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martedì 26 agosto 2025

Sicurezza dei ciclisti su strada, con Omar Di Felice (Puntata 684 in onda il 26/8/25)

Illustrazione di Paolo Ghelfi
Questa puntata si può ascoltare qui.

144. Sono i morti di ciclisti in incidenti stradali nel 2025 in Italia fino al 17 agosto secondo il rapporto che ASAPS fa con dati SAPIDATA (grazie all’associazione amici della polizia stradale per questo lavoro ed è curioso che non sia un organo istituzionale pubblico a fornirne i dati bensì – e ringrazio anche a loro – un’azienda di servizi sanmarinese, SAPIDATA appunto).

Il dato di 144 morti in meno di 8 mesi – 12 dei quali da cosiddetti pirati della strada poi scappati - è in aumento rilevante rispetto all’anno scorso di oltre il 20% se si confrontano i primi sei mesi. È un indicatore che diventerebbe ancora più impressionante se lo si parametrasse ai pochi chilometri fatti in bici rispetto all’auto in Italia, dato che al momento non sono riuscito a reperire.

Ho chiesto un commento a un campione di ciclismo di cui sono anche fan: Omar Di Felice, credo l’atleta italiano che ha vinto di più a livello internazionale nella disciplina dell’ultracycling, che consiste in gare su strada di lunghezze e dislivelli impressionanti.

Sentiamolo:

https://on.soundcloud.com/sCoNPwUAukYBHBfAp0

Grazie a Omar Di Felice. Che sui suoi social del tema scrive in modo dettagliato. Per esempio consiglia ai ciclisti di non buttarsi sul ciglio della strada, ma di occupare la corsia normalmente, come prevede il codice, per evitare di incoraggiare sorpassi delle automobili senza spazio di sicurezza.

Se non conoscete ancora questo atleta vi consiglio di seguire in particolare i suoi viaggi in solitaria in luoghi remoti e a volte estremi del mondo, tra cui uno recente in Tibet. Di Felice è anche autore di quattro libri. Io per prepararmi a questa puntata ho letto il suo “Pedalando nel silenzio di ghiaccio”, Rizzoli 2019, in cui parla della sua crescita come atleta e persona attraverso le imprese in bici della prima parte della sua carriera.

Ringrazio anche Valeria Galli già del team di comunicazione di Di Felice per averci messo in contatto.
 

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martedì 17 giugno 2025

Viaggio in Armenia e Georgia (Puntate 676-8 in onda il 17 e 24/6/2025 e 1/7/2025)

Disegno di Paolo Ghelfi
Paolo Ghelfi e Michele Governatori hanno viaggiato in Armenia e Georgia dal 7 al 16 giugno 2025, anche con uno sguardo alle infrastrutture dell'energia incontrate lungo la strada.

La puntata su Yerevan, Armenia, è ascoltabile qui.

Qui la prima delle due in Georgia (9-11 giugno 2025), tra la capitale Tiblisi e l'estremo Nord dei monti caucasici al confine con la Russia.

Qui la puntata successiva, tra Mzkheta, Ureki sul mar Nero e Kutaisi, con registrazioni fino al 15 giugno 2025.

I minivideo di questo e altri viaggi di Derrick sono qui.

martedì 20 maggio 2025

Il ponte sul Topino (Puntata 672 in onda il 20/5/25)

Illustrazione di Paolo Ghelfi.
Chi è Paolo Ghelfi?
Questa puntata si può ascoltare qui.

Pontecentesimo. Sapete dov’è? È una frazione di Foligno, provincia di Perugia, città certo meno turistica (e più grande) rispetto alle vicinissime Assisi e Trevi, ma interessante anche per i tanti canali che la raffrescano. Acqua che arriva anche dal fiume Topino che dà il nome alla valle a NE della città dove passano la via Flaminia (sia nel tracciato romano che nella versione superstradale) e la ferrovia per Ancona di cui Derrick si è occupato più volte. Una valle fresca e lussureggiante dove l’acqua è anche nel nome di Capodacqua, con la sua stazione ferroviaria ormai chiusa come quella di Valtopina. (Di stazioni che chiudono o rischiano di farlo ho parlato a Derrick riguardo a Colli di Monte Bove - link sotto).

Pontecentesimo, dunque, è una delle prime località che s’incontrano imboccando la val Topina poco fuori Foligno.

Se siete lì o più a nord nella valle e avete una bici, o siete a piedi, e appartenete a quel piccolo novero di privilegiati dotati di arti inferiori e di capacità deambulatoria, sappiate che a Foligno con l’energia muscolare non potete arrivarci, salvo abbandonare lungamente la valle con centinaia di metri di dislivello nella zona di Ravignano.

Perché non si può andare dalla Valtopina a Foligno in bici o a piedi? Perché, seppure per solo un chilometro, la vecchia Flaminia converge nella superstrada vietata a bici e pedoni. E non ci sono alternative in quel breve collo di bottiglia. Nemmeno sentieri.

Il cancello tra il ponte abbandonato e
la superstrada Flaminia,
dove c'era lo svincolo di ingresso.
Fino ad alcuni anni fa il tratto di superstrada obbligatoria era di soli 150 metri, grazie a un ingresso dalla via Flaminia Nord di Foligno adiacente a un ponte sul Topino. Un ponte che da almeno cinque anni è in rovina e ospita una modesta discarica informale. È piegato trasversalmente forse per uno smottamento e forse è pericoloso per il flusso del fiume se dovesse cedere e ostruirlo in caso di piena. L’ingresso sulla superstrada (che probabilmente era pericoloso in assenza di corsie di accelerazione) è stato chiuso e al suo posto c’è un cancello, apribile fino a qualche tempo fa e poi bloccato da una catena. Poco dopo il ponte, allontanandosi dalla superstrada, c’era un passaggio a livello sulla ferrovia, oggi letteralmente murato (inglobando le barriere mobili nel muro con un inquietante effetto-Pompei).

Per curiosità sono andato a vedere le immagini satellitari e da terra di Google dove il ponte, l’ingresso in superstrada e il passaggio a livello sono ancora aperti.

Bene. La mia opinione è che la messa in sicurezza o l’aggiornamento di una superstrada non possa implicare l’istituzione di una barriera bloccante per le forme di movimento inadatte alla superstrada. Se mai, si affianca la sede stradale a corsie protette per pedoni e ciclisti, o si degrada quel tratto eliminando le esclusioni e imponendo agli automobilisti di rallentare.

Chi va in bici sa quanto spesso occorre violare barriere o divieti per muoversi in un paese dove la progettazione viaria molto spesso dimentica il traffico non automobilistico e ne diventa un impedimento.

Se pensate che questa puntata sia un invito a scavalcare (più facile passare sotto se siete abbastanza smilzi) il cancello sul Topino e avventurarvi sul ponte storto per poter continuare a percorrere in bici o a piedi la bellissima val Topina da o verso Foligno minimizzando la superstrada, la mia reazione è: no comment.


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sabato 7 dicembre 2024

King Charles III England Coast Path (Puntata 649 in onda il 10/12/24)

Southend on Sea - Dal sito ufficiale del
King Charles III England Coast Path
Immaginate un paese con oltre 4000 km di coste dalle forme più diverse, a volte alte, difficili, impervie, altre dedicate al turismo, speso molto belle. In alcuni casi occupate da porti che un tempo furono fondamentali per l’economia locale ed europea, o da siti industriali in molti casi decaduti, in altri ancora attivi. Immaginate che questo paese abbia un progetto per realizzarvi un percorso pedonale completo. Niente male, no?

Se poi aggiungiamo che il progetto è tanto avanzato da prevedere il completamento nel 2025, possiamo facilmente escludere che si tratti dell’Italia. Infatti stiamo parlando dell’Inghilterra, che si aggiunge al Galles che già il percorso lo ha. Mentre la Scozia il diritto di passaggio a piedi sulla costa lo garantisce per legge (devo segnarmelo per la prossima volta che capiterò da quelle parti).

Quello britannico non è un progetto arrivato in fretta o dal nulla, ma il risultato di una cultura e del lavoro di gruppi di interesse secolari.

Ma il fascino anche simbolico delle grandi marce, dei pellegrinaggi, non è estraneo nemmeno a molti altri luoghi, basti pensare alla moda forse perfino logora ormai del cammino di Compostela. E il fatto che un cammino possa in teoria farsi tutto intero – anche se in pochissimi possono cimentarcisi davvero – attribuisce senza dubbio significato e valore all’infrastruttura anche se l’uso comune riguarda brevi tratti alla volta.

