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domenica 20 aprile 2025

Rigidità del nucleare francese (Puntata 668 in onda il 22/4/25)

Illustrazione di Copilot
Questa puntata si può ascoltare qui.

Sylvain Rommel è il direttore commerciale di RTE, il gestore della rete di trasmissione elettrica francese.

L’11 aprile 2025 ha scritto una lettera piuttosto cerimoniosa e tuttavia urgente in cui chiede agli operatori che forniscono servizi di bilanciamento di anticipare le loro previsioni in modo da aver più margini per gestire in sicurezza la rete elettrica francese in un contesto di eccesso di produzione.

Ne hanno parlato Ugo Petruzzi su Révolution énergétique e anche Staffetta Quotidiana in un articolo non firmato che ha anche pubblicato la lettera di Rommel.

Ma com’è questa storia che l’eccesso di produzione è un problema? E non si può semplicemente produrre un po’ meno?

Il fatto è che nella generazione elettrica non tutti gli impianti hanno lo stesso livello di programmabilità e di flessibilità.

Le fonti che mostrano negli ultimi anni un boom in buona parte del mondo, in particolare Cina ed Europa, sono il fotovoltaico e l’eolico, molto competitivi ma non programmabili. Siccome hanno costi variabili bassissimi perché non gli serve combustibile, conviene farli funzionare ogni volta che ci sono sole e vento. Il resto del fabbisogno invece deve venire (in misura sempre maggiore man mano che la quota di rinnovabili aumenta) da impianti flessibili che possano modulare la produzione per essere complementari alle rinnovabili. In altri termini: quando ho energia senza costi la uso, e il resto lo faccio con impianti che usano il combustibile. Sempreché questi ultimi possano ridurre la produzione con la prontezza e nelle quantità necessarie.

Se non sono in grado di farlo, occorre ricorrere agli accumuli (per esempio riempire i bacini idroelettrici o caricare batterie) o convincere qualche cliente a consumare di più cedendogli l’energia a un prezzo particolarmente conveniente.

Quest’ultima cosa è successa proprio nei giorni scorsi in una zona dell’Olanda, dove sperimentalmente si è offerta energia gratis ai clienti in modo che i loro maggiori consumi equilibrassero un sistema con molto eolico, fotovoltaico e idroelettrico non programmabile.

Ma la Francia non ha una penetrazione di fonti rinnovabili tale da servire tutta la domanda nemmeno in ore con grande disponibilità di sole e vento, dunque perché semplicemente non riduce la potenza degli altri impianti?

Gli ascoltatori assidui di Derrick la risposta la sanno già: perché il nucleare non è adatto a modulare la sua potenza quanto lo sono invece, per esempio, gli impianti a gas. Così la Francia si trova in difficoltà a bilanciare la rete malgrado la grande capacità di esportazione del sovrappiù produttivo che le interconnessioni europee le permettono.

Più saranno le rinnovabili in Francia e in Europa, più sarà un problema per la Francia gestire la rigidità della produzione nucleare, a meno che non si doti di quantità di stoccaggio in misura proibitiva rispetto ai paesi senza o con poco nucleare, cioè pressoché tutti gli altri.

Dei tanti, il più grosso punto debole delle nuove velleità nucleari italiane è proprio la scarsa capacità di convivenza tra nucleare e rinnovabili non programmabili (l’esatto contrario di quanto ripetono periodicamente anche alcuni ministri), che per essere risolta richiederebbe un ulteriore ricorso agli stoccaggi oltre a quelli già necessari per le rinnovabili, oppure grandi flessibilità da parte di consumatori di elettricità o calore. Cose i cui costi si aggiungerebbero a quelli già proibitivi del nuovo nucleare.

Link:

martedì 3 dicembre 2024

Il rischio finanziario delle reti gas (Puntata 648 in onda il 3/12/24)

Bucarest, piazza della rivoluzione
La scorsa primavera, volendo rinnovare la mia cucina, ho approfittato per sostituire i fornelli a gas con piastre elettriche a induzione, e lo stesso ho fatto con la caldaia a gas, sostituita con un apparecchio elettrico. Questo mi ha permesso di liberarmi della bolletta del gas, di cui, consumando già molto poco, pagavo perlopiù componenti fisse.

Ho preso online tramite il mio fornitore un appuntamento con la società di distribuzione locale, che gestisce rete e contatori, e il giorno previsto si è presentato un addetto che ha chiuso il contatore e ha apposto un sigillo. Tutto qui. Non è stato non dico smontato, ma nemmeno tappato nulla.

