’impostazione iniziale, sostenibili anche investimenti nella filiera del nucleare - una fonte non rinnovabile ma senza emissioni dannose per il clima – e nel gas – una fonte fossile e quindi con emissioni dannose per il clima.

Perché dunque secondo i fautori dell’inclusione il gas può giovare al clima? Perché come sostituto di petrolio o carbone può accelerare la riduzione delle emissioni-serra in attesa di altre fonti che ne siano effettivamente prive.

Cosa forse vera in alcune economie, ma difficilmente applicabile all’Italia, che ha uno dei sistemi energetici già oggi più dipendenti dal gas al mondo (e ne stiamo pagando le conseguenze in termini di prezzi dell’energia), che ha già da tempo abbandonato l’uso dei prodotti petroliferi per la produzione di elettricità e che ricorre in misura limitata al carbone a fini energetici.

Non solo, il grosso delle nuove infrastrutture di gas in costruzione o previste in Italia (rigassificatori e reti da un lato, centrali termoelettriche dall’altro) gode di remunerazioni attraverso rispettivamente tariffe regolate e “capacity market”, due forme di rimborso sicuro in bolletta per gli investitori. Difficilmente quindi questi investimenti avrebbero patito ristrettezze di credito finanziario anche senza inclusione nella tassonomia.

In compenso, annacquare il segnale della tassonomia danneggia proprio quei settori in cui, rispetto al nostro mix di partenza già ricco di gas, dovremo investire per raggiungere gli obiettivi dello stesso Governo, cioè energie rinnovabili, efficienza, accumuli, reti elettriche “intelligenti”. I capitali necessari per questi settori, indiscutibilmente verdi, da oggi dovranno contendersi l’etichetta verde con quelli destinati al gas fossile.


Link

lunedì 27 giugno 2022

Difenditi così (Puntata 534 in onda il 28/6/22)

Potrebbe essere troppo tardi, ma finalmente un’iniziativa informativa congiunta dell’Autorità dell’energia e dell’Antitrust affronta espressamente il problema delle telefonate aggressive e spesso fraudolente di venditori di energia.

Nasce infatti un sito web chiamato in modo piuttosto diretto “Difenditi Così” (più farraginoso invece il testo della home page che non risparmia le solite “d” eufoniche in eccesso) pieno di informazioni utili e di link a strumenti importanti alcuni dei quali già da tempo attivi come il “trovaofferte” gestito dalla stessa Autorità con Acquirente Unico.

Leggere Difenditi Così (il cui link è naturalmente anche qui sotto) è utile anche per proteggersi dai venditori porta a porta, che nella mia esperienza sono spesso altrettanto scorretti dei telefonatori, come ho più volte testimoniato qui anche grazie all’aiuto degli ascoltatori.

Dicevo che potrebbe essere tardi rispetto alla credibilità della concorrenza al dettaglio nell’energia. Io sono il primo in effetti a sentirmi deluso da un mercato dove nel caso migliore riesco a scegliere un fornitore dal prezzo aggressivo ma ne vengo scaricato dopo un anno o se va bene due. Nel caso peggiore, mi vendono un prezzo e pago poi componenti aggiuntive inaspettate. Le telefonate e scampanellate moleste o apertamente truffaldine hanno fatto poi il resto.
Ma ci si è messo anche l’assetto del mercato (e qui è colpa del legislatore), che ancora conserva il monopolio delle ex municipalizzate elettriche nel fornire l’offerta standard di “Maggior tutela”, benché altre offerte di facile confrontabilità siano già previste da parte di tutti i fornitori. Un monopolio che ha anche portato, nel caso clamoroso di Enel e Acea, a una pesante condanna dell’antitrust di cui abbiamo già parlato qui a Derrick (link sotto).

