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sabato 11 febbraio 2017

Rapporto UE di febbraio 2017 sulle politiche ambientali italiane (Puntata 302)

Nell’ambito del 7° Programma Europeo d’Azione per l’ambiente, la Commissione UE (direzione generale ambiente) ha diffuso il 3 febbraio 2017 una relazione sull’attuazione delle politiche ambientali a cui l’Italia è impegnata da norme e accordi europei. Si tratta di una relazione che copre tra gli altri gli ambiti della gestione dei rifiuti, del suolo e del rischio idrogeologico, dell’utilizzo efficiente delle risorse naturali, della protezione della qualità dell’aria e della sostenibilità della vita in città. Il documento suggerisce anche alcune politiche efficaci secondo gli estensori per perseguire gli obiettivi non raggiunti.

Vediamo alcuni dei punti. Riguardo alle performance italiane, un indicatore di come la cosiddetta economia circolare stenti in Italia sono i dati sulla differenziazione della raccolta dei rifiuti, settore in cui il nostro Paese nel 2014 era ancora lontano dall’obiettivo del 50% cui eravamo impegnati per il 2009, con il nord che pur facendo meglio della media era ancora a sua volta lontano dall’obiettivo del 2011. Quale politica potrebbe aiutarci secondo la DG Ambiente? Una tassa sui rifiuti conferiti in discarica, e il favorire la collaborazione tra Regioni, quest’ultimo punto opposto a quanto spesso prescrivono le nostre norme regionali.

Uso del suolo: l’Italia nel 2012 era il 4° paese più costruito dell’UE, il che è abbastanza impressionante se pensiamo che in Europa ci sono anche città-Stato densissimamente abitate, e con un consumo di suolo (cioè di nuovo suolo reso artificiale) dello 0,37% all’anno nel periodo 2006-2012.

Aria. Sapete quant’è secondo gli studi usati dalla Commissione il valore economico del danno da esposizione a inquinanti dell’aria, soprattutto in zone urbane, in Italia (nettamente peggiore che nella media UE)? 47 miliardi di Euro 2010. E non è solo l’inquinamento il problema delle nostre città, che sono messe molto male anche in termini di danni da traffico congestionato per tempo e reddito persi (numeri alla mano, l’Italia può ritenersi un Paese nettamente sottosviluppato per abnorme diffusione di auto private e scarso uso di trasporto pubblico urbano).
Come ovviare? I segnali economici sono lo strumento più sensato per la Commissione, che ci consiglia un’imposizione fiscale che stimoli comportamenti più virtuosi. 20 miliardi all’anno è quanto si potrebbe recuperare riparametrando le imposte ambientali (che secondo la definizione internazionale, che include per esempio il bollo auto, sono già relativamente alte rispetto alla media UE) per restituirle ai redditi da lavoro e rilanciare l’economia, di cui circa 9 arriverebbero solo dall’armonizzazione delle tasse dei carburanti nei trasporti. Una tassa per l’estrazione dell’acqua potrebbe valerne quasi 5, e anch’essa incentiverebbe comportamenti virtuosi.

Vi ricorda qualcosa questa ricetta? Sono gl’interventi proposti da Radicali Italiani e Legambiente già 3 anni fa con #Menoinquinomenopago e in parte previsti nella delega fiscale approvata dal Parlamento nel 2014 e mai attuata dagli esecutivi.

Quando il governo non trova risorse per abbassare le tasse sul lavoro, o quando per anni non è in grado di fare nemmeno un documento programmatico sull’ambiente, beh, sta di fatto proteggendo rendite che danneggiano la bellezza e salubrità del nostro patrimonio naturale e che danneggiano il potenziale innovativo della nostra economia.