L’operazione mi ha ricordato me stesso quando conservo oggetti che in cuor mio so non userò mai più. Lo faccio forse per illudermi di essere eterno, di poter un giorno se mi va ricominciare abitudini o cicli che in realtà si sono chiusi e appartengono a mondi ormai desueti. (Mi viene in mente una canzone struggente dell’ultimo album di Joe Cocker, intitolata Younger, in cui l’io narrante si propone quando sarà più giovane di fare un sacco di cose che ha finora tralasciato).

A proposito: in casa ho perfino riutilizzato una parte delle tubazioni del gas per farci passare filodiffusione per musica. Chi mai, anche se vendessi casa, ristrutturandola penserebbe mai di ripristinare apparecchi a gas mentre pressoché tutte le abitazioni vengono oggi progettate con alimentazione energetica solo elettrica?

L’Europa va verso l’abbattimento del 90% delle emissioni CO2 nel 2040 rispetto al ’90, e a emissioni nette nulle nel 2050. E un’analisi della Commissione europea prevede che nel 2050 useremo oltre il 70% in meno di idrocarburi gassosi rispetto a oggi, anche considerando biogas e idrogeno.

In un podcast-intervista che linko sul blog Derrick Energia, Jan Rosenow di Regulatory Assistance Project, una brillante società di consulenza al settore pubblico con sede a Oxford, nota non per la prima volta il rischio economico legato al fatto che migliaia di chilometri di reti ad alta pressione di gas e milioni di chilometri di reti cittadine sono valutate negli stati patrimoniali delle aziende che le gestiscono come cespiti in grado di produrre reddito ancora a lungo mentre in realtà saranno inutili molto preso. Non solo, in paesi come il nostro si investe ancora in nuove reti, fatte per durare anche 80 anni. A metterci i soldi sono anche fondi pensione che dovrebbero invece fuggire da infrastrutture che rischiano di non valere più nulla molto prima di quando il loro attuale tasso di ammortamento preveda.

Il mio contatore elettronico seminuovo sul pianerottolo, che verosimilmente non servirà mai più, ma forse è perfino ancora teleletto, è lì a testimoniare tutto ciò.

Più tardi smetteremo di investire in, e più tardi gestiremo un deprezzamento accelerato delle reti del gas, peggio sarà per chi si ritroverà coi suoi capitali ivi impiegati quando saranno diventate completamente inutili, dice Rosenow.

Conoscendo come funzionano le cose da noi, è molto probabile che alla fine col cerino in mano resteranno i contribuenti, dopo che chi avrà potuto avrà ceduto le quote a qualche fondo pubblico tipo CDP reti.

Link

Due interviste a Jan Rosenow di Regulatory Assistance Project:


martedì 19 novembre 2024

Meloni a Baku (Puntata 646 in onda il 19/11/24)

È in corso a Baku, in Azerbaijan, la 29esima conferenza ONU sui cambiamenti climatici e non sta andando molto bene mentre scrivo. Pochi i capi di Stato presenti, mentre aleggia la figura del presidente eletto Trump che la prima volta alla Casa Bianca aveva ritirato gli USA dagli impegni dell’accordo di Parigi, uno dei più importanti nella storia delle COP, perché quantificò in 2° (poi ridotti a 1,5) il riscaldamento massimo tollerabile per non incorrere in costi di adattamento insostenibili.

Come nella storia (che ora non ricordo da che tradizione venga) della rana in pentola, sembrerebbe che il riscaldamento progressivo e i danni collaterali più che spaventare stiano assuefacendo la maggioranza del genere umano, che non trova il guizzo per saltare fuori dalla pentola prima di restare bollito, o per spegnere il gas sotto.

E l’assuefazione s’accompagna a un armamentario di frasi fatte e argomentazioni dogmatiche standard che i politici disinteressati alla questione usano ormai rutinariamente. Per esempio: no al catastrofismo, no all’ambientalismo “ideologico”, sì alla neutralità tecnologica. (Per inciso, non c’è niente di più tecnologicamente neutrale per ridurre le emissioni dannose che far pagare una carbon tax sufficiente a disincentivarle, senza impedire né favorire in modo arbitrario alcuna tecnologia).

Non fa eccezione a questa brutta superficialità purtroppo la premier Meloni che, a Baku anche come presidente di turno del G7, non si è fatta mancare nel suo discorso nessuno dei luoghi comuni che ho elencato, cui si aggiunge che le fonti rinnovabili di energia da sole non bastano. Il che richiederebbe evidenze o argomentazioni, come l’atra affermazione buttata lì sulla persistenza della necessità del gas.

Ma le argomentazioni, per smentire i tanti studi che dicono il contrario da parte di istituzioni come OCSE, ONU, Banca Mondiale, non arrivano in questo stanco gioco delle parti.

Meloni ha concluso dicendo che dobbiamo confidare nella fusione nucleare.