Anche sotto questo aspetto però finalmente qualcosa sta cambiando. Con aste disegnate dall’Autorità per l’Energia i clienti-piccole imprese con potenze di consumo elettrico maggiori di 15 kW che avevano in precedenza diritto alla tariffa di tutela sono stati già spostati all’inizio del 2021 verso fornitori selezionati sulla base dell’economicità per il cliente. Stessa cosa che sta per avvenire per le microimprese con potenze minori (per cui la “tutela” finisce a inizio 2023). Per le forniture domestiche invece il passaggio sarà a inizio 2024.

Per i milioni di microimprese che devono lasciare la “tutela” quest’anno, l’Autorità ha già lavorato a un nuovo disegno delle aste, che prevede un processo di gara multisessione al ribasso con cui vari lotti di clienti sul mercato nazionale passeranno ai fornitori più competitivi (e con caratteristiche generali di affidabilità), con anche un limite antitrust sulle assegnazioni per evitare che pochissimi si spartiscano il mercato. A differenza dell’asta della prima tranche già passata al mercato, stavolta non si prevede un prezzo minimo di remunerazione dei fornitori, e quindi l’esito potrebbe rivelarsi ancora più conveniente per i clienti. Almeno per i quattro anni durante i quali i fornitori assegnatari devono mantenere le condizioni economiche esito dell’asta.

Quattro anni senza pensieri ma usufruendo di un prezzo competitivo non è male. Una sorta di concorrenza passiva in cui i clienti non devono fare nulla ma che permette lo stesso di giovarsi della competizione dei fornitori per contenderseli.

Vedremo come andranno le aste. E vedremo se la politica rispetterà i tempi previsti dalla legge per il passaggio anche dei clienti domestici, dopo che in passato ci sono stati più di un rinvio.


Link

domenica 12 giugno 2022

La fine dei pistoni (Puntata 532 in onda il 14/6/22)

Litio e sviluppo. Una foto di Marco Garofalo
(gentilmente concessa dall'autore, tratta da
"Energy Portraits" - Electa
di M. Garofalo e Matteo Leonardi)
Il voto al Parlamento Europeo sulla fine sostanziale della produzione di auto a motore endotermico nel 2035 ha riprodotto la solita dipartizione un po’ da tifo tra i fan della transizione e quelli della conservazione, spesso a base di slogan semplicistici.

Non fingo certo di essere super partes: per me la storia è costellata di esempi che mostrano come la resistenza al cambiamento sia tipicamente causa di successiva irrilevanza. Cito il caso arcinoto di Kodak, che avendo in azienda il brevetto del sensore della fotocamera digitale decise di tenerlo fuori dal mercato per proteggere le proprie quote nel business delle pellicole. (Qual è la quota di mercato di Kodak oggi?).

Ecco alcuni elementi sul tema dell’elettrificazione dei trasporti individuali spero utili a farsi un’idea:

  • L’Europa non è nuova all’uso di standard ambientali nel settore auto. Con la celebre sequenza di norme “Euro1-6” l’UE ha imposto (certo, dopo negoziati) regole che inizialmente sembravano inverosimili e che hanno invece dettato il passo dell’efficientamento dei motori a livello mondiale senza compromettere l’industria europea (in UE oggi si producono più auto che negli USA).
  • L’affermazione che l’auto elettrica non fa bene all’ambiente perché l’elettricità viene da combustibili fossili è sbagliata per due motivi: 1) già oggi in UE circa metà dell’elettricità è rinnovabile e i Paesi G7 (inclusa Italia) si sono appena impegnati a fare elettricità solo rinnovabile nel 2035, appunto. 2) anche se per assurdo facessimo tutta l’elettricità da carbone, delocalizzare le emissioni dannose fuori dai centri urbani sarebbe un enorme vantaggio sanitario. In Italia sono ancora oltre 50 mila all’anno i morti di inquinamento. Inoltre, l’efficienza dei motori auto è molto più bassa di quella degli impianti di generazione termoelettrica.
  • L'ansia sul futuro reimpiego delle risorse oggi dedicate ai motori endotermici dovrebbe essere sostituita dalla preoccupazione su come far decollare in fretta i settori che cresceranno, compresa tutta la filiera e le infrastrutture della ricarica. (Lo stesso segretario della Fiom de Palma dice che il problema del nostro settore auto è essersi mosso tardi, e non auspica affatto come soluzione un rallentamento degli obiettivi UE).
  • Qualsiasi transizione è resa costosa da politiche di mera salvaguardia dell’esistente. Come ha scritto Vanessa Ricciardi sul Domani, è un controsenso che il nostro governo dia ancora sussidi all’acquisto ad auto a motore tradizionale.