Link:

martedì 28 giugno 2016

Eni, Enel e l’equivoco di Renzi (da Staffetta Quotidiana) - D283

Sapete che Derrick a volte riesce a fare sue elaborazioni su dati o informazioni pubbliche, altre volte dà spazio a istituti di ricerca o testi accademici, altre volte ancora riprende spunti di giornalisti specializzati. Questa volta farò la cosa più comoda per me: riporto ampi stralci di un articolo uscito venerdì 24 giugno su Staffetta Quotidiana a firma di Gionata Picchio, condirettore della Staffetta, e Antonio Sileo ricercatore e giornalista dell’energia ben noto agli ascoltatori di Derrick che si pregia ogni tanto della sua collaborazione. Ecco dunque:
Da oggi ogni volta che qualcuno chiederà qual è la strategia” sull'energia “posteremo questa conferenza stampa”. Così il premier Renzi concludeva l'incontro coi media di giovedì dedicato al futuro delle fonti rinnovabili e dell'energia in Italia. Evento culminato nel varo di un atteso decreto incentivi ma focalizzato per gran parte del tempo sulle strategie nel settore rinnovabili delle società a partecipazione pubblica Eni, Enel e Terna.
Cosa intende il presidente del Consiglio per strategia? L'impressione che si ricava dall'intero incontro è che Renzi faccia una pericolosa confusione tra due piani: il disegno complessivo di priorità [...] che spetta al Governo - e di cui giovedì si è visto ancora poco - e le strategie di singoli operatori […].Così anche un atto previsto e dovuto come il decreto incentivi […] diventa una bandiera.
(Nota di Derrick: si tratta del decreto con cui periodicamente il Ministero dello Sviluppo regola entità e accesso degli incentivi pubblici ai nuovi investimenti in impianti di produzione elettrica da fonti rinnovabili).
Ma […] in un evento dedicato alle iniziative del governo sulle rinnovabili, il decreto è stato praticamente l'unica davvero catalogabile come tale. Mentre il resto è stato affidato ai piani dei big “pubblici”.
[…]
Il Governo non può delegare la strategia complessiva per il Paese a singole aziende, per quanto partecipate, a cui può al più provare a chiedere interventi e collaborazione su singoli aspetti. Tra i quali, per inciso, non necessariamente fare da testimonial, come forse con qualche imbarazzo hanno fatto i tre manager nominati da Renzi nel 2014. E sempre ricordando che si tratta di società con molti azionisti, quotate in borsa e operanti su mercati che – diversamente dai tempi del ministero delle PPSS, abolito con referendum nel 1993 – funzionano secondo i principi delle liberalizzazioni.
Sull'energia, come su ogni altro settore, l'esecutivo dovrebbe definire una cornice d'insieme di indirizzi e obiettivi, con provvedimenti di ampio respiro e portata generale, tenendo conto che esiste un mercato in cui operano imprese “pubbliche” [tra virgolette nel testo] e private in concorrenza, e in cui l'azionista Stato non deve privilegiarne alcune [...].
(Nota: una strategia energetica nazionale peraltro come gli ascoltatori di Derrick sanno c’è, l’ha fatta il Governo nel 2013 e non è stata formalmente superata che io sappia. Né, però, è mai passata in Parlamento e quindi difficilmente è invocabile per guidare leggi o decreti successivi).
Se il governo vuole davvero spiegare la sua strategia, farebbe meglio a presentare un provvedimento come il Green Act. Annunciato a gennaio 2015, dovrebbe essere un pacchetto di misure legislative sull'economia e l'ambiente: un'Agenda Ambientale per promuovere lo sviluppo e le eccellenze dell'economia verde in Italia e che avrebbe dovuto rappresentare anche la posizione italiana in vista della conferenza di Parigi sul clima. […]

Grazie a Antonio Sileo, Gionata Picchio e Staffetta Quotidiana.

domenica 22 novembre 2015

Torna #menoinquinomenopago - D256 e 258

Anche quest’anno ho visitato Ecomondo, la fiera delle tecnologie per l’ambiente che si tiene a Rimini, ma non nel giorno in cui il “Consiglio Nazionale della Green Economy” ha presentato lì un documento intitolato “Qualificare la ripresa con lo sviluppo di una green economy”.