Tagliando così le gambe allo stesso ministro Pichetto Fratin che poche settimane fa (Derrick ne ha parlato) aveva invece lanciato un piano per l’Italia sui piccoli reattori modulari a fissione, a sua volta deludendo chi sperava di avere il via libera a realizzare impianti di tecnologie effettivamente disponibili oggi, pur con tempi biblici di costruzione e senza sapere con quali soldi.

Meloni invece salta direttamente alla fusione. Se in un altro contesto una visione così proiettata al futuro remoto avrebbe potuto suonare come un tocco di speranza o lungimiranza, a una conferenza il cui obiettivo è spegnere in fretta il gas sotto la pentola della rana il discorso di Meloni ha mostrato, in triste contrasto con il piglio assertivo con cui è stato pronunciato, un’indifferenza raggelante. E non è un gelo utile a raffreddare il pianeta.

Qui una recente mia conversazione sul nucleare per Euronews: 

martedì 30 luglio 2024

Elettrificazione dei consumi e false verità (Puntata 633 in onda il 30/7/24)

Pressostato per lavabiancheria
Come la volta scorsa, oggi provo a smontare una classica argomentazione di contrasto da talk show alle politiche di mitigazione del danno climatico. Il luogo comune sbagliato della settimana è: “non ha senso che usiamo le auto elettriche se tanto l’elettricità la facciamo ancora a carbone”.

Questo periodo avrebbe leggermente più senso, ma sarebbe ancora sbagliato, coniugato nel tempo dell’irrealtà, al congiuntivo imperfetto, ossia: “non avrebbe senso usare auto elettriche se facessimo ancora l’elettricità a carbone”.

In realtà per fortuna il mondo usa sempre meno fonti fossili dannose per il clima per fare elettricità. La prima parte del 2024 in particolare ha visto accelerare il boom delle fonti rinnovabili anche in Europa, solo in parte grazie alla maggior disponibilità di energia idroelettrica rispetto agli anni precedenti. In Italia nella prima metà del 2024 abbiamo superato il 43% di elettricità da fonti rinnovabili (un record per noi), e il restante non è se non in minima parte da carbone. Oltretutto, tutte le centrali a carbone in Italia saranno chiuse entro il 2025 secondo la Strategia Energetica e il PNIEC, tranne quelle sarde che probabilmente ci metteranno qualche anno in più (con conseguente responsabilità politica di chi avalla tale ritardo).

Se teniamo conto degli impianti in costruzione, il sorpasso delle rinnovabili sulle fossili nell’elettricità è a un passo anche in Italia, dopo essere avvenuto già in Europa.

Quindi: la storia dell’elettricità da carbone non è mai stata vera in Italia, ma anche intendendo gas fossile e non carbone è e sarà rapidamente sempre meno vera.

Detto questo primo chiarimento, ce ne sono altri due forse meno ovvi.

Il primo: elettrificare i consumi (per esempio usando elettricità anziché benzina) ha senso anche perché la quota rinnovabile dei combustibili è molto più bassa di quella della produzione elettrica, ed è destinata a restarlo in particolare a causa della complessità di approvvigionarsi di biomassa combustibile, che in molti casi richiede vastissime aree di agricoltura dedicata e sottratta ad altro, o sfridi che però non sono disponibili in quantità sufficiente.

Il secondo motivo per cui elettrificare i consumi è sempre meglio che non farlo è l’inquinamento. Se anche, per assurdo, producessimo l’elettricità tutta da fonti inquinanti, sarebbe sempre meglio che ad inquinare fossero impianti relativamente efficienti e in grado di controllare le emissioni e lontane dai luoghi densamente abitati che tubi di scappamento urbani ad altezza di passeggino.

Vi torna? Se sì, per favore fate una pernacchia la prossima volta che sentite la cretinata del “tanto non cambia niente se uso l’auto elettrica” (o la pompa di calore).

Prima di chiudere, uno spot. Se vi piace Derrick (ma anche se no) potreste trovare interessante Ecoglossia, il nuovo podcast prodotto da I nomi e Michele Governatori su come scriviamo in azienda, e sui tic della scrittura di servizio, da un lato divertenti da osservare, dall’altro forse specchio di problemi dentro alle organizzazioni. Su Spotify, Amazon Music e YouTube


lunedì 22 luglio 2024

UE autolesionista negli sforzi per il clima? (Puntata 632 in onda il 23/7/24)

Un abitante del parco archeologico di San Augustin (Colombia)
Un abitante del
parco archeologico di
San Augustin (Colombia)
Un brutto fenomeno che io patisco, e magari non sono il solo, è la fatica nel trovarmi di fronte a conversazioni già sentite, con interlocutori che usano sempre le stesse uscite argomentative convinti che siano brillanti o definitive ma senza in realtà averle mai approfondite o testate con un minimo di accuratezza.
Bisogna a tutti i costi reprimere l’insofferenza che ne deriva se uno ha la velleità di fare piccola divulgazione nel campo di cui si occupa. Altrimenti il fallimento è palese.

Allora tento oggi un piccolo esercizio: prendo una di queste argomentazioni da talk show e provo a dire perché è completamente controvertibile.

L’affermazione, o meglio: la famiglia di affermazioni, è questa:

“L’impegno europeo sulle politiche del clima è autolesionista e inutile, perché l’Europa conta per una minima parte delle emissioni dannose globali”.

Allora: guardiamo intanto i numeri. Il mondo emette circa 35 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente all’anno, di cui il continente europeo poco più di 5 di cui poco più della metà nell’Unione Europea. È poco? Dipende da a cosa lo relazioniamo. Relazionarlo alla popolazione, calcolando le emissioni procapite, mi sembra ovvio. E cosa ne esce? Che in Europa emettiamo più della media del mondo, anche se meno dei Paesi peggiori da questo punto di vista, che sono Nord America, Australia, paesi ricchi del Golfo e Russia.

Quindi è vero che tra i paesi ricchi noi europei siamo più virtuosi, ma stiamo comunque danneggiando il clima in misura maggiore dell’abitante mondiale medio.

Un fatto evidente è che per ora chi è più ricco ancora inquina di più anche se il trend è in miglioramento (la Russia è un esempio particolarmente negativo con meno ricchezza ma altissime emissioni procapite). L’Europa da tempo riduce le proprie emissioni in termini assoluti, mentre il nord America lo fa da pochi anni (ma a rendere meno significativo questo risultato c’è da osservare che la nostra economia è stagnante).

Ma ora chiediamoci: ha senso attribuire responsabilità climatiche solo in base alle emissioni attuali? Ma certamente no! Perché? Perché l’effetto-serra è il risultato delle emissioni dannose accumulate dall’inizio dell’era industriale, in Europa a fine Settecento, nel Sudest Asiatico mediamente pochi decenni fa e in Africa in molti casi non ancora. Chi si è sviluppato compromettendo risorse ambientali ha o non ha la responsabilità di mitigare l’effetto di ciò nei confronti del resto della comunità umana?

Infine, e questa è forse la controargomentazione che mi sembra più rilevante. Se è vero (e abbiamo visto che lo è solo parzialmente) che negli sforzi per il clima l’Europa si comporta meglio di altri e che è stata pioniera di questa e tante altre forme di sviluppo, dovrebbe questo portarci a smettere di innovare e di segnare la rotta rispetto al pianeta? Di rinunciare a quel che resta della nostra capacità di influenza virtuosa?


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martedì 16 aprile 2024

L'ottimismo dell'elettricità (Puntata 618 in onda il 16/4/24)

Sono stato invitato a partecipare il 13 aprile 2024 a “Un’Europa senza Euro 6”, uno dei convegni organizzati da Asimmetrie, l’associazione culturale promossa dall’economista e parlamentare Alberto Bagnai. Ho partecipato a un panel con Gianluca Alimonti, professore di energetica alla facoltà di fisica della Statale di Milano. Titolo del panel: “L’ottimismo dell’elettricità, il pessimismo della combustione”, in cui si è parlato di aspetti che tipicamente vengono dibattuti quando si affrontano questioni legate alla transizione dei sistemi energetici verso tecnologie compatibili con le politiche di mitigazione dei cambiamenti climatici.

Il mio ruolo nel dibattito era quello dell’ottimista, nel senso di propugnatore dell’elettrificazione dei consumi energetici e della produzione elettrica da fonti rinnovabili. Link per ascoltare qui sotto.


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lunedì 21 agosto 2023

Impennata dei prezzi energia 2021-2023

Testi delle puntate sul caro-energia 2021-23 in ordine anticronologico 

Prezzo del contratto future con scadenza dic23
sulla borsa gas TTF






Prezzi di vari beni energetici/zone durante la crisi (IEA, WEO2022)








Puntata 585 (in onda il 22/8/23) 

Un anno fa il gas nel principale mercato finanziario europeo raggiungeva livelli incredibili di oltre dieci volte il prezzo a cui eravamo stati abituati. Il regime russo modulava beffardamente riduzioni della fornitura per creare il panico tra gli acquirenti e otteneva di aumentare i propri ricavi malgrado la riduzione delle quantità esportate. L’Unione Europea accelerava le sue politiche di diversificazione delle fonti di gas e di efficienza energetica e transizione verso le rinnovabili e introduceva sistemi di mitigazione dell’aumento delle bollette per i consumatori di energia.

Derrick ha seguito con costanza le vicende e in questa pagina tutte le puntate sull’impennata dei prezzi sono raccolte insieme e leggibili facilmente. In questa puntata facciamo un aggiornamento a un anno dal picco di prezzo.

A quanto sta il gas oggi in Europa? A un prezzo che è meno di un quinto del massimo della crisi, ma ancora nettamente superiore a quello cui ci eravamo abituati negli ultimi anni precedenti l‘invasione dell’Ucraina. L’energia elettrica, che ancora in Italia produciamo con un importante ricorso al gas, veleggia anche lei su prezzi all’ingrosso decisamente più normali, anche se elevati rispetto ai periodi pre-crisi più favorevoli.

Se i prezzi si sono ridotti con una velocità paragonabile a quella con cui erano saliti, non sono scomparsi alcuni degli aiuti in bolletta a carico del sistema fiscale. Infatti restano (a norme attuali solo fino a settembre [2023]) l’IVA al 5% sul gas e la fiscalizzazione degli oneri di sistema che normalmente caricano le bollette per finanziare alcuni dei costi della macchina dell’energia.

La discesa dei prezzi però non fa venir meno effetti strutturali molto rilevanti dello shock. L’Europa ha clamorosamente vinto la sfida di ridurre la sua dipendenza dal gas russo. Nelle prime 32 settimane del 2023 l’import russo è valso solo l’8% del totale contro il 24% dello stesso periodo nel 2022, e quindi con prezzi pressoché normalizzati il regime di Putin può contare solo su una frazione degli introiti precedenti. In altri termini, la Russia ha spuntato l’arma commerciale più forte che aveva verso l’Occidente e la principale fonte di finanziamento della guerra. Lo ha fatto verosimilmente senza possibilità di ritorno finché ci sarà l’attuale regime.

Le fonti rinnovabili, dal canto loro, in Europa e in gran parte del mondo sono decollate. 41 GW di nuovo fotovoltaico nell’UE nel 2022 (il 40% in più rispetto all’anno prima), in Italia si sono fatte 3 volte le nuove installazioni di rinnovabili rispetto al 2021. Anche le scelte dei consumatori si sono dirette verso tecnologie nuove, in particolare le pompe di calore domestiche non solo per il raffrescamento ma anche per il riscaldamento, incluso quello dell’acqua sanitaria, un boom che accomuna, tra l’altro, Italia e Regno Unito, malgrado da noi le resistenze degli installatori rendano il processo più lento di quel che è destinato a essere. Se vi appassiona quest’ultimo aspetto, trovate un video specifico sulla playlist energia del canale youtube di Michele Governatori, qui.

Puntata 576 (in onda il 30/5/23) - Massimizzazione delle centrali a carbone

Uno dei luoghi comuni (in parte corretti) della crisi dell’energia è stato che essa abbia portato all’aumento della produzione delle centrali a carbone. Addirittura un discorso da autobus (questo del tutto falso) che ho sentito spesso - non solo in autobus - è che in Italia si siano riaperte centrali a carbone chiuse.

Facciamo un passo indietro. Cos’è successo nel mercato della produzione elettrica quando i prezzi del gas sono schizzati? È successo che i combustibili alternativi al gas – carbone in primis – sono diventati più competitivi, e questo ha fatto sì che naturalmente le centrali che li usano abbiano aumentato la produzione. Il che è una piccola parte di quella reazione virtuosa che il mercato dell’energia ha avuto all’aumento dei prezzi del gas, reazione che, come abbiamo visto in altre puntate, ha permesso che non ci fosse nessun razionamento forzoso dei consumi, bensì solo quello volontario in risposta a prezzi più alti.

Negli anni precedenti alla crisi le centrali a carbone ancora attive in Italia producevano in modo molto parziale rispetto alla loro capacità. Perché? Perché il differenziale tra prezzo del gas e del carbone e quello per acquistare i permessi alle emissioni-serra le rendevano non convenienti. Se è vero infatti che il gas è più pregiato e costa più del carbone, è anche vero che emette circa tre volte meno CO2 e quindi in tempi normali diventa competitivo grazie al sistema europeo di responsabilizzazione economica alle emissioni.

Ora il quadro cambia, e lo fa in un modo che mi porta ad affermare che non la crisi, ma le politiche sbagliate in risposta alla crisi stanno sì massimizzando l’uso del carbone. In Italia infatti è stata recentemente riproposta ed estesa la norma che richiede ad alcuni tipi di centrali elettriche che usano combustibili alternativi a gas di produrre indipendentemente dalla convenienza che ne abbiano. Questo rende le centrali a carbone e quelle a prodotti petroliferi indifferenti a quel meccanismo economico che ho descritto poco fa. Con questa norma dirigista e pro energie fossili, ritengo lo si possa dire senza timore di inesattezza, per quanto alti siano il prezzo da pagare per le emissioni-serra, le centrali a carbone e a olio combustibile sono comunque tenute e produrre. Dopodiché vendono l’energia sulla borsa elettrica anche se il prezzo non remunera i costi e ricevono un rimborso dei costi nella stessa logica dei cosiddetti “impianti essenziali”.

Dunque sì: stiamo massimizzando il carbone e altre fossili per decreto. E lo stiamo facendo, attenzione, in una fase in cui gli stoccaggi di gas sono comunque eccezionalmente pieni tenendo conto del fatto che siamo all’inizio della stagione di riempimento.

Quella della politica verso il gas come reazione alla crisi del gas io l’ho in passato chiamata sindrome di Stoccolma. Una spiegazione psicologica che forse potrebbe adattarsi a una persona, ma che applicata alla politica energetica e climatica di un paese mi sembra impossibile da giustificare.

Puntata 575 (in onda il 23/5/23)

Per la puntata 575 di Derrick, la pillola settimanale su energia, ambiente, talvolta economia, istruzione e altro torniamo a osservare alcuni indicatori di come sta procedendo la cosiddetta crisi dell’energia cominciata con la ripresa post-COVID e poi diventata parossistica con l’attacco russo all’Ucraina.

Proprio la scorsa settimana notavamo come tutto sia stato fatto nell’Unione Europea e Italia tranne che rinunciare a importare gas russo via tubo. Tale rinuncia era auspicata da me e si era tramutata anche in un’interrogazione parlamentare da parte dei deputati PD Andrea Casu e Chiara Braga.

Ora il documento di apertura del G7 in Giappone propone un accordo per estendere le sanzioni anche alle importazioni di gas via tubo. Quando questa puntata andrà in onda si saprà se la cosa ha effettivamente avuto esito, e se sì si tratterà in effetti di una svolta significativa, che dovrà contemperarsi con la necessità di approvvigionamento di gas dell’Ucraina, che avviene proprio spillando una parte dell’idrocarburo che oggi viaggia verso le aree interne dell’Europa. Non solo, l’Ucraina viene remunerata come paese di passaggio del gas russo, e non mi risulta che ciò si sia interrotto con la guerra. Immagino quindi che se davvero chiuderemo noi del tutto i rubinetti ci sarà necessità di proteggere l’Ucraina dall’azzeramento di questi introiti.

È in ogni caso la Russia che sta perdendo e ha ancora più da perdere dalla congiuntura energetica recente. I consumi italiani di gas nel primo trimestre 2023 sono calati del 20% rispetto a quello precedente e perfino Snam, il gestore dei gasdotti italiani ad alta pressione che ha tutto l’interesse a fare stime elevate, prevede una domanda gas Italia 2023 a 68 miliardi di m3, come nel 2022 in cui i consumi sono scesi per reazione a prezzi eccezionalmente alti. Prezzi che però nel frattempo sono scesi quasi con costanza (perfino sotto i 30 €/MWh negli ultimi giorni nel famigerato mercato futures olandese TTF), il che insieme ai minori flussi da Russia a UE via tubo sta distruggendo questa fonte di introiti per Mosca, solo parzialmente compensata dalle maggiori vendite di gas liquefatto russo via nave.

Il New York Times ha parlato di “strutturale disintegrazione dell’industria dell’export del gas così vitale per Mosca”. Complessivamente un articolo su Rivista Energia stima un calo di 17 miliardi di m3 di export russo al netto del gas liquido nel 2023 rispetto al 2022, e un dimezzamento circa dei ricavi russi che si aggiunge a quello dall’export di petrolio.

Puntata 574 (in onda il 16/5/23)

È da un po’ che non facciamo il punto sulla cosiddetta crisi del gas.

Dopo la fiammata iniziata a inizio 2022 ed esplosa nell’estate dello stesso anno, i prezzi sono scesi e oggi veleggiano a poco più di 30 €/MWh, livelli simili a quelli di fine 2021.

Dall’invasione dell’Ucraina a oggi non c’è stato alcun razionamento, malgrado alle minori disponibilità di gas russo si sia aggiunta la siccità con le sue conseguenze devastanti anche sulla produzione idroelettrica. E il razionamento non c’è stato soprattutto perché i prezzi alti hanno ridotto la domanda di un 15% circa nel 2022. Ma ancora più impressionanti, perché a parità di prezzo circa rispetto allo stesso trimestre 2022, è il quasi 20% in meno di consumi da gennaio a marzo di quest’anno in Italia, Italia che ha finito l’inverno con gli stoccaggi più pieni di sempre, in una situazione di sovrabbondanza di gas clamorosa, malgrado la produzione nazionale sia ancora in calo in barba ai decreti che avrebbero dovuto stimolarla.

Il tutto mentre ancora procede la retorica sul rischio di rimanere a secco e mentre soldi pubblici nostri o europei vengono indirizzati verso infrastrutture del gas che nessun privato si sogna ormai di finanziare da anni, comprese le centrali elettriche a gas che si costruiscono ormai solo grazie a un meccanismo denominato capacity market che le ripaga interamente con soldi presi dalle bollette future, indipendentemente dal fatto che queste centrali si accenderanno o meno.

A volte si legge che la corsa al gas è giustificata dalla necessità di emanciparsi dalla Russia. Ma che io sappia non esiste alcuna evidenza che gli importatori nazionali di gas russo abbiano rinunciato a comprare ciò che Gazprom rende disponibile, peraltro circa i ¾ in meno nel primo trimestre 2023 rispetto a quello 2022. (Invito esperti a smentirmi eventualmente, concedendo o meno interviste a questa rubrica).

Se è vero che almeno alcuni dei contratti a lungo termine dalla Russia sono tra i più economici del mercato, si può affermare che nemmeno con tutte le infrastrutture di importazione del mondo, a meno che non lo decida la politica, noi ci emanciperemo completamente dal gas russo. Semplicemente perché quel che la Russia manda, a chi ha i contratti conviene prenderlo.

In tutto questo, salutiamo l’autorizzazione integrata ambientale arrivata al rigassificatore di Piombino non so quanti mesi dopo che l’unità galleggiante è stata comprata con garanzie pubbliche e quando è già in arrivo il primo carico di gas per iniziare i test di funzionamento dell’impianto. Come dire che sia il gestore della rete del gas sia gli operatori commerciali che hanno contrattualizzato in anticipo gran parte della capacità dell’impianto possono permettersi di considerare l’autorizzazione del Governo, con le sue prescrizioni, un atto dovuto o, a seconda dei punti di vista, irrilevante.

Puntata 561 (in onda il 31/1/23)

Dopo tanti travagli e tira e molla tra Consiglio e Commissione l’UE ha partorito il limite al prezzo della piattaforma del gas TTF che entrerà in vigore a metà febbraio e con un limite (180 €/MWh) tre volte il prezzo del gas del momento in cui scrivo, ma che secondo alcuni, tra cui l’europarlamentare Patrizia Toia intervenuta a una conversazione pubblica organizzata da Alternativa Europea il 24 gennaio in cui c’ero anch’io, sta già contribuendo a tenere bassi i prezzi del gas grazie all’effetto-annuncio. Non è invece entusiasta del price cap l’ACER, l’ente di coordinamento delle autorità indipendenti europee dell’energia, che con gli strumenti ortodossi dell’economia nota come addomesticare i prezzi rischi di far venir meno proprio il meccanismo che ha permesso fin qui ai consumi di autolimitarsi in base alle convenienze e possibilità di ogni soggetto. Che l’Italia abbia consumato il 10% in meno di gas nel 2022 rispetto al 2021 senza andare incontro a disastri industriali (e nel resto d’Europa è andata in modo simile) dimostra in effetti l’utilità dei prezzi alti, perché In loro assenza sarebbe stato probabilmente necessario tagliare le forniture d’imperio e con criteri in qualsiasi caso discutibili.

E mi fa piacere che il ministro Giorgetti proprio sulla base di ragionamenti simili abbia preannunciato (non per la prima volta, e ne abbiamo già parlato qui) da aprile una modifica degli aiuti alle bollette che compensi in parte i costi eccezionali ma non annulli l’incentivo a reagire ai prezzi. Cosa che si può fare semplicemente sussidiando il costo solo di una parte dei consumi storici e facendo pagare il resto a prezzo di mercato.

Qualche dubbio personalmente ce l’ho anche sull’effetto del limite europeo ai ricavi dei produttori elettrici (180 euro al MWh anche questo), che rischia di funzionare anche in Italia come un segnale pro-collusivo sul prezzo dell’energia all’ingrosso, che infatti continua a veleggiare tra i 150 e i 200 euro al MWh anche con un gas attorno ai 60.

La variabilità dei prezzi, che cambiano nei mercati tecnici di bilanciamento delle reti elettriche anche ogni quarto d’ora, sarebbe utile anche per innescare reazioni di spostamento temporale dei consumi da parte dei clienti finali attraverso apparecchiature in grado di mettersi in stand-by quando il prezzo è alto e riaccendersi quando è più basso. In Italia molti di noi hanno già in casa contatori in grado sia di ricevere efficacemente segnali da remoto sia di interagire con apparecchiature di domotica (su Derrick ne parlammo diffusamente, alcune puntate sono qui). Ma perlopiù non stiamo usando queste caratteristiche dei contatori, visto che i fornitori che io sappia non offrono tariffe orarie – se mai le offrono basate su aggregati di ore meno rilevanti - e quindi l’interesse dei clienti ad attivare forme flessibili di consumo rimane sopito.