Link

 

domenica 5 giugno 2022

Le camminate impossibili: il parco dei monti Cervia e Navegna (RI) (Puntata 531 in onda il 7/6/22)

Tratto di strata franato
poco sopra Ascrea
Il 1° giugno 2022, in una giornata rovente, ho preso la bici verso stazione Termini a Roma per salire su un treno regionale diretto ad Avezzano dopo essermi munito del supplemento bici (che si può comprare sul sito di Trenitalia ma non sulla app).

Il treno era uno di quelli non di ultima generazione, che hanno in coda un amplissimo vano con tre ganci per appendere verticalmente le bici. I passeggeri erano perlopiù turisti e sono scesi quasi tutti a Tivoli.

Io ho proseguito invece fino a Carsoli, già in Abruzzo, ho attraversato la Tiburtina e incrociato l’autostrada per salire al borgo di Poggio Cinolfo per poi rientrare nel Lazio dopo pochi chilometri e proseguire a nord per Collegiove con una decina di chilometri di salita continua.

Collegiove si trova proprio al confine della riserva naturale dei monti Cervia e Navegna, e nella tarda mattinata del giorno feriale sembrava deserto. Un comune di soli 130 abitanti, leggo, peraltro recentemente un po’, ma non abbastanza, rimpinguati dall’arrivo di immigrati come è frequentissimo vedere nei nostri borghi.

Riempita la borraccia proseguo verso nord, sempre salendo, mentre la strada provinciale per Marcetelli ormai ha ai lati i pali misuraneve e raggiunge un massimo di altitudine poco oltre 1100 metri. La abbandono al bivio per Ascrea, ormai immerso in bellissimi boschi, dove inizia il tratto di strada non asfaltato tutto in ombra che scende appunto ad Ascrea, un borgo che domina la costa est del lago artificiale del Turano, sotto al monte Navegna.

In prossimità del paese la strada percorre a mezza costa una stretta valle e sovrasta quella che credo si chiami gola dell’Ovito. Ci sono antichi segnali stradali a cui a un certo punto ne è stato aggiunto uno di divieto al transito a bici e pedoni, e infatti il percorso è in abbandono da anni, e proprio a un chilometro circa da Ascrea la strada è invasa da massi di roccia impressionanti crollati dalla parete sulla destra, che lasciano a malapena lo spazio per passare in bici, e poi chiusa da un masso eloquente messo apposta per fermare chi viene dal paese.

Si tratta di una strada comunale che insiste, come mi ha spiegato Pierina Federici che ringrazio, sui comuni di Varco Sabino ed Ascrea, ed è evidente che la sua messa in sicurezza richiede fondi che trascendono quelli disponibili da due piccoli comuni.

Ad Ascrea alle 2 del pomeriggio in giro non si vede anima viva. Domani arriveranno da Roma le scampagnate del 2 giugno forse, ma oggi nemmeno il baracchino dei giardini panoramici in cui tre anni fa comprai una bibita sembra aperto. Giù in valle, invase dal sole, si vedono le anse e l’isola del lago in corrispondenza di Castel di Tora.

È giusto che una strada che attraversa tra due cime una riserva naturale non sia tenuta in condizioni adatte al transito in sicurezza di veicoli a motore? Forse sì.

