Una centrale termica a pellet |
Il 9 ottobre 2024 il ministro Pichetto Fratin è stato audito in Parlamento sulle prospettive dell’energia nucleare in Italia. Ecco la mia sintesi della memoria che ha presentato.
La prima notizia mi sembra l’abbandono delle velleità verso
centrali nucleari dell’unica dimensione esistente oggi al mondo: cioè quelle
grandi, che tipicamente vedono siti dell’ordine di almeno 1 GW. Nella memoria
del ministro si legge infatti che “non stiamo valutando centrali di grandi
dimensioni di prima o seconda generazione” ma solo i piccoli Small Modular
Reactor e, in prospettiva più remota, gli Advanced Modular Reactor
autofertilizzanti, sulla cui ricerca il ministro dice che l’Italia è ben posizionata,
ma che non sono una tecnologia in alcun modo vicina alla disponibilità
commerciale.
È una notizia, perché invece il piano nazionale
energia-clima (così come precedenti dichiarazioni del Governo) parla di
un’adozione potenziale di tutte le opzioni tecnologiche esistenti, da quelle
oggi mature fino alla fusione nucleare.
Il nucleare di cui parla Pichetto è quindi di un tipo oggi
non operativo in nessun luogo del mondo e che, stando ai piani dei pochi
soggetti industriali che se ne occupano, non vedrà prototipi attivi ancora
verosimilmente per il resto del decennio. L’unico SMR sperimentale in
costruzione mi risulta essere in Cina.
Un altro tema, prevedibile ma non per questo meno rilevante,
è la sovranità. Non poteva mancare una sua applicazione al nucleare: “La catena
produttiva sarà in gran parte realizzata in Italia” scrive Pichetto nella sua
memoria d’audizione. Il che è coerente con l’impegno del ministro a realizzare
nel 2039 il deposito di lungo termine delle scorie nucleari in Italia,
necessario non solo al vecchio ed eventualmente nuovo nucleare per produzione
elettrica, ma anche alle applicazioni non energetiche (soprattutto mediche) che
producono ogni anno dai 300 ai 500 m3 di rifiuti a bassa e media intensità,
oggi raccolti in 22 siti che, suggerisce implicitamente il ministro credo con
qualche ragione, dovrebbero preoccuparci più dell’unico sito futuro. Il quale
potrà essere ospitato in uno dei 51 luoghi già identificati come idonei, una
volta fatta la valutazione ambientale strategica e trovati accordi con la
regione interessata, ha spiegato il ministro.
Il sovranismo nucleare prevederà anche un monopolista
“nazionale” di “dimensioni e competenze” opportune. Scelto dal Governo? Con
quali garanzie della contendibilità del settore, ammesso che tali garanzie
interessino ancora nell’era del sovranismo e che la nuova Europa si occuperà
ancora di concorrenza e democrazia economica nella sua nuova visione di
competitività?
Converrà l’energia dei minireattori? Il ministro si è
esposto in una valutazione quantitativa di 17 miliardi di € di risparmi
(all’anno, presumo) nel 2050, che per essere presa sul serio richiederebbe la
messa a disposizione da parte del Governo delle logiche e dei numeri del
simulatore che l’ha ricavata. Per orientarsi, l’intero valore all’ingrosso
dell’elettricità consumata oggi in un anno in Italia non raggiunge i 30
miliardi.
Sulla convivenza tra il nuovo nucleare e le fonti
rinnovabili il ministro dà solo rassicurazioni generiche. A me continua a non
essere chiaro (e nessuno mi ha mai risposto per ora) come una tecnologia ad
alti costi di capitale possa essere adatta ad accendersi solo quando mancano
sole e vento, oppure chi si farà carico dei costi di stoccarne il sovrappiù di
produzione nei periodi in cui le rinnovabili forniranno l’intera domanda (il
che succederà quasi sempre visti gli impegni già presi dal Governo e soprattutto
lo sviluppo sempre più rapido delle rinnovabili).
Il ministro, riassumendo, propone un futuro di minireattori
flessibili e distribuiti sul territorio, ritenendoli più convenienti rispetto
alle altre tecnologie di complemento alle fonti rinnovabili. Un futuro
in cui lo stesso Paese che impiega oggi 7 anni per autorizzare un sito eolico
accetterà di buon grado varie decine di reattori nucleari sparsi per il
territorio, anche annessi ai vari distretti industriali.
Confindustria, con il suo nuovo presidente Orsini, ha
rilasciato dichiarazioni secondo trova questo scenario più verosimile rispetto
alla transizione energetica già impostata, che invece rischierebbe di rendere
l’energia e quindi l’industria meno competitiva. Probabilmente Orsini ha in
mente uno scenario in cui a pagare i costi dell’energia nucleare non sono i
suoi associati.
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