È curioso per certi versi star qui a considerare una meraviglia un percorso pedonale in paesi in cui quelli automobilistici, decisamente più complessi da realizzare, si estendono forse per due ordini di grandezza in più. Ma è proprio la frugalità del camminare, e la sua inutilità per gli scambi commerciali, a rendere oneroso il rapporto tra investimenti necessari e ritorno economico diretto. Almeno fino a che gli effetti sul turismo o sulla salute non diventano molto rilevanti.

Se guardiamo al colossale piano italiano finanziato con il PNRR, i corridoi ciclopedonali hanno un’incidenza ridicola, ed è una mancanza bloccante visto che si tratta di infrastrutture che in assenza di piani nazionali restano tipicamente di competenza di amministrazioni pubbliche locali che difficilmente trovano i soldi per farle.

Non è tutto facile nemmeno nel Regno Unito, dove uno dei problemi è giuridico, perché le aree costiere demaniali sono identificate nel diritto locale dalle coordinate geografiche, che non tengono conto dell’erosione e dell’aumento del livello dei mari, che a volte rendono quella che è ufficialmente la costa in realtà non più esistente o non più praticabile. Così almeno spiega un bell’articolo di Catherine Nixei sull’ultimo Economist di novembre 2024 a cui ho attinto per questa puntata.

In Italia siamo indietro. Perfino nell’Adriatico da San Salvo in su, che è la parte messa meglio, la ciclopedonale s’interrompe in più punti per l’evidente difficoltà di varcare proprietà private o togliere di mezzo edifici incredibilmente costruiti sulla spiaggia, come tra Fano e Torrette di Fano. Avendo io perlustrato tutte le ciclopedonali costiere romagnole, marchigiane e abruzzesi, il blog Derrick energia è una fonte di reportage in materia.

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martedì 18 giugno 2024

Salviamo le stazioni ferroviarie isolate (Puntata 627 in onda il 18/6/24)

Vista dell'altopiano nei pressi di Campo Catino

Questa puntata si può ascoltare, oltre che sul sito di Radio Radicale, anche qui.

Tempo fa per la serie “Le camminate impossibili” ho parlato della stazione di Giuncano, in val Serra, a nord di Terni. Una valle e isolata senza una strada importante che la valichi ma attraversata dalla ferrovia Roma-Ancona, ferrovia che a Giuncano raggiunge uno dei suoi punti più alti prima di entrare nel tunnel di valico che verso Nord la avvicina a Boiano non lontano da Spoleto. Un paradiso per i ciclisti o per chi voglia stare in giro senza essere in un corridoio di passaggio di automobili o folle.

Peccato che Giuncano e i borghi limitrofi (segnalo da visitare per esempio Macerino) siano talmente spopolati da aver portato alla soppressione della fermata di tutti i treni a Giuncano. La stazione serve ancora come punto di intersezione tra treni e come base per macchine ferroviarie rincalzatrici e d’altro tipo, ma non fa più servizio viaggiatori.

La scorsa domenica facevo un altro dei miei giri in bici sul versante abruzzese dei monti Simbruini, che insieme al territorio laziale dell’omonimo parco regionale è una delle più belle aree di natura vicine a Roma per chi vuole camminare o andare in bici tra faggete e pascoli di mucche e cavalli.

Ho fatto l’errore di arrivare da Roma a Carsoli in auto e mi sono riproposto di non ricascarci in futuro, visti i prezzi ormai folli dell’autostrada dei Parchi (che da sola costa più del treno senza tenere conto del carburante) e le code alla barriera Roma est la sera al rientro. Poi finalmente inforcata la bici ho fatto la vecchia Tiburtina fino al valico di Monte Bove, in una valle lussureggiante il cui unico insediamento è il borgo di Colli di monte Bove. La strada sale dolcemente da 500 metri d’altitudine fino ai circa 1100 del valico senza alcuno strappo. Strada per fortuna ormai frequentata solo da chi lo fa per diporto e dai pochissimi residenti rimasti, mentre autostrada e nuova Tiburtina seguono un percorso più a Nord. Prima di Colli la strada s’incrocia con il tracciato ferroviario Roma-Pescara, credo di fine ‘800, bellissimo per i panorami che attraversa e per l’eroicità con cui in quei tempi si cercava di minimizzare i tratti in tunnel. E proprio sotto al paese (parecchio sotto in verità) c’è l’omonima stazione di Colli di Monte Bove poco prima dell’inizio della galleria di valico da cui i convogli riemergono a Sante Marie, nei pressi di Tagliacozzo, fermata successiva.

A Colli di Monte bove si fermano ancora – mentre scrivo (nel giugno 2024)  – solo un paio di treni al giorno in ciascuna direzione.

È razionale sul piano dell’interesse attuale dei viaggiatori isolare le stazioni di paesi spopolati? Probabilmente sì: il minuto perso per la sosta, moltiplicato per tutti i passeggeri, forse vale di più della perdita di un servizio per poche decine di utenti potenziali dell’area isolata.

Ma le ferrovie che oggi chiamiamo regionali, coi percorsi tortuosi che in parte hanno unito l’Italia, hanno anche un valore simbolico e sociale nel connettere i borghi remoti che hanno la fortuna di stare sul loro tracciato. Forse dovremmo considerarlo.

Lunga vita alle ferrovie regionali d’Italia. E che ci costringano a perdere qualche minuto a osservare le pensiline di piccole stazioni remote, e perfino a varcarne i marciapiedi.

Derrick sarà felice di dare visibilità a segnalazioni su casi di fermate ferroviarie a rischio o certezza d’isolamento. Qui sul blog le istruzioni per contattarmi.

Tutte le puntate sulle "camminate impossibili": https://derrickenergia.blogspot.com/p/le-camminate-impossibili.html

domenica 10 marzo 2024

Progetti complessi (Puntata 614 del 12/3/24 e in replica il 2/4/24)

Andrea Cavalleroni di Cittadini Sostenibili mi ha parlato di un libro che ho trovato molto interessante, ed è stato così gentile di farlo anche per Derrick:

Il libro è “How big things get done” di Bent Flyvbjerg, che potremmo tradurre liberamente in italiano in “Come portare a termine con successo un mega-progetto”.

Flyvbjerg, professore a Oxford, è stato il primo al mondo a creare un database di tutti i grandi progetti costati più di un miliardo di dollari per analizzarne i costi e i tempi di costruzione. Negli anni, Flyvbjerg e il suo team di ricerca hanno raccolto i dati di oltre 16.000 progetti costruiti in oltre 136 paesi.

Dall’Empire State Building alla Sydney Opera House, passando per lo studio di registrazione commissionato da Jimi Hendrix e una normale ristrutturazione di una cucina domestica, il libro racconta vari casi-studio anche di piccoli progetti per raccontare con storie reali i fattori che portano a un progetto di successo. Il risultato più sorprendente è che solo un mega-progetto su 200 (quindi lo 0,5%) rispetta i costi, i tempi e i benefici promessi a priori.

Dopo decenni di ricerca e consulenze su tali progetti, l’autore ci porta alcuni messaggi chiave:

  • È importante avere chiari tutti i dettagli chiave del progetto finale prima di partire con i lavori per evitare al minimo gli imprevisti (quindi pianificare prima per evitare modifiche durante la costruzione)
  • Se possibile bisogna chiamare una squadra che abbia già esperienza in quel campo
  • Bisogna creare il budget sulla base di progetti analoghi e non solamente sulle stime dei costi di costruzione (perché questi non riescono a prevedere gli imprevisti più diffusi)
  • Modularità

Mi soffermo sull’ultimo punto. I mega-progetti che sforano di meno il budget previsto sono i progetti modulari (l’autore usa l’analogia con i mattoncini Lego), che quindi si possono ingrandire e scalare a piacimento.

Infatti il podio dei progetti che sforano meno il budget per via della loro modularità e scalabilità è composto da:

  • Impianti per produzione di energia solare (1% di sforamento medio)
  • Infrastrutture per la trasmissione dell'energia (8%)
  • Impianti di produzione di energia eolica (13% di sforamento medio del budget)

Invece le tre categorie che più sforano i budget perché non modulari, ma grandi progetti unici nel loro genere sono:

  • Stoccaggio di scorie nucleari (238% di sforamento medio)
  • Infrastrutture per le olimpiadi (157% di sforamento medio)
  • Centrali nucleari (120% di sforamento medio del budget)

Questi i dati più interessanti del libro “How big things get done” di Bent Flyvbjerg, per il momento disponibile solo in inglese, un libro che consiglio a tutte le persone interessate al project management e a quali sono i fattori chiave per un progetto di successo.

Grazie Andrea Cavalleroni. Molto energetici i progetti che ci ha portato ad esempio, e non resisto ad alcuni commenti: se è vero che la posa di impianti fotovoltaici o eolici è relativamente senza sorprese, almeno in Italia non lo è la loro autorizzazione, perlomeno quando parliamo di impianti di grosse dimensioni come è quasi sempre per l’eolico. E lo stesso vale per opere di trasmissione d’energia, se è vero che Terna chiede di farsi approvare cavi sottomarini fuori costa molto più costosi di elettrodotti aerei anche per interconnettere diversi punti del continente, proprio per evitare le lungaggini autorizzative.

Sul nucleare, il libro alza una palla ai cosiddetti SMR, i reattori modulari, che come abbiamo visto in altre puntate (e magari vedremo di nuovo) promettono di risolvere molte delle grane legate alla costruzione in situ dell’impianto. Non, però, altre forse ancora più rilevanti.

Infine, ho deciso di rinnovare la cucina. Vi farò sapere, anzi scriverò a Flyvbjerg, quali imprevisti falcidieranno il progetto.


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Questa puntata si può ascoltare anche qui: https://youtu.be/YHtzgfUJAlQ



lunedì 4 marzo 2024

Il prezzo della sicurezza (Puntata 613 in onda il 5/3/24)

La volta scorsa abbiamo visto come la contemporanea costruzione in Europa di nuovi porti e tubi per il gas per emanciparci dalla Russia condurrà molto verosimilmente a un sistema ridondante e i cui costi renderanno artificiosamente più alti quelli dell’energia stessa per i clienti finali, oppure le tasse.

Il caso del gas in Europa non è l’unico in cui a un mondo più frammentato, insicuro e meno globalizzato si risponde con nuove infrastrutture locali. Se qui le infrastrutture aprono comunque a nuovi mercati internazionali o ne ampliano di esistenti, in altri esempi l’approccio è apertamente protezionista. Si pensi alla creazione in occidente di capacità di produzione o raffinazione di terre rare o di batterie per emanciparsi dalla Cina: potrebbe condurre a un eccesso di capacità mondiale nei settori interessati come è già avvenuto molto repentinamente nel caso del litio, il cui prezzo nel 2023 è sceso violentemente a fronte degli investimenti per renderlo disponibile in varie parti del mondo. Sceso fino a livelli non in grado di remunerare alcuni dei nuovi impianti.

Aiutare la capacità produttiva interna a un paese importatore per emanciparsi dalla dipendenza dall’estero costa al consumatore locale se fatta con tariffe protezionistiche, o al contribuente, sempre locale, se fatta con sussidi.

Cosa succede se poi il mondo, per fortuna, torna a essere un luogo aperto ai commerci liberi ed efficienti? Un mondo in cui, per esempio, le sanzioni verso paesi ostili vengano eliminate grazie alla fine delle ostilità.

Cosa succederebbe ai mercati del gas se il regime di Mosca venisse superato da un’evoluzione democratica e la Russia si riavvicinasse all’Occidente? Verosimilmente i flussi di gas dalla Siberia verso l’Europa riprenderebbero, almeno se parliamo di un futuro abbastanza prossimo da vedere ancora l’uso del gas in Europa, ed essendo il gas via tubo generalmente più competitivo di quello via nave sarebbero guai per la remunerazione degl’investimenti in capacità di trasporto marittima, e perfino probabilmente per quelli in campi di coltivazione di gas remoti (come quelli nel mar dei Caraibi o nell’Africa subsahariana) connessi solo via nave e di colpo non più necessari a rifornire l’Eurasia.

Cosa succederà se si normalizzeranno i rapporti tra Cina e Stati Uniti riguardo all’import ed export di terre rare o di prodotti tecnologici? Anche su questi la capacità produttiva negli USA ora sussidiata dall’Inflation Reduction Act potrebbe di colpo rivelarsi sovrabbondante, con gioia almeno temporanea dei clienti che vedrebbero crollare i prezzi e dolori di chi ha investito in capacità produttiva autarchica, compresi i contribuenti. 

martedì 27 febbraio 2024

Quanti "hub del gas" in Europa? (Puntata 612 in onda il 27/2/24)

Casa a Carpinone
I lettori assidui sanno che cito spesso l’Economist, ma stavolta l’articolo che mi ispira è da El Economista e parla dell’aspirazione di un paese a diventare “hub” del gas, cioè luogo di transito del gas in arrivo via nave nei suoi porti e poi esportato nell’Europa centrale.

Alvaro Moreno di El Economista ne parla anche a partire da uno studio di IEEFA (istituto di economia e analisi finanziaria dell’energia) che nota come a fronte di consumi europei di gas in calo è inverosimile che le nuove infrastrutture possano essere usate in futuro più di quanto si faccia adesso. E il livello di loro utilizzo è oggi nel paese solo di un terzo della capacità.

Quando il gas è arrivato a oltre 300 €/MWh nella prima estate dopo l’invasione dell’Ucraina, a molti sembrava che pagare qualunque cifra per poterlo importare da luoghi alternativi alla Russia fosse l’unica strada possibile. In parte era giustificato, ma alcuni paesi europei si sono un po’ fatti prendere la mano con la costruzione contemporanea di nuovi porti del gas proprio mentre i clienti reagivano ai prezzi alti consumando meno, e attrezzandosi a farlo in parte strutturalmente grazie a investimenti in efficienza e fonti rinnovabili.

E così, il paese di cui parla El Economista non può che aspirare a ripagare le infrastrutture del gas esportandolo ad altri.

Di che paese parliamo? Come suggerisce la lingua della testata, della Spagna. Ma la situazione è del tutto simile a quella italiana. Anche l’Italia sta approntando due nuovi punti di approdo per navi gasiere e si accinge a costruire una rete sud-nord di metanodotti capiente come mai in passato. E lo fa mentre il suo fabbisogno di gas è il più basso da quando ne esiste un mercato moderno. Per trovare consumi ridotti come nel 2023 occorre risalire al 1997, mentre il massimo dei volumi è stato toccato nel 2005.

Naturalmente l’infrastruttura non si dimensiona sui flussi annuali, bensì sulle esigenze di punta, così come un’autostrada non può andare sistematicamente in crisi con i flussi dei weekend. Ma anche tenendo in conto questo la contraddizione è evidente: oggi abbiamo più stoccaggi nazionali di gas che servono proprio a fornire capacità di punta, due nuovi porti al nord ben posizionati per sopperire alla fine (definitiva?) del flusso russo, eppure stiamo anche per rafforzare la dorsale sud-nord dei gasdotti.

Uno studio curato da Francesca Andreolli e Gabriele Cassetti di ECCO, organizzazione con cui collaboro, evidenzia come gli investimenti in nuove infrastrutture gas siano sensati solo nell’ipotesi di consumi che tornino a salire e di sostanziale indifferenza agli obiettivi climatici. Per quanto sia uno scenario improbabile e non augurabile, è quello su cui si stanno scommettendo soldi sostanzialmente pubblici, cioè da ripagare con gli oneri obbligatori delle bollette o con le tasse.

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martedì 13 febbraio 2024

Il monopolio delle reti dati (Puntata 610 in onda il 13/2/24)

"Musico" di F. Botero
Quanta energia consumano i sistemi di trasmissione, elaborazione e stoccaggio dei dati?

Quando partì la stagione delle criptovalute e degli elaboratori in azione per decrittarne le transazioni, molti osservatori notarono quanto l’apparato fosse costoso in termini economici ed ecologici per l’energia consumata.

In realtà la macchina mondiale dei dati e delle telecomunicazioni consuma non più dell’1,5% dell’elettricità secondo la IEA di Parigi ed emette circa l’1% dei gas-serra. Se paragoniamo quest’ultimo numero al circa 15% dei trasporti, ci rendiamo conto di quanto spostare i bit anziché le persone o le cose sia probabilmente un buon affare in termini di efficienza e uso delle risorse.

Questioni energetiche a parte, è in termini di governance probabilmente che il settore dei media legati a internet ci dà più grattacapi. È diventato per esempio comune lamentarsi del modo in cui noi stessi, se le usiamo, siamo costretti a regalare a piattaforme come Google o Facebook il diritto di sfruttamento economico di un sacco di opere del nostro ingegno oltre che informazioni dettagliate sulla nostra vita. Per usare termini più vicini al linguaggio dell’antitrust, ci rendiamo conto che il grande successo di queste piattaforme le ha anche rese monopoliste di fatto e che questo legame è autoalimentante, visto che i servizi che offrono funzionano bene proprio in quanto aggregano molti utilizzatori e informazioni.

Forse più raramente pensiamo a un’altra forma di monopolio di fatto che pure è più tradizionalmente basata sulle infrastrutture fisiche, e riguarda le reti internet anche satellitari.

Torniamo all’energia: le prime reti elettriche cittadine furono realizzate privatamente dalle stesse aziende che intendevano poi vendere l’energia che ci sarebbe passata. Solo più tardi molti Governi decisero di nazionalizzare quelle aziende e quindi evitare che la concorrenza dovesse passare per la costruzione inefficiente di reti parallele e, nello stesso tempo, evitare che le reti esistenti potessero discriminare l’accesso ai loro servizi per motivi arbitrari. Ancora più tardi, nelle economie di mercato le aziende già nazionalizzate sono state rivendute e riorganizzate in modo che solo le reti dovessero operare con concessioni pubbliche come monopolisti regolati, mentre altre attività del settore potevano essere affidate alla concorrenza.

Bene, mi sembra che oggi nelle dorsali e nei satelliti per internet (in questi il più grande operatore privato è Starlink di Elon Musk), siamo nella fase che l’energia attraversò prima della nazionalizzazione, e cioè la fase della costruzione di infrastrutture con logica privata spontanea. Che se da un lato mostra quanto spesso gli imprenditori sappiano guardare più lontano dei governi (o siano maggiormente nelle condizioni di fare scelte lungimiranti), dall’altro rende i governi responsabili di intervenire a un certo punto se il comportamento monopolistico e discriminatorio delle nuove entità (anche solo in potenza) diventa socialmente dannoso.
Interventi questi complicati dal fatto che si tratta di servizi e infrastrutture di rilevanza globale. Il che rende ineludibile la cooperazione globale.

martedì 7 novembre 2023

In bici da Falconara Marittima a Fano (Puntata 596 in onda il 7/11/23)

Questa puntata è disponibile anche su Youtube: 
https://youtu.be/x5oQua5Cgp8?si=tcTijCR0R3YD1ueE

Per il ciclo le camminate impossibili, racconterò in due puntate i miei vagabondaggi ciclistici dello scorso finesettimana per indagare, come ogni tanto capita qui, la fattibilità di muoversi in bici o a piedi fuori dalle principali arterie stradali automobilistiche.

Avendo un impegno a Fano, sono partito con bici al seguito in treno da Roma con destinazione Falconara Marittima (del bellissimo percorso ferroviario di questa tratta si occupa la prossima puntata). A Falconara, anziché proseguire per la linea Adriatica verso nord, sono salito in sella alla bici per percorrere lungo la costa i poco più di 40 chilometri fino a Fano.

Passaggio (chiuso) a NO di Falconara
Un violento vento contrario mi farà faticare malgrado la distanza non lunga, ma anche uscire da Falconara sulla costa non è comodo, mentre nel cielo tuona un aereo appena decollato dal vicinissimo aeroporto. La grande raffineria API, che occupa una vasta area fronte mare, non è valicabile se non dalla ferrovia che ne taglia la parte più a monte.
Ma nemmeno subito a Nord c’è un lungomare, e la strada più a ridosso della costa, tra la ferrovia e gli edifici in un dimesso quartiere residenzial-balneare chiamato Rocca Mare, termina verso un prato costiero post-industriale il cui accesso è chiuso da una catena a fianco a un cartello con scritto “area ex Montedison”. Potrebbe essere una zona in attesa di bonifica. Siccome non voglio tornare indietro per poi fare un tratto di statale Adriatica, vìolo la catena e percorro una specie di greto sassoso a fianco alla ferrovia, incoraggiato da altre tracce di bici e dalle indicazioni del navigatore per escursionisti. Tra parentesi: quando cammino o vado in bici sono frequentissimi i casi in cui attraversare aree private mi sembra la cosa più razionale.

Giunto a Marina di Montemarciano la situazione migliora grazie alla presenza di strade lungo il mare fino a Senigallia, dove inizia una vera e propria pista ciclabile urbana divisa della spiaggia solo dagli stabilimenti balneari e che finisce prima del fiume Cesano, superabile solo sul ponte della statale.

A nord del fiume ben presto si arriva a Marotta che è tutta ciclabile grazie a uno spazio riservato sulla sede stradale del lungomare, mentre Torrette di Fano, subito più a Nord, ha un fronte di edifici di seconde case costruiti a ridosso della spiaggia negli anni degli scempi edilizi, e quindi in bici (o a piedi) o si passa in spiaggia costeggiando accessi ostentatamente sbarrati, oppure lungo un’unica strada tra edifici e ferrovia.

Tra dune artificiali di sabbia per proteggere dalle mareggiate e tratti forse di pertinenza dei condomìni fronte mare di Torrette di Fano, l’unica persona che ho trovato sulla sabbia scura di umidità mentre cercavo zone in cui le ruote non affondassero è stata una ragazza che con aria ispirata raccoglieva e osservava conchiglie.

Poco a nord di Torrette le cose peggiorano ulteriormente, perché arrivati a un ultimo edificio sul mare, moderno stavolta, non c’è altra scelta che sottopassare la ferrovia con un angusto pertugio pedonale e proseguire per circa tre chilometri sulla statale 16, costeggiando tra le altre cose un campeggio che forse non permette ciclabili, fino a varcare il ponte sul Metauro con le sue due torri littorie e finalmente tornare a pedalare vicino al mare ormai in prossimità del centro di Fano.

Insomma, tra Ancona e Fano la viabilità per le bici non è all’altezza di altri percorsi adriatici più a sud nelle Marche o in Abruzzo (invito a riascoltare il reportage qui su Derrick dalla ciclabile dei trabocchi). Le cose migliorano da Fano verso Pesaro, a Nord, dove la ciclabile c’è senza interruzioni da un decennio (anche se nel lato fanese addossata alla statale) e conduce nel capoluogo che con il sindaco Ricci ha fatto della rete di ciclabili un vanto della città (battezzandola “bicipolitana” per le sue varie linee colorate e numerate come in una metropolitana).

domenica 15 ottobre 2023

La sbornia degli aeroporti di vicinato: il caso Parma (Puntata 593 in onda il 17/10/23)

Piano di sviluppo dell'aeroporto di Parma
Dalla relazione tecnico-descrittiva
del piano di sviluppo dell'aeroporto di Parma
Un marziano che si facesse un’idea dell’Italia solo osservando la numerosità e vicinanza tra loro dei nostri aeroporti probabilmente immaginerebbe un territorio tormentato da foreste inestricabili o assenza di infrastrutture stradali e ferroviarie alternative ai viaggi in aereo.

La storia dei bilanci regionali è piena di sussidi ad aeroporti di vicinato in perdita cronica, sussidi dati implicitamente o esplicitamente anche alle compagnie aeree che li frequentano, come la Ryanair tanto invisa al Governo in carica. Ma anziché gettare la spugna, finché si tratta di soldi pubblici tipicamente le amministrazioni rilanciano, come nel caso dell’aeroporto di Parma per cui il comune ha recentemente deliberato, e la conferenza dei servizi ne ha iniziato l’analisi, una proposta di sviluppo del valore di oltre 20 milioni (12 sarebbero a carico della regione) per l’allungamento di mezzo chilometro della pista e l’estensione delle aree logistiche.

Diamo un’occhiata al contesto del settore. Come sta evolvendo la domanda di viaggi aerei?

È molto forte dalla fine del covid soprattutto per i viaggi turistici. La domanda di aeromobili oggi è talmente elevata da aver permesso a Boeing di superare relativamente indenne uno degli errori di progettazione più scandalosi della storia aeronautica costato due incidenti catastrofici e all’europea Airbus di avere il problema di soddisfare gli ordini. Il mercato sta anche cambiando qualitativamente, con maggior domanda di collegamenti punto a punto anziché tra grandi hub alimentati da voli regionali, da cui la perdita di interesse delle compagnie verso gli aerei giganteschi come l’Airbus A380.

Giusto quindi investire in aeroporti di vicinato rendendoli adatti ad aerei a fusoliera larga di medie dimensioni come punta a fare Parma? Beh, dipende.

Oggi si producono anche aerei a fusoliera stretta (quelli con un solo corridoio, per intenderci) in grado di attraversare l’Atlantico grazie all'aumentata efficienza, cosa fino a poco fa inimmaginabile. Si può andare in Australia da Roma volando con compagnie low cost su questi aerei con solo due scali. A maggior ragione non è più vero che i voli intercontinentali da aeroporti a ridotto bacino d’utenza richiedano necessariamente infrastrutture per aerei a fusoliera larga.

Ma soprattutto non si capisce come lo stesso Paese possa investire contemporaneamente nell’alta velocità ferroviaria, nelle autostrade (dove gli investimenti recenti e previsti gridano vendetta per l’incoerenza rispetto ai trend e alle tecnologie di trasporto attese, punto che riprenderemo in una prossima puntata spero) e negli aeroporti di vicinato.

Lo stesso marziano di prima, messo al corrente di questo, potrebbe pensare che l’Italia nuoti nell’abbondanza di soldi pubblici e territorio da cementificare.

È la solita sbornia di infrastrutture a spese di contribuente e ambiente. Nella relazione tecnico-descrittiva del nuovo aeroporto di Parma si legge che ha senso introdurvi il traffico cargo anche grazie alle sinergie con la progettata autostrada Cispadana, che aspira a collegare il modenese con Ferrara. Come dire: un progetto infrastrutturale ridondante ne giustifica un altro.

Ringrazio Marco Maria Freddi, già consigliere comunale a Parma, per avermi informato sulla questione, e come sempre sono felice di ricevere altre informazioni o controdeduzioni o critiche da soggetti interessati ed esperti.


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giovedì 21 settembre 2023

Reportage di viaggio da Taiwan, Maldive, Australia (puntate da 586 a 589 trasmesse dal 30/8 al 19/9/23)

Taipei, in Taiwan, sarà anche la capitale mondiale dei microchip, ma sia la città sia il paese per quel che ho visto hanno l'aspetto di altri luoghi tropicali del sudest asiatico come la Malesia, con il cibo da strada, gli odori, il traffico, il caldo, la foresta pluviale con suoni di uccelli e animali improbabili. Ma per differenziarsi hanno anche una efficientissima rete ferroviaria sia a bassa sia ad alta velocità. Ma non, purtroppo, la bellezza di Bangkok.

Perth vista dal ponte sullo Swan verso South Perth
(Foto Derrick)
Per rinfrescarmi ho volato da Taiwan a Perth, in Australia Occidentale, dov'era inverno. Un inverno mite, pieno di luce e brezza in una città rilassata moderna e con bellissime infrastrutture per pedoni e bici. Peccato che l'aereo sia stato inizialmente deviato all'aeroporto alternativo, il più vicino. Ma vicino in Australia può voler dire quasi 3 ore di volo di distanza, Port Hedland, nella remota costa nord, dove l'ufficio immigrazione non era pronto a un grande aereo pieno di stranieri, cosicché ci hanno fatto rimanere ore a bordo in attesa di poter ripartire per Perth.

Le Maldive non sono solo i resort. C'è la capitale Malè, una specie di Hong Kong in versione indiana coloratissima e piena di scooter che (come a Delhi) cercano di investirti, con case e vie strette nei confini angusti dell'isola e un pesante ponte di cemento finanziato dalla Cina che collega l'isola dell'aeroporto. Ci sono le isole abitate dai locali negli atolli, quasi tutte disboscate e - quelle che ho visto io - tristi a causa dei rifiuti malgestiti (e bruciati in spiaggia di notte) e un'edilizia banale e irruenta tra terrapieni per rubare spazio al mare. Mentre ragazze calciatrici si allenano di notte interamente coperte di abiti.

Ho raccontato tutto questo in quattro brevi podcast andati in onda in altrettante puntate su Radio Radicale trasmesse dal 30 agosto al 19 settembre '23, riascoltabili qui: https://www.radioradicale.it/rubriche/815/derrick

o per chi preferisce il formato podcast qui: https://podcastaddict.com/podcast/radio-radicale-derrick/2039679

I miei video di viaggio, che includono questo viaggio, sono invece qui: https://www.youtube.com/playlist?list=PL8sgPLBStHqWm3UVno9OSzQkKF2rZhRSg

lunedì 5 giugno 2023

Il punto sull'auto elettrica (Puntata 577 in onda il 6/6/23)

500 cabrio fotografata a Bangkok da Derrick
È il caso di fare un aggiornamento sull’industria dell’auto elettrica sfruttando anche un articolo sull’Economist dell’ultima settimana di maggio 2023.

In Europa nel 2022 le auto elettriche a batteria sono state oltre il 12% delle vendite, contro il 9% di un anno prima e il meno di 2% nel 2019. I prezzi sono ancora sensibilmente più alti rispetto alle auto tradizionali, ma è verosimile a mio avviso che questa differenza sia destinata a scomparire e anzi invertirsi non appena la capacità produttiva di auto tradizionali si ridurrà in seguito alla conversione delle linee produttive alle elettriche. Sempre un articolo precedente dell’Economist notava come nel settore delle auto elettriche le barriere all’entrata per gli operatori siano inferiori a quelle dell’auto tradizionale, cosa che mi fa ancora più propendere per il fatto che non appena l’eccesso di capacità produttiva che da tempo vediamo nelle auto fossili si riprodurrà su quelle elettriche, i prezzi scenderanno, indipendentemente dal progresso tecnologico in particolare nelle batterie, che pure giocherà un ruolo.

Una barriera allo sviluppo però c’è, nota l’Economist, ed è infrastrutturale: la disponibilità di colonnine di ricarica, che sono sia insufficienti già in una prospettiva di breve termine, sia distribuite in modo disomogeneo: la metà delle stazioni di ricarica in Europa si concentra in Olanda (90 mila) e Germania (60 mila), mentre per esempio la vastissima Romania ne ospita solo lo 0,4%. Per non parlare di paesi con reti elettriche meno sviluppate.

Differenze, quelle nella disponibilità di colonnine, che rispecchiano il potere d’acquisto locale odierno, ma che anche quando le auto elettriche diventeranno più economiche rischiano di prolungare il ritardo per carenza d’infrastruttura.

Carenza che potrebbe far sì che in effetti il mercato dell’auto si segmenti in due: una coda di auto fossili per i paesi in ritardo con le colonnine, e boom dell’elettrico negli altri. Se questo avvenisse a livello mondiale, potrebbe anche succedere che le vecchie linee produttive tradizionali restino operative a lungo.

O invece sarà come nel passaggio dai telefonini tradizionali agli smartphone, quando i primi I-Phone o Blackberry sembravano astronavi, ma dopo pochi mesi nessuno comprava più la vecchia generazione.


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lunedì 17 ottobre 2022

Il paradosso dell'export italiano di gas (Puntata 546 in onda il 18/10/22)

Questa puntata è tratta da un articolo più lungo scritto per ECCO Think Tank e leggibile integralmente al link sotto.

Una 500 esportata molto lontano
(Foto Derrick)
I mercati europei all’ingrosso di elettricità e gas sono interconnessi (non per niente si parla di mercato unico). Questo significa che gli interventi amministrativi sul mercato di un Paese hanno effetti anche su altri, effetti a volte contraddittori con obiettivi con cui gli stessi interventi sono stati proposti all’opinione pubblica.

Per esempio: il meccanismo con cui la Spagna ha fiscalizzato una parte del costo del gas per abbassare il prezzo dell’energia elettrica l’ha resa artificialmente competitiva rispetto a quella francese, e quindi la Spagna ha iniziato a esportare al massimo verso la Francia limitando il calo del prezzo interno.

In altri termini, le tasse degli spagnoli hanno sussidiato anche i clienti di elettricità di altri paesi.

Nel caso della Spagna, la scarsa interconnessione con il resto d’Europa rende questo problema limitato e proprio per questo l’UE ha dato comunque il via libera al meccanismo.

In un sistema elettrico più interconnesso, si arriverebbe invece all’apparente paradosso che il prezzo di mercato interno scenderebbe pochissimo e gran parte del vantaggio si trasferirebbe all’estero.

Nel sistema italiano di recupero dei cosiddetti extraprofitti dell’energia, questo problema non c’è, perché tale recupero è operato sui produttori in forma di tassa e non altera il prezzo di mercato all’ingrosso dell’elettricità. Una tassa che serve a finanziare (in modo molto parziale) gli sconti generalizzati oggi in vigore sulle bollette di famiglie e imprese.

C’è una distorsione che si sta però verificando anche in Italia. In forma, di nuovo, di export, in questo caso di gas. Export che non è mai stato così elevato come nei mesi a partire dalla crisi.

Perché l’Italia esporta gas in Europa? Perché è più interconnessa di altri paesi via tubo con fonti non legate alla Russia, il che frequentemente fa sì che il prezzo italiano del gas sia più economico di quello del mercato nordeuropeo.

E dove sta la distorsione?

Sta nel fatto che lo Stato italiano ha sussidiato l’acquisto di gas da immettere in stoccaggio, che è avvenuto in momenti di prezzi altissimi ai quali nessun operatore di mercato avrebbe messo fieno in cascina.

Se è vero che non è svuotando gli stoccaggi che stiamo esportando ora, bensì semplicemente sfruttando maggiore capacità di import rispetto alla richiesta nazionale, è anche vero che questo surplus sarebbe più basso se gli stoccaggi non fossero già pieni. In altri termini, quindi, l’export di oggi è anche una conseguenza dell’acquisto socializzato di gas durante l’estate.

La questione sarà ben più palese quando nell’inverno 23-24 avremo almeno uno dei nuovi rigassificatori pagati con garanzia dello Stato a sostenere tale export: export (e profitti) privati grazie a infrastrutture pagate con le tasse, e riduzione dei prezzi limitata proprio dall’export che collega i mercati facendo arbitraggio tra di loro.

Una discreta fregatura per il cliente di gas italiano che paga le tasse: il prezzo cala poco, le tasse o il debito aumentano tanto.

L’implicazione in termini di buone politiche è che sia gli investimenti in infrastrutture per la sicurezza energetica sia i meccanismi di controllo eccezionale del prezzo dovrebbero applicarsi a livello europeo. Oltre che essere coerenti con le politiche di decarbonizzazione. I rigassificatori tanto amati dalla politica mainstream, anche dalle aree che si professano attente alla sostenibilità economica, non vanno in questa direzione.


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domenica 5 giugno 2022

Le camminate impossibili: il parco dei monti Cervia e Navegna (RI) (Puntata 531 in onda il 7/6/22)

Tratto di strata franato
poco sopra Ascrea
Il 1° giugno 2022, in una giornata rovente, ho preso la bici verso stazione Termini a Roma per salire su un treno regionale diretto ad Avezzano dopo essermi munito del supplemento bici (che si può comprare sul sito di Trenitalia ma non sulla app).

Il treno era uno di quelli non di ultima generazione, che hanno in coda un amplissimo vano con tre ganci per appendere verticalmente le bici. I passeggeri erano perlopiù turisti e sono scesi quasi tutti a Tivoli.

Io ho proseguito invece fino a Carsoli, già in Abruzzo, ho attraversato la Tiburtina e incrociato l’autostrada per salire al borgo di Poggio Cinolfo per poi rientrare nel Lazio dopo pochi chilometri e proseguire a nord per Collegiove con una decina di chilometri di salita continua.

Collegiove si trova proprio al confine della riserva naturale dei monti Cervia e Navegna, e nella tarda mattinata del giorno feriale sembrava deserto. Un comune di soli 130 abitanti, leggo, peraltro recentemente un po’, ma non abbastanza, rimpinguati dall’arrivo di immigrati come è frequentissimo vedere nei nostri borghi.

Riempita la borraccia proseguo verso nord, sempre salendo, mentre la strada provinciale per Marcetelli ormai ha ai lati i pali misuraneve e raggiunge un massimo di altitudine poco oltre 1100 metri. La abbandono al bivio per Ascrea, ormai immerso in bellissimi boschi, dove inizia il tratto di strada non asfaltato tutto in ombra che scende appunto ad Ascrea, un borgo che domina la costa est del lago artificiale del Turano, sotto al monte Navegna.

In prossimità del paese la strada percorre a mezza costa una stretta valle e sovrasta quella che credo si chiami gola dell’Ovito. Ci sono antichi segnali stradali a cui a un certo punto ne è stato aggiunto uno di divieto al transito a bici e pedoni, e infatti il percorso è in abbandono da anni, e proprio a un chilometro circa da Ascrea la strada è invasa da massi di roccia impressionanti crollati dalla parete sulla destra, che lasciano a malapena lo spazio per passare in bici, e poi chiusa da un masso eloquente messo apposta per fermare chi viene dal paese.

Si tratta di una strada comunale che insiste, come mi ha spiegato Pierina Federici che ringrazio, sui comuni di Varco Sabino ed Ascrea, ed è evidente che la sua messa in sicurezza richiede fondi che trascendono quelli disponibili da due piccoli comuni.

Ad Ascrea alle 2 del pomeriggio in giro non si vede anima viva. Domani arriveranno da Roma le scampagnate del 2 giugno forse, ma oggi nemmeno il baracchino dei giardini panoramici in cui tre anni fa comprai una bibita sembra aperto. Giù in valle, invase dal sole, si vedono le anse e l’isola del lago in corrispondenza di Castel di Tora.

È giusto che una strada che attraversa tra due cime una riserva naturale non sia tenuta in condizioni adatte al transito in sicurezza di veicoli a motore? Forse sì.

Ma che si neghi a ciclisti e camminatori questo passaggio, che lega la valle del Turano al cuore della riserva e permette di raggiungere in breve l’altro grande lago della zona, quello del Salto, mi sembra un peccato.

Questa puntata di Derrick è dedicata un’altra infrastruttura che ha bisogno di essere sottratta all’abbandono e riutilizzata in modo nuovo. Non possiamo pensare solo alla rete delle grandi comunicazioni tra capoluoghi e non salvare il tessuto connettivo dei tanti tesori sparsi tra borghi, riserve, comunità montane.

Se le prime strade nel West americano o la ferrovia in Siberia crearono insediamenti, da noi salvaguardare queste connessioni significa rendere di nuovo frequentabili parti vaste delle nostre bellezze. Non basta ristrutturare le seconde case nei borghi perché qualcuno vada a visitarli.

Se davvero si rimetterà mano al PNRR, spero lo si farà anche in quest’ottica.

Ringrazio per questa puntata la consulenza di Pierina Federici della Locanda Belvedere di Ascrea (link sotto).


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lunedì 23 maggio 2022

Pubblicità e imprese pubbliche: il caso Ferrovie (Puntata 529 in onda il 24/5/22)

Il manifesto pubblicitario di FS il 23/5/22 in piazza Navona a Roma.
Non sarebbe più utile spiegare, per esempio,
come si compra online un biglietto per le bici in treno?
Cos’è Ferrovie dello Stato Italiane?

È una holding da oltre cinquanta miliardi di capitale investito, di intera proprietà del ministero dell’Economia. Ne fanno parte le società che gestiscono la rete ferroviaria e quella delle strade statali, ma anche Trenitalia che gestisce in sostanziale monopolio di fatto il traffico ferroviario, tranne il duopolio nei servizi di trasporto ad alta velocità.

Ferrovie dello Stato Italiane nel 2021 ha conseguito un utile di circa 200 milioni a fronte di un giro d’affari di oltre 12 miliardi che per la parte infrastrutture dipende sostanzialmente da trasferimenti del Governo e da tariffe di pedaggio stabilite dalla politica e dall’autorità di settore, e per la parte dei servizi di trasporto ferroviario sia da tariffe e trasferimenti regolati (per esempio la remunerazione per i servizi in concessione come il trasporto regionale o parte degli intercity) sia dalla performance commerciale dei servizi in concorrenza come i treni ad alta velocità. Che però a loro volta hanno risultati che dipendono dalle tariffe di pedaggio che Trenitalia paga sulla rete di RFI, sempre di Ferrovie dello Stato, e che sono di nuovo una decisione politica riguardo a quanta dell’infrastruttura (originariamente finanziata in Italia solo con soldi pubblici, a differenza di quanto è avvenuto per esempio in Cina) sia da far pagare a chi la usa, appunto attraverso i pedaggi.

I più affezionati ascoltatori di Derrick ricorderanno poi che i clienti dell’energia pagano trasferimenti alla rete ferroviaria che derivano dal fatto che nel processo di nazionalizzazione del settore elettrico parte del sistema elettrico ferroviario fu fatto confluire in quello dell’Enel di allora, e con la transizione al mercato la rifusione per questa cessione si è trasformata in un trasferimento annuale pagato nella tariffa elettrica dai consumatori, che per il 2022 è stimato in circa 1 miliardo dall'ARERA. Questa componente, peraltro, è al momento in cui scrivo temporaneamente fiscalizzata nell'ambito delle azioni del Governo per calmierare le bollette.

Ora, Ferrovie dello Stato Italiane ha appena lanciato una campagna pubblicitaria descritta nello stesso sito web del gruppo (link sotto) e che – almeno stando allo spot che ho visto online e al manifesto nella foto – mira a comunicare positivamente il lavoro e il ruolo dell’azienda in termini generali. Avete presente quelle pubblicità tranquillizzanti e incoraggianti sull’importanza di investire sul futuro eccetera?

Il mio quesito dunque è: con che criterio un’azienda pubblica che ha compiti strettamente tecnici e perlopiù infrastrutturali mette soldi su una campagna di sviluppo del suo marchio?

Capirei se si comunicassero informazioni di servizio o consigli comportamentali per i viaggiatori, ma visto che si tratta di un intervento motivazionale a livello direi di comunità-paese, cosa c’entra Ferrovie? Non dovrebbe essere il Governo se mai a dirmi se e perché serve mettere più soldi in determinate infrastrutture o a parlarmi della sua strategia in materia?

Come ci proteggiamo poi dal conflitto di interessi di vertici di aziende pubbliche che hanno la possibilità di contribuire alla propria personale popolarità di manager facendo campagne con risorse pubbliche?

Questi miei dubbi non valgono solo per Ferrovie dello Stato e non solo per aziende strettamente di proprietà dello Stato, ma anche potenzialmente per concessionari di servizi regolati. Un conto è se fanno comunicazione di servizio, un altro è se fanno autopromozione.

C’è poi un ulteriore problema di antitrust nel caso specifico. Visto che la separazione di Trenitalia (un’azienda in parte di mercato) rispetto alla holding Ferrovie dello Stato non si è mai compiuta in termini sostanziali, e anzi per quanto riguarda la distinzione dei marchi ha fatto passi indietro, come evitiamo che una campagna di comunicazione di Ferrovie dello Stato sia anche un vantaggio per l’operatore principale del traffico ferroviario (cioè Trenitalia) ottenuto potenzialmente con fondi che riguardano invece l’esercizio dell’infrastruttura che è a servizio anche di operatori concorrenti?


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domenica 23 gennaio 2022

Ciclovia adriatica (Puntate 511 e 512 in onda il 18-25/1/22)

Vista da punta Aderci verso nord (copyright Derrick)
Vista da punta Aderci verso nord (copyright Derrick)
C’è una regione d’Italia la cui costa è quasi interamente dotata di piste ciclabili in gran parte direttamente sul mare e lontane dalla strada statale principale. A volte integrate in passeggiate di lungomare turistici ormai sempre più arredati e popolati di “chalet”, come va di moda non so bene da quanto chiamarli, che ospitano innumerevoli ristoranti di pesce, pizzerie e gelaterie d’inverno in buona parte chiusi e che nondimeno scandiscono le pedalate tra vento freddo e odore di salsedine.

Questa regione è l’Abruzzo. Il 30 dicembre 2021 l’autore di Derrick è partito dal centro di San Salvo, poco nell’entroterra rispetto all’estremo meridionale della costa d’Abruzzo, e ha iniziato la pedalata verso nord in un percorso che il marketing del turismo efficacemente ha battezzato costa dei trabocchi (che sono quelle costruzioni a palafitta sul mare per pescare, un po’ a forma di gru e piuttosto comuni nell’Abruzzo meridionale e in Molise). Un nome che se capisco bene si associa al tratto fino a Ortona, forse una cinquantina di chilometri da San Salvo. Ma come vedremo il percorso ciclabile prosegue con minime interruzioni fino al confine con le Marche, e valicato il Tronto – dove ancora manca un ponte ciclopedonale - continua ancora sostanzialmente ininterrotto fino a Cupra Marittima per una distanza totale da Termoli di circa 170 chilometri che tocca 3 regioni.

Ciò che distingue la parte più meridionale del percorso, la costa dei trabocchi appunto, è che sfrutta, come in altri casi fortunati in Italia, ampi tratti di infrastruttura lasciata libera dalla linea ferroviaria adriatica che in passato costeggiava il mare molto in prossimità. Chilometri e chilometri sono quindi dominanti sul mare e scanditi da scogli e tunnel ex ferroviari ora illuminati e dedicati alle bici.

Il tratto naturalisticamente più spettacolare però è anche uno dei pochi sterrati, a nord del porto di Vasto, nel promontorio di punta Aderci dove la vista domina decine di chilometri di costa, oltre che il trabocco d’ordinanza.

Proseguendo, con l’eccezione della sonnacchiosa località di Casalbordino dove la ferrovia ancora oggi è a un isolato dal lungomare che si percorre in bici, fino a Ortona il treno si nasconde perlopiù in galleria, e lo spettacolo della costa è tutto per le bici. A nord della città dominante sul mare la pista prosegue in modo spettacolare per un po’ (con vernice celeste ancora fresca il 30 dicembre a colorare le ruote), ma poi si interrompe prima di un nuovo tratto di costa alta che va superato con una strada asfaltata su alcuni tornanti, che è verosimilmente la vecchia Adriatica, oggi per fortuna decongestionata da quella nuova che evita il promontorio e sta più interna. E di cui bisognerà percorrere un paio di chilometri poco più a nord tra il fiume Arielli e Foro di Ortona, dove inizia l’interminabile lungomare di Francavilla che prosegue senza soluzione di continuità in quello di Pescara e poi ancora di Montesilvano, in una specie di metropoli lineare costiera.

Bici all'hotel Maja di Pescara

La seconda e ultima mezza giornata di viaggio è avvenuta il 31 dicembre 2021, in partenza dall’hotel Maja sul lungomare nord di Pescara, che ringrazio per avermi fatto ricoverare la bici in camera.

La ciclabile dei trabocchi è già terminata e l’ho lasciata alle spalle insieme ai trabocchi stessi e alle coste alte, ma non sono finite le bellezze.

Intanto c’è da completare quella che l’altra volta chiamavo la metropoli lineare che inizia a Francavilla e finisce dopo Montesilvano sul fiume Saline, che valico dall’Adriatica (uno dei pochi casi in cui mi capita di percorrerla) anche se ricontrollando le mappe avrei potuto forse percorrere il ponte di una strada secondaria e poi uno sterrato sul mare per poi attraversare sulla spiaggia il torrente Piomba, cosa forse ardua d’inverno e che potrebbe essere il motivo per cui il software di navigazione Komoot mi ha fatto passare sulla statale.

Pineta tra Silvi e Pineto
Sono ora a Silvi marina, dove la pista segue tranquilla il lungomare fino a un piccolo fiume che si supera con un ponte ciclopedonale dedicato (nella maggior parte dei casi in tutto il percorso ho trovato ponti non automobilistici sui fiumi) che porta a una zona di sottile ma bella pineta litoranea che dopo una breve interruzione riprende lunghissima un paio di chilometri a sud del paese di (non a caso) Pineto, dove il treno è rimasto vicino al mare e costeggia a lungo la pista. Anche a Pineto il torrente si passa con un ponte ciclabile,
e poi si prosegue sul mare, solitari e lontani dal traffico a Scerne di Pineto, dove la sensazione di rarefazione e tranquillità raggiunge forse il culmine. Dopo una zona pratosa, la ciclabile, qui mattonata, purtroppo non ha ancora l’infrastruttura per valicare l’importante fiume Vomano, per cui occorre prendere l’Adriatica per riportarsi poi sulla costa a sud di Roseto degli Abruzzi.

Ancora verde, con la riserva del Borsaccio, e poi ancora un rientro sull’Adriatica perché il cicloponte sul fiume prima di Giulianova è in manutenzione (o ancora in costruzione? Non so). Fa freddo e c’è nebbia, mi fermo per un cappuccino e bombolone alla crema al Caffè grande Italia in località Cologna, lasciando tranquillamente la bici ad attendermi fuori con tanto di borse mentre io mi riscaldo all’interno. C’è un clima di sommessa anticipazione di festeggiamenti di capodanno, e mentre faccio la mia seconda colazione gli altri clienti si dedicano all’aperitivo e alle carte da gioco.

A Giulianova inizia una nuova importante conurbazione costiera, con tanti hotel e ristoranti che attendono l’estate e lungomare turistici ormai riccamente infrastrutturati, e solo i ponti ciclopedonali sul Salinello e sul Vibrata segnalano il passaggio a Tortoreto e poi a Martinsicuro. Sul secondo chiedo a un anziano cosa siano quei grossi roditori che lui osserva sulle rive della foce Vibrata: nutrie.

Dopo tanta sonnacchiosa (e climaticamente fredda, aimè) tranquillità, riprendendo la statale per valicare il Tronto ed entrare nelle Marche dove sull’Adriatica e sulla parallela autostrada confluisce il raccordo autostradale da Ascoli, sembra d’esser finiti di colpo a Los Angeles. Sono intimidito dal ruggire dei TIR e alla prima opzione mi ributto sul lungomare.

A Nord della riserva naturale della Sentina, l’atmosfera a porto d’Ascoli con la sua passeggiata lungomare iperarredata sembra oggi rarefatta. Fa freddo. Guardo gli orari dei treni per tornare giù a San Salvo dove ho lasciato la macchina, sperando di trovare posto sulle rastrelliere delle bici.


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Tutte le "camminate impossibili" di Derrick in ordine anticronologico:
http://derrickenergia.blogspot.com/search/label/Camminate%20%28im%29possibili


domenica 18 luglio 2021

Infrastrutture a go-go (Puntata 492 in onda il 20/7/21 e in replica il 17/8/21)

Spiaggia di marmo a Thassos
(Copyright Derrick)
I consumi di energia, malgrado il rimbalzo soprattutto nel gas nei mesi post Covid, sono in Italia pressoché stagnanti da anni, ma non lo sono di certo le infrastrutture del settore, su cui gli investimenti non si sono mai fermati in era recente e sembrano ora, anche per il PNRR, sull’orlo di una nuova ondata. Parliamo anche di reti. Nel gas nell’ultimo decennio si sono costruiti in Italia due nuovi (e gli unici grandi) porti di attracco di navi metaniere, stoccaggi, metanodotti, ed è anche proposta la metanizzazione della Sardegna attraverso un sistema di ricezione di gas liquido via nave e sua distribuzione con una rete di metanodotti che sostituirebbe quella molto parziale già esistente di distribuzione di GPL.

Quest'ultima è un'infrastruttura che visti i bassi consumi sardi non potrà che essere un bagno di sangue economico per chi ne usufruirà, se la pagheranno i consumatori locali, o per tutti gli utenti dell'energia o i contribuenti, se i costi verranno socializzati. E in generale costruire ex novo una rete gas insulare mentre si va verso la decarbonizzazione, cioè verso la generazione elettrica rinnovabile, lascia molto perplessi, e ha avuto gioco facile l’amministratore dell’Enel Starace nel dire che non ha senso farlo, a maggior ragione visto che Terna – il gestore della rete elettrica – ha appena riproposto di portare in Sardegna un cavo sottomarino da 1000 MW dalla costa tirrenica campana giù fino a quella siciliana del Nord, per poi staccarsi e raggiungere l'isola a Est di Cagliari.

Come dire: nelle reti energetiche si investe senza badare troppo a spese, in una cosa e nel suo contrario. Con soddisfazione di molti, visto che gl’investimenti sono remunerati lautamente (cioè con un ritorno predefinito molto soddisfacente per un’attività quasi senza rischi) nelle bollette energetiche, andando a remunerare gli azionisti di Snam e Terna ma anche le tante aziende coinvolte nella costruzione di cavi e tubi e nella loro posa.

Una sbornia di infrastrutture, utili sì ma forse con qualche rischio di ridondanza e soprattutto di costi fuori controllo in assenza di analisi costi/benefici accurate, e su cui chiedono di vederci meglio (come hanno scritto il 12 luglio 2021 Quotidiano Energia e un livido ma divertente Mauro Pili sull’Unione Sarda) il tavolo della domanda energia di Confindustria ma perfino associazioni di fornitori come AIGET e Energia Libera. Fornitori consapevoli che, se sulla frazione risicata e molto competitiva della componente energia delle bollette si abbatte una parte sempre più pesante per remunerare l’infrastruttura, sarà difficile che la bolletta energetica complessiva possa essere competitiva.

Con il Tyrrhenian Link (così si chiama il nuovo cavo progettato da Terna), sarebbe la prima volta in Italia – e se non sbaglio una rarità anche altrove – che si usa una dorsale elettrica sottomarina non solo per raggiungere isole o varcare mari attraverso il percorso più breve o più semplice, ma – in parte del tracciato – anche per evitare potenziamenti su terra molto più economici ma anche più difficili da autorizzare.

Una difficoltà, quella autorizzativa, che evidentemente diventa possibile eludere off-shore quando dalle bollette arrivano i miliardi necessari.


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lunedì 8 marzo 2021

Energia wireless (Puntata 476 in onda il 9/3/21)

Un'immagine dal sito di Emrod

Se avete paura delle onde elettromagnetiche, meglio che spegnate la radio prima di ascoltare troppo oltre.

Io peraltro ce l’ho, questa paura, da quando come ho raccontato in una puntata mesi fa mi sono accorto che una stazione di antenne per cellulari vicino a casa mia è stata dimenticata dall’ARPA Lazio che pure dopo una prima verifica aveva ritenuto che le sue emissioni richiedessero analisi più approfondite. Ad essere dimenticati, più che la stazione, sono stati i cittadini della zona.

E anche oggi in effetti parliamo di microonde, come quelle dei cellulari, ma le microonde odierne non sono a scopo comunicazione. Bensì proprio per trasferire energia, cioè per fare ciò che nel caso dei cellulari è un effetto collaterale del mandare dati.

A chi non è capitato in qualche zona affascinante di montagna di essere disturbato dalla vista di un traliccio dell’alta tensione? In aree di particolare pregio spesso il gestore della rete elettrica riceve petizioni di cittadini che vorrebbero mettere sottoterra cavi che disturbano il paesaggio.  Altre volte capita di notare l’incongruità di chilometri di linea di distribuzione in campagna per raggiungere solo poche case.

Ebbene, c’è un’azienda neozelandese chiamata Emrod che sviluppa proprio questo: una tecnologia per lanciare fasci concentrati di microonde allo scopo di trasferire energia elettrica a distanza rilevante senza l’uso di cavi. Altroché i 6 Volt/metro di attenzione per le onde dei telefonini, qui l’obiettivo è proprio spararne tanta di energia. Per questo alla Emrod hanno dovuto pensare a un sistema di sicurezza in grado di accorgersi se il fascio intercetta qualcuno anziché arrivare liberamente alla stazione di ricezione o di rinvio. La soluzione è circondare il fascio di microonde da alcune luci laser non letali che la stazione di ricezione sa di dover vedere. Quando non arrivano significa che il fascio è intercettato da qualcuno o qualcosa e allora il trasmettitore smette di mandare energia.

Spedire elettricità così però costa caro in termini di inefficienza: circa il 40% di perdite. Eppure ci sono applicazioni per cui sarebbe comunque sensato, per esempio raggiungere un luogo particolarmente impervio superando canyon o corsi d’acqua, o tratti di mare per arrivare a un’isola. O ovviare al fuori servizio di una linea di interconnessione. O ancora alimentare proprio i siti di antenne cellulari che hanno bisogno di tanta energia per la ripetizione del segnale. Dunque, se vi capiterà di venire investiti da un puntino di laser che proviene da un’antenna, il mio consiglio è di scansarvi, oppure indossare una tuta metallica.


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