Ma che si neghi a ciclisti e camminatori questo passaggio, che lega la valle del Turano al cuore della riserva e permette di raggiungere in breve l’altro grande lago della zona, quello del Salto, mi sembra un peccato.

Questa puntata di Derrick è dedicata un’altra infrastruttura che ha bisogno di essere sottratta all’abbandono e riutilizzata in modo nuovo. Non possiamo pensare solo alla rete delle grandi comunicazioni tra capoluoghi e non salvare il tessuto connettivo dei tanti tesori sparsi tra borghi, riserve, comunità montane.

Se le prime strade nel West americano o la ferrovia in Siberia crearono insediamenti, da noi salvaguardare queste connessioni significa rendere di nuovo frequentabili parti vaste delle nostre bellezze. Non basta ristrutturare le seconde case nei borghi perché qualcuno vada a visitarli.

Se davvero si rimetterà mano al PNRR, spero lo si farà anche in quest’ottica.

Ringrazio per questa puntata la consulenza di Pierina Federici della Locanda Belvedere di Ascrea (link sotto).


Link

lunedì 30 maggio 2022

I trasporti locali del futuro (Puntate 474 e 530 in onda il 23/2/21 e il 31/5/22)

Puntata 530

Un articolo sull’Economist di fine maggio 2022 fa il punto sull’uso dei trasporti pubblici a Londra, dove è stata appena inaugurata la nuova linea di metro “Elisabeth line”.

La gente ha ricominciato a usare il trasporto pubblico tradizionale a Londra dopo il Covid? La risposta è: non come prima. In particolare la metro londinese ha oggi il 40% di utenti in meno rispetto a prima del Covid. Lo stesso vale, in misura minore, per bus e treni.

Ma siccome anche l’auto privata è usata un po’ meno nei giorni di lavoro, la domanda inevitabile è dove se ne siano andati gli utenti del trasporto pubblico di Londra.

La risposta è che in parte lavorano ancora da casa (e verosimilmente ormai continueranno a farlo), in parte usano mezzi di mobilità leggera (come le bici) anche condivisa, anche sfruttando la nuova rete di ciclabili di cui la città, come tante altre al mondo, si sta dotando.

L’ultimo rapporto dell’osservatorio nazionale italiano della sharing mobility (purtroppo con dati solo fino al 2020, link sotto) mostra anche da noi un aumento geometrico di chi si muove con bici, scooter, auto o altro condivisi.

L’azienda dei trasporti di Scozia vedendo numeri simili nella sua area ha già cancellato alcuni degli investimenti di potenziamento che erano previsti.

Andiamo dunque verso la fine dei trasporti pubblici? Io non credo, ma credo che probabilmente andiamo verso una loro trasformazione, trainata anche dalla disponibilità di nuove tecnologie.

Intanto, la domanda di trasporti pubblici o condivisi avrà meno la natura di pendolarismo urbano a orari prefissati, almeno se sarà anche la flessibilità degli orari d’ufficio e non solo la possibilità di lavorare da casa ad affermarsi. E con meno intensità di viaggiatori di punta, la necessità di capacità delle infrastrutture si riduce anche a parità di passeggeri.

C’è nello stesso tempo il fenomeno della diminuzione dell’uso di auto private, che prima o poi, quando anche i nostri governi accetteranno di non poter ad libitum foraggiare questo settore fuori da ogni razionalità, comporterà una nuova domanda di trasporto anche tra piccoli centri che raramente è economico soddisfare con il treno. Su questo Derrick si è già avventurato in previsioni che sono facilmente rintracciabili al link in fondo a questa pagina.

Intanto qualcosa si muove a Roma riguardo all’infrastruttura ferroviaria: la stazione Vigna Clara pare proprio che inizierà a funzionare da giugno con treni per collegarla a Valle Aurelia. A chiudere a Nord-Est l’anello ferroviario della città manca però la relativamente breve tratta da Vigna Clara a est fino alla zona di stazione Nomentana (o all vicina stazione-fantasma di Val D’Ala) passando per quella di Tor Di Quinto che oggi serve la vecchia ferrovia da Roma piazzale Flaminio a Viterbo.

