lunedì 17 ottobre 2022

Il paradosso dell'export italiano di gas (Puntata 546 in onda il 18/10/22)

Questa puntata è tratta da un articolo più lungo scritto per ECCO Think Tank e leggibile integralmente al link sotto.

Una 500 esportata molto lontano
(Foto Derrick)
I mercati europei all’ingrosso di elettricità e gas sono interconnessi (non per niente si parla di mercato unico). Questo significa che gli interventi amministrativi sul mercato di un Paese hanno effetti anche su altri, effetti a volte contraddittori con obiettivi con cui gli stessi interventi sono stati proposti all’opinione pubblica.

Per esempio: il meccanismo con cui la Spagna ha fiscalizzato una parte del costo del gas per abbassare il prezzo dell’energia elettrica l’ha resa artificialmente competitiva rispetto a quella francese, e quindi la Spagna ha iniziato a esportare al massimo verso la Francia limitando il calo del prezzo interno.

In altri termini, le tasse degli spagnoli hanno sussidiato anche i clienti di elettricità di altri paesi.

Nel caso della Spagna, la scarsa interconnessione con il resto d’Europa rende questo problema limitato e proprio per questo l’UE ha dato comunque il via libera al meccanismo.

In un sistema elettrico più interconnesso, si arriverebbe invece all’apparente paradosso che il prezzo di mercato interno scenderebbe pochissimo e gran parte del vantaggio si trasferirebbe all’estero.

Nel sistema italiano di recupero dei cosiddetti extraprofitti dell’energia, questo problema non c’è, perché tale recupero è operato sui produttori in forma di tassa e non altera il prezzo di mercato all’ingrosso dell’elettricità. Una tassa che serve a finanziare (in modo molto parziale) gli sconti generalizzati oggi in vigore sulle bollette di famiglie e imprese.

C’è una distorsione che si sta però verificando anche in Italia. In forma, di nuovo, di export, in questo caso di gas. Export che non è mai stato così elevato come nei mesi a partire dalla crisi.

Perché l’Italia esporta gas in Europa? Perché è più interconnessa di altri paesi via tubo con fonti non legate alla Russia, il che frequentemente fa sì che il prezzo italiano del gas sia più economico di quello del mercato nordeuropeo.

E dove sta la distorsione?

Sta nel fatto che lo Stato italiano ha sussidiato l’acquisto di gas da immettere in stoccaggio, che è avvenuto in momenti di prezzi altissimi ai quali nessun operatore di mercato avrebbe messo fieno in cascina.

Se è vero che non è svuotando gli stoccaggi che stiamo esportando ora, bensì semplicemente sfruttando maggiore capacità di import rispetto alla richiesta nazionale, è anche vero che questo surplus sarebbe più basso se gli stoccaggi non fossero già pieni. In altri termini, quindi, l’export di oggi è anche una conseguenza dell’acquisto socializzato di gas durante l’estate.

La questione sarà ben più palese quando nell’inverno 23-24 avremo almeno uno dei nuovi rigassificatori pagati con garanzia dello Stato a sostenere tale export: export (e profitti) privati grazie a infrastrutture pagate con le tasse, e riduzione dei prezzi limitata proprio dall’export che collega i mercati facendo arbitraggio tra di loro.

Una discreta fregatura per il cliente di gas italiano che paga le tasse: il prezzo cala poco, le tasse o il debito aumentano tanto.

L’implicazione in termini di buone politiche è che sia gli investimenti in infrastrutture per la sicurezza energetica sia i meccanismi di controllo eccezionale del prezzo dovrebbero applicarsi a livello europeo. Oltre che essere coerenti con le politiche di decarbonizzazione. I rigassificatori tanto amati dalla politica mainstream, anche dalle aree che si professano attente alla sostenibilità economica, non vanno in questa direzione.


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domenica 9 ottobre 2022

Contratti gas e minaccia nucleare (Puntata 545 in onda l'11/10/22)

Francis Gavin dell’Università Johns Hopkins ritiene che quando si parla di conflitti nucleari non è tanto la superiorità negli armamenti a essere determinante, quanto la disponibilità a usarli davvero. E pochi soggetti sono più pericolosi di un despota ormai entrato in una fase molto oltre ogni possibilità di recupero.

Una cosa che mi sembra ci stia insegnando l’orribile aggressione russa è che il celebre assioma di Bastiat “dove passano le merci non passano gli eserciti” sembra non applicarsi più.

Né Putin né l’Europa hanno infatti finora chiuso del tutto i rubinetti del gas. Il primo, piuttosto, li modula già da prima dell’invasione per controllare il prezzo e il livello di minaccia verso l’occidente, e purtroppo trova terreno fertile in paesi europei disuniti dove la proposta della Commissione (e di autorevoli economisti) di mettere un dazio straordinario sul gas russo resta minoritaria.

Noi europei preferiamo tenere aperto un canale di vessazione del regime russo pur di non perdere il gas (sempre meno) che ci dà quando ne ha voglia, mentre avremmo la capacità di accelerarne il collasso economico estendendo al gas le sanzioni. Da un lato abbiamo messo in campo costosissime azioni per porci in grado di rinunciare al gas russo, dall’altro non ce ne avvantaggiamo in termini tattici e non abbiamo il coraggio di applicare nemmeno una tariffa selettiva. Estraiamo i cosiddetti extraprofitti dalle fonti rinnovabili, ma non dal gas di Putin.

E anche il governo ucraino si guarda bene dal compromettere questo filo commerciale: gli unici tubi di esportazione dalla Siberia oggi passano sul suo territorio (disturbati solo da incidenti tecnici quando la Russia decide di causarli o inscenarli), e verosimilmente l’Ucraina viene regolarmente remunerata dalla Russia per il transito (in gas? Può darsi).

Vedete che più contraddittoria dell’assioma di Bastiat di così questa situazione non potrebbe essere.

A parziale discolpa delle nazioni europee (non dico dell’UE, perché come abbiamo visto la posizione della Commissione non è quella immobile del Consiglio) potrebbe essere il fatto che se Gazprom non ha ancora contravvenuto ai minimi commerciali di esportazione (anche grazie alle finte cause di forza maggiore addotte quando gli è utile) se fossero i clienti a violare per primi i contratti questo li metterebbe in una condizione di svantaggio nella sede di un arbitrato internazionale.

Ma veramente si pensa questo? Di salvaguardare un contratto con una controparte che minaccia un attacco nucleare?

Altro problema da considerare è che in caso di chiusura dei rubinetti dovrebbe essere l’Europa a esportare gas all’Ucraina questo inverno, ma non si tratta di numeri preoccupanti se prima della guerra l’import Ucraino di gas (che ne è un discreto produttore) era di meno di 13 miliardi di m3/anno secondo worlddata.info.

La deterrenza nucleare serve a poco contro un uomo che sa di essere ormai destinato o a cadere lui da solo o a portare al disastro la sua nazione (o anche tutte le altre). Anzi potrebbe aizzare una comunità di guerrafondai patriottici.

Mettere sul lastrico l’economia pubblica russa chiudendo noi i rubinetti forse invece accelererebbe una sollevazione del paese.

E a me darebbe l’impressione che quel pochissimo gas che ancora uso in casa (solo per la doccia) non è più macchiato di sangue.


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