Chi ne sono gli estensori? Una miriade di università, istituti di ricerca e soprattutto associazioni di industriali. Non sto parlando di industriali che guadagnano solo con l’ecologia: ma anche, per esempio, del settore pneumatici, di operatori ferroviari, di produttori di vetro, di energia, di imballaggi di vario tipo.

Cosa chiedono questi attori riuniti? In parte soldi, aiuti, eccetera, e questo è normale, chi non lo fa? Ma chiedono anche, e questo è più significativo, di essere responsabilizzati maggiormente e non danneggiati dalle norme italiane se si comportano in modo sostenibile. Chiedono di limitare e contabilizzare l’uso di risorse non rinnovabili come il territorio, di rendere respirabile e razionale la mobilità urbana, di procedere con una revisione green del fisco e usare in altro modo gli incentivi oggi antiecologici. In sostanza, una parte cospicua dell’industria, consapevole di avere davanti un futuro di sfide e investimenti verso la sostenibilità, chiede alle istituzioni di fare politiche coerenti con questo progresso che, se da un lato sta già avvenendo, dall’altro è danneggiato da scelte di governo che lo contrastano perfino.

Il Parlamento si è espresso in materia? Come no: con la delega fiscale del 2014 impegnava il Governo a una riforma green del sistema delle tasse. Il Governo però ha violato la norma lasciando scadere la delega senza far nulla salvo l’annuncio nel marzo 2015 di un fantomatico Green Act mai presentato. Un testo con questo nome in effetti gira tra gli addetti ai lavori, ma per ora è solo un file di Word non firmato.

E qui veniamo a #menoinquinomenopago, l’iniziativa di Radicali Italiani e Legambiente che in modo un po’ più dettagliato di altre quantifica i sussidi antiecologici in Italia e propone soluzioni. La prossima puntata dell’iniziativa verrà presentata al senato giovedì 12 novembre 2015 e consisterà in proposte di emendamento alla legge di Stabilità che prevedono, tra le altre cose, la sospensione dei regimi di favore sulle accise sui combustibili fossili (circa 5 miliardi di sussidio antiecologico nell’ultimo bilancio di previsione dello Stato, di cui circa 3,5 solo nel settore dei trasporti commerciali) e il loro utilizzo in riduzione delle imposte sui redditi e in contributi agli investimenti in efficienza energetica.

La presentazione sarà alla sala Isma del Senato in piazza Capranica 72 il 12 novembre alle 10 con molti dei parlamentari che la supportano, con il segretario e il tesoriere di Radicali Italiani Riccardo Magi e Valerio Federico, con il vicepresidente di Legambiente Edoardo Zanchini e con il sottoscritto.

Com'è poi andata


L’analisi degli emendamenti in commissione Bilancio del Senato si è conclusa con la terza settimana di novembre, e l’unico parlamentare che abbia fatto proprie in questo frangente parte delle nostre proposte è stato il senatore Gianni Girotto del M5S. Sentiamolo ai microfoni di Derrick:




Grazie al senatore Girotto.

Con che motivazione il suo emendamento, coerente con la Delega Fiscale e identico all’impostazione che le bozze di Green Act recano, è stato respinto dalla maggioranza in Commissione? Mistero.

Viene il dubbio che per la maggioranza di governo la revisione green del fisco sia un tema adatto ai convegni ma non ai fatti. Proprio in queste ore il ministro Galletti auspica per l’imminente riunione di Parigi sul clima nuove norme vincolanti, ma non mi risulta abbia criticato la sua maggioranza per l’ostinazione con cui nella politica interna osteggia le stesse riforme.

Con la settimana dal 23 novembre 2015 inizia l’esame della Stabilità alla Camera, dove speriamo che altri parlamentari raccolgano l’appello di #menoinquinomenopago, come in passato ha già fatto una proposta di legge di Oreste Pastorelli (PSI) firmata anche dal presidente della commissione ambiente Ermete Realacci.

domenica 1 marzo 2015

Fisco e parafisco dell’energia nell’era del petrolio a buon mercato

Quando l’imposta non è verde - Fisco e parafisco dell’energia nell’era del petrolio a buon mercato

(di Michele Governatori - Apparso su QualEnergia n.1/2015)

Imposte sui redditi, imposte sui consumi e sui comportamenti

L’Italia tassa i redditi (quelli noti al fisco, s’intende) più della media UE. Questo vuol dire che un cittadino o un’azienda onesti hanno meno interesse ad aver successo economico in Italia che altrove. E infatti in un contesto europeo integrato è sempre più verosimile che un giovane professionista o imprenditore sicuri del proprio potenziale decidano di andarsene altrove. Così come è sempre più probabile che una persona di reddito medio-alto decida di andare a vivere fuori dal Lazio per non pagare l’addizionale record d’Italia (e un punto secco in più nel 2015: i fortunati residenti l’avranno notato con ribrezzo con lo stipendio di gennaio).

Ma qual è l’alternativa a un’aspra tassazione dei redditi? Già nel 2011 la Banca d’Italia (con un documento a firma del poi sottosegretario Vieri Ceriani reperibile sul sito della Banca) consigliava al Governo di rivedere la tassazione spostandone una parte ulteriore dai redditi ai consumi, e lo stesso faceva sempre nel 2011 la BCE in una delle sue richieste nella famosa lettera al Governo Berlusconi.

Anche tassare i consumi, naturalmente, ha le sue controindicazioni. In particolare, è distorsivo tra le categorie di beni assoggettate a diverse aliquote d’imposta. Ma l’effetto finale torna positivo se le distorsioni indotte dall’imposta al consumo ne bilanciano altre già esistenti, per esempio perché correggono esternalità ambientali. Per questo, se ben bilanciate, le imposte “ambientali” sui consumi possono essere un’ottima soluzione per introdurre segnali virtuosi in modo non troppo dirigista e nello stesso tempo permettere di alleggerire il peso sui redditi. Con il risultato di dare più potere d’acquisto a chi abbia voglia di mutare i propri comportamenti.

Imposte ambientali: rendiamole davvero ecologiche (ed efficienti)

Appartengono alla definizione di imposte ambientali, per esempio, le accise a prodotti energetici il cui consumo provoca effetti negativi all’ecosistema. Peccato che, in Italia e non solo, esse vengano applicate in molti casi con modalità controproducenti dal punto di vista ecologico. Il caso più clamoroso è quello delle accise sui carburanti che vedono forti sconti proprio per i consumatori più intensivi: quelli per i quali il prezzo è più critico per attivare investimenti in efficienza nei consumi. Una persona comune che fa un pieno di gasolio da 50 litri paga per la stessa quantità oltre 10 Euro più di un TIR, per esempio. Cioè sussidia i tubi di scappamento più grossi. L’accisa diventa quindi un’imposta assai poco ambientale, che si trasforma in uno dei sussidi dannosi all’ambiente secondo la classificazione dell’OCSE, e che l’OCSE stessa con la sua Environmental Performance Review del 2013 ha raccomandato al Governo italiano di eliminare.

La necessità di una revisione in chiave ecologica della fiscalità del resto è anche nella legge italiana. Lo dice la delega fiscale del marzo 2014 all’articolo 15. Peccato la norma subordini la revisione all’approvazione della nuova direttiva UE sulla tassazione dei prodotti energetici, che la neonata Commissione di Schultz ha messo fuori dall’agenda. Così l’obbligatorietà della riforma è bloccata, a meno che non passi una proposta di modifica alla delega fiscale come quella di Legambiente e Radicali Italiani nell’iniziativa #menoinquinomenopago, presentata alla Camera con prima firma dell’on. Oreste Pastorelli e firme aggiuntive di una quindicina di deputati.

Il legame tra sistema fiscale e sussidi, in particolare legati all’energia, è evidente, se è vero che uno sconto d’imposta genera un vantaggio competitivo quanto un sussidio. La riforma ecologica del fisco quindi deve avvenire insieme a una revisione di tutti i sussidi, in modo che l’effetto complessivo sia di internalizzare le esternalità oltre che di perseguire la trasparenza fiscale. E non solo: bisogna mettere mano anche al sistema della parafiscalità delle bollette, dove si annidano sussidi ai grandi consumatori e a quelli più intensivi che sono più l’esito stratificato di singoli interventi di aiuto, e conseguenti reazioni, che di una visione lineare.

Un caso emblematico della guerra nei sussidi dell’energia è stata la prevedibile reazione dei settori energy intensive non manifatturieri a una delle norme di sconto politico sul prezzo che avvantaggiava solo i loro concorrenti manifatturieri.

Il governo Renzi ha iniziato a metter mano al sistema dei trasferimenti tra categorie di consumatori delle bollette, ma non ancora nel modo più coerente e radicale, che sarebbe quello di far pagare il costo totale dell’energia (esternalità e oneri di sistema diretti inclusi) senza alcun sussidio incrociato. Coerente anche con il primo punto della Strategia Energetica Nazionale che pone l’obiettivo dell’efficienza energetica.

Riflettiamoci: come si fa a consumare in modo efficiente una risorsa di cui si paga un prezzo politico diverso dal costo pieno?

I sussidi alle fossili di energia e la loro interazione con quelli alle fonti rinnovabili

Come hanno scritto Alberto Saravalle e Carlo Stagnaro il 21 gennaio sull’Huffington Post, gran parte dei sussidi da eliminare nell’energia sono quelli alle fonti fossili, che una volta tolti possono comportare possibilità di alleggerimento anche di quelli alle fonti rinnovabili.
Saravalle e Stagnaro, come già la Banca Mondiale nel suo ultimo Global Economic Prospects e il Fondo Monetario Internazionale con dichiarazioni di Olivier Blanchard, affermano che il prezzo eccezionalmente basso del petrolio è un’occasione d’oro per procedere alla revisione dei sussidi dell’energia, perché la riduzione dei prezzi dei prodotti energetici fossili rende assorbibile un taglio degli aiuti al loro consumo.
Più complessa a parere di chi scrive è l’interazione lato offerta dei sussidi all’energia col petrolio a buon mercato. Il quale rende l’offerta più competitiva solo quando l’input del processo di trasformazione ha un prezzo legato a quello del petrolio. In questo senso, un recentissimo parere dell’agenzia statunitense per l’informazione sull’energia (eia.gov) afferma che le fonti elettriche rinnovabili non dovrebbero veder danneggiata la loro competitività dal calo del greggio, in quanto competono con produttori i cui costi sono perlopiù non legati a quello del petrolio.
Più nel dettaglio, un articolo di Marianna Antenucci e del sottoscritto sul volume XVI di Critical Issues in Environmental Taxation indaga usando dati empirici del mercato italiano come nel sistema della generazione elettrica una carbon tax avvantaggerebbe alcune categorie di fonti rinnovabili (quelle che percepiscono un incentivo indipendente dal prezzo di mercato dell’elettricità) e si chiede che tipo di incentivi alle rinnovabili si adattano automaticamente alle fluttuazioni del prezzo delle emissioni CO2 o all’intensità di una carbon tax, elemento quest’ultimo che è ragionevole aspettarsi venga reintrodotto una volta messa in campo la riforma del fisco cui accennavo. Maggiori informazioni sono sul blog Derrickenergia di cui al link sotto.
In ogni caso, lato domanda e lato offerta, per fare affermazioni conclusive in termini distributivi occorre valutare la competitività dei mercati per capire quali parti della filiera si tengono effettivamente l’effetto del minor sussidio e del minor prezzo del petrolio. È però certamente condivisibile l’affermazione generale di Saravalle e Stagnaro circa il fatto che la riduzione di un sussidio a una determinata categoria crea di norma spazio per un “disarmo” multilaterale, per un effetto di de-escalation simmetrico a quello descritto sopra.
Dobbiamo essere ottimisti riguardo a una possibile riforma da parte del Governo?
Una nota positiva è l’annuncio da parte di Renzi per marzo di un “Green Act”.
Quanto più sarà pervasivo l’intervento, toccando le regole della parafiscalità e della fiscalità legate all’energia e all’ambiente, tanto più potrà dare effetti positivi in termini di efficienza dei mercati e correttezza della concorrenza, eliminazione degli incentivi dannosi all’ambiente, naturale incentivo all’efficienza energetica.


Italia - Sconti alle accise sui prodotti energetici per settore

Stime 2014
Stime 2014
Settore
Sconto in milioni di €
Di cui a fonti fossili
(Stime a inizio 2014 - Ragioneria Generale dello Stato)
(Stime dell'autore su dati Ragioneria)
Trasporti
3943,3
3757,7
Agricoltura
1016,5
975,8
Manifattura
71,5
71,5
Altro
828,4
586,6
Totale
5859,7
5391,6


martedì 13 gennaio 2015

Opportunità del petrolio basso - D224

Un articolo del 7 gennaio scorso di Ferdinando Giuliano economista corrispondente del Financial Times commenta l’ultima edizione del report semestrale Global Economic Prospects della Banca Mondiale, che in un capitolo analizza cause e possibili effetti del calo repentino del prezzo del petrolio di questi mesi, e le possibili e auspicabili conseguenze di politica economica e fiscale.
Il petrolio a buon mercato, dice la Banca Mondiale, è un’occasione per rivedere la fiscalità dell’energia e i sussidi ai consumi di prodotti petroliferi, perché il prezzo basso bilancia l’impatto negativo delle riforme su chi beneficia dei sussidi. La Banca Mondiale già in passato ha scritto che i sistemi di sussidi, anche in forma di fiscalità di vantaggio, ai consumi di energia fossile comportano effetti negativi sia in termini di equità fiscale, sia in termini di incentivi perversi contro l’efficienza energetica e l’innovazione.

La raccomandazione di usare questa congiuntura per ridurre i sussidi alle fonti fossili (quantificati come gli ascoltatori di Derrick sanno dalla IEA a livello globale in circa 500 miliardi di dollari nel 2011) è coerente anche con dichiarazioni di Olivier Blanchard, capo economista del Fondo Monetario Internazionale.
Una stima incompleta ma rigorosa dei sussidi antiecologici in Italia si trova nel manifesto di #menoinquinomenopago di Radicali Italiani e Legambiente reperibile sul sito di Radicali Italiani.

E restiamo dunque in Italia, dove la delega fiscale dell’anno scorso prevedeva una revisione ecologica del fisco che non è mai partita (ma che è ragionevole attendersi a marzo con il Green Act promesso da Renzi). Anzi in Italia dal 2015 le imposte si sono spostate ancora di più dai consumi fossili ai redditi.
Facciamo il caso di una famiglia che vive nel Lazio, monoreddito da 36.000 €/anno con due figli e che usi l’auto per 20.000 km all’anno con consumi diciamo di 1500 litri di gasolio per autotrazione. Dal 2015 avrà uno sconto accise dell’ordine di 5 euro totali sui consumi di gasolio, e pagherà 360 euro in più di tasse sul lavoro grazie all’incremento-monstre dell’IRPEF nel Lazio di un punto percentuale secco (il caso più clamoroso di aumenti generalizzati delle imposte regionali sul lavoro).

Zingaretti via twitter ha scritto che è un atto di equità sociale. Io, come sapete, non sono d’accordo, credo che la cosa più equa che potrebbero fare amministrazioni in bancarotta a causa del conto delle clientele di anni e anni sarebbe fallire, e quindi almeno in parte non pagare quel conto, anziché farlo pagare ai contribuenti e vantarsene pure.