Puntata 474

Vediamo se qualcuno degli ascoltatori di Derrick si ricorda di una cosa che io leggevo già mi pare alla fine degli anni Ottanta in qualche periodico, forse Quattroruote. Era un apparecchio basato su tecnologia di comunicazione radio fatto per essere installato in macchina, simile a un Telepass ma non era un telepass: era un lettore di segnali in arrivo da postazioni fisse o mobili sulla strada per avvertire di pericoli dovuti a contingenze o alla conformazione della strada. Mi pare di ricordare che fosse un progetto che coinvolgeva ANAS o ACI, o entrambi. Si vide la pubblicità per qualche tempo, poi prevedibilmente scomparve: la cosa era troppo avanti e richiedeva un livello minimo di diffusione dell’infrastruttura per essere appetibile all’utente privato, ma quella stessa infrastruttura era difficile che si sviluppasse senza l’interesse dei clienti della scatolina. Un classico circolo vizioso che accompagna spesso l’introduzione di nuovi standard o infrastrutture.

Autostrada ad Abu Dhabi (foto Derrick)
Si trattava però davvero di un’iniziativa lungimirante. Lo sviluppo, parziale fallimento e reindirizzamento delle tecnologie di guida autonoma di veicoli stradali degli ultimi anni a mio avviso lo dimostra: nessuna intelligenza artificiale oggi è in grado di avere una cognizione abbastanza olistica e analogica da poter condurre un veicolo in ambienti non protetti su strada, se non con una dovizia di sensori che sfiora il ridicolo (noi guidiamo con due occhi e orecchie e mentre pensiamo a altro, le auto a guida autonoma hanno bisogno di telecamere ovunque, radar, sensori di distanza – anche se è probabilmente vero che noi siamo più fallibili).

Di conseguenza un filone importante degli investimenti nella guida autonomia si è spostato verso la mappatura di estremo dettaglio delle strade, servizio che si sta configurando come una vera e propria infrastruttura di interesse pubblico complementare alle strade stesse.

Uno dei settori più interessanti del piano di ripresa e resilienza mi sembra siano proprio i trasporti, suddivisi tra almeno due dei capitoli (detti ”missioni”) del Piano, il secondo (“Rivoluzione verde e transizione ecologica”) e naturalmente il terzo (infrastrutture per una mobilità sostenibile), in cui è evidente la quasi dicotomia (o più ottimisticamente complementarietà) tra aspirazione a collegamenti veloci tra hub e ramificazione locale dei trasporti.

Per un Paese come il nostro, di borghi che per quanto sempre meno popolati sono sede imprescindibile di bellezza, cultura e attrazione – e dopo il covid forse hanno anche qualche prospettiva di un ripopolamento residenziale da parte delle classi produttive oggi urbane – credo le nuove tecnologie dei trasporti e quindi le nuove forme di trasporto pubblico, saranno decisive.

Difficilmente per motivi di costi un treno potrà mai arrivare in un borgo rinascimentale collinare di 2000 anime. E gli autobus di linea difficilmente possono passare più di un paio di volte al giorno in ognuno degli innumerevoli borghi meno vicini al capoluogo di interconnessione ferroviaria. È verosimile quindi che la soluzione siano forme di uso condiviso di veicoli in grado di spostarsi da soli a seconda delle richieste degli utilizzatori e adatti a funzionare in modo collettivo. Una sorta di car sharing in pool e senza conducente, navette collettive interurbane flessibili che rispondano alle chiamate degli utenti accorpandoli contemperando efficienza e tempi di attesa, che possa costare poco in totale rispetto alle linee di bus e che magari riceva per questo contributi pubblici nel momento in cui vi si sostituisca. Anche a questo servirà l’infrastruttura per la guida autonoma.


Link: