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martedì 19 marzo 2019

20 anni dal decreto "Bersani" di liberalizzazione energia (Puntata 391 in onda il 19/3/19 e in replica il 7/5/19)

Vent’anni fa il Governo italiano applicava al settore dell’energia elettrica, con il cosiddetto decreto Bersani (decreto legislativo 79/99), molti dei principi fondamentali della liberalizzazione nel settore già impostati da un primo round di direttive europee (e già in applicazione anche con altre norme), che a sua volta si ispiravano all’esperienza di successo inglese. Del tema hanno scritto tra gli altri Benedettini e Stagnaro sul Foglio e De Paoli su Staffetta Quotidiana. Fu una norma per alcuni versi più forte di quella di altri Paesi UE, perché per esempio obbligava Enel a cedere parte delle proprie centrali per rendere in fretta e davvero competitivo il settore della generazione elettrica.

Demolizione del palazzo della Repubblica
(Berlino, 2008)
Il nuovo assetto avrebbe richiesto anni per applicarsi e deve tutt’ora farlo compiutamente. Prevede concorrenza nella produzione, trading e vendita di energia, monopolio nella gestione delle reti regolato da un’autorità indipendente dal Governo, che stabilisce appunto le tariffe delle attività regolate ma controlla anche correttezza degli operatori in concorrenza.

Si possono fare bilanci della liberalizzazione fino a ora? Sì:
  • Il parco delle centrali elettriche è quasi raddoppiato in capacità e si è in gran parte rivoluzionato in termini di efficienza ambientale ed economica (da vecchie centrali a olio combustibile o a gas ma inefficienti verso centrali flessibili ed efficienti già capaci di produrre circa 1/3 dell’energia da fonti rinnovabili).
  • La qualità del servizio soprattutto in termini di interruzioni di fornitura è enormemente migliorata.
  • Il prezzo di un cliente domestico-tipo in termini reali è rimasto quasi invariato, a fronte di investimenti in qualità ecologica e sicurezza della fornitura di centinaia di miliardi di Euro operati sia da soggetti di mercato sia regolati. 

Tutto bene quindi? No, non tutto: ecco cosa non va secondo Derrick (anche alla luce delle tante mail che riceve):
  • Gli inconvenienti commerciali legati alla telelettura del contatore, o anche solo all’accesso degli operatori ai dati anagrafici dei punti di consumo, soprattutto in fase di cambio di fornitore, sono ancora frequenti e in grado di diventare incubi per il cliente in termini di contenziosi e bollette farneticanti. Siamo un paese avanzatissimo per diffusione dei contatori elettronici (pagati in bolletta), eppure l’accesso ai dati tempestivi e affidabili di consumo ha ancora troppi buchi. E quindi applicazioni di reattività rapida automatica dei clienti domestici ai segnali di prezzo sono per ora solo abituale fantascienza da convegni.
  • Gli operatori integrati, che gestiscono sia reti sia vendita sul mercato libero e su quello tutelato, in alcuni casi (accertati dall’Autorità antitrust quelli di Enel e Acea) abusano della propria posizione di vantaggio informativo e dominanza per svolgere politiche predatorie sul mercato della vendita dell’energia, con danno alla concorrenza e quindi ai clienti, e con la tolleranza di fatto dei loro soci Governo e enti locali, evidentemente – e in parte inevitabilmente - interessati alle cedole.
  • In generale i venditori di energia non sono ancora del tutto capaci (o nei casi peggiori: disposti) a parlare un linguaggio chiaro ai clienti in termini di offerta commerciale. Credo questo si debba in parte a tardata acquisizione di cultura del mercato di massa nel settore energia, in parte a interventi troppo invasivi e burocratici del regolatore, che arriva a stabilire la terminologia di voci in bolletta senza che il risultato sia efficace in termini di comunicazione. Non mi stancherò mai di fare questo esempio: il corrispettivo “per il trasporto e per la gestione del contatore” cos’è? Un uso così gergale dell’italiano fa sì che quasi solo gli addetti ai lavori possano leggere la cosa giusta.

 Ringrazio Antonio Sileo

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