Stride il contrasto con il Regno Unito, dove il gestore della rete elettrica ha già iniziato a remunerare i clienti residenziali disposti a limitare i consumi nelle ore vespertine, che sono le ore in cui la produzione fotovoltaica si spegne ma i consumi sono ancora alti, e quindi una quota più alta di essi dev’essere fornita dalle centrali elettriche alimentate a fonti fossili come gas e carbone.

In altri termini: spostare i consumi di un’ora o talvolta meno non è affatto un gioco a somma zero: può fare la differenza tra usare gas e carbone o non usarli, a parità di consumi.

Puntata 554 (in onda il 13/12/22)

La Francia, lo sappiamo, ha meno problemi con il gas del resto d’Europa. Li ha, in compenso, con il nucleare, visto che ormai il suo parco di centrali, fondamentale per l’approvvigionamento del paese, è sempre più vetusto e necessita di interventi che spesso riducono la capacità disponibile. Un’altra caratteristica precipua della Francia – che in realtà è una conseguenza o causa della precedente - è la grande diffusione del riscaldamento elettrico. Per questo oltralpe è ai consumi elettrici che si guarda con preoccupazione quest’inverno, perché eventuali ulteriori défaillance del parco nucleare da un lato potrebbero creare problemi all’intero sistema centroeuropeo, dall’altro dovrebbero essere sopperite con produzione a gas dentro o soprattutto fuori dalla Francia, e quindi con l’esposizione a costi potenzialmente molto alti per le questioni di precarietà di approvvigionamento che conosciamo bene.

La buona notizia è che, così come i grandi consumatori di gas come Italia e Germania stanno risparmiando più di quanto ci si aspettasse, anche la Francia lo sta facendo, in questo caso in termini di elettricità, malgrado il freddo sia arrivato. Il gestore della rete elettrica ad alta tensione, RTE, ha riportato consumi nell’ultima settimana di novembre [2022] più bassi dell’8,3% rispetto alla media della stessa settimana nel periodo 2014-2019, scrive Les Echos. Una riduzione che riguarda tutti i settori, nota RTE. Numeri che suscitano l’approvazione del primo ministro Borne che dice (traduco dal quotidiano francese) che tutti evidentemente si stanno impegnando sul piano della “sobrietà”, come la chiamano i francesi. Un termine forse troppo ingombrante per i governi italiani che non mi pare l’abbiano mai adottato, ma se mi sbaglio ringrazio in anticipo chi mi segue di farmelo notare.

Sul piano della produzione, la Francia compensa i problemi del nucleare con nuova generazione elettrica da rinnovabili, con i suoi 1,7 GW aggiuntivi di solo fotovoltaico tra gennaio e settembre, che preludono a un anno in cui potrebbe far meglio dell’Italia che pure avrà un risultato estremamente buono rispetto agli anni precedenti. Interessante, su questo, una legge francese che obbliga i grandi parcheggi automobilistici a dotarsi di coperture fotovoltaiche. Mi viene da dire che ogni tanto un po’ di command & control non fa poi male.

Sul piano della nuova potenza installata i numeri impressionanti sono però come al solito quelli della Cina, che in dieci mesi – leggo da un articolo di Leonardo Berlen su QualEnergia, ha installato oltre 58 GW di fotovoltaico superando i 360 complessivi e così sopravanzando – nota Berlen – la potenza nucleare del paese. Numeri che fanno impallidire i progressi europei, e che danno l’ennesimo segnale di quanto sia sempre più ridicola la vecchia osservazione degli scettici delle politiche del clima secondo cui noi europei ci porteremmo tutto il fardello della transizione come idealisti ingenui e un po’ scemi. E numeri analoghi vengono dalle tecnologie dell’elettrificazione dei consumi, dove la Cina potrebbe vedere il passaggio globale all’auto elettrica come l’occasione per entrare come grande player mondiale del settore, cosa che non le è riuscita fino a oggi.


Puntata 549 (in onda il 8/11/22)

I dati di ottobre [2022] dei consumi di gas in Italia sono impressionanti. Quelli domestici si sono quasi dimezzati rispetto allo stesso mese di un anno prima, quelli industriali sono scesi del 23%. Le temperature assurdamente alte hanno certamente avuto un ruolo, ma è altrettanto verosimile che anche i prezzi l’abbiano avuto. Molte famiglie hanno realizzato la dimensione degli aumenti di primavera ed estate dei mercati all’ingrosso con un certo ritardo dovuto all’aggiornamento non immediato delle bollette al dettaglio, molte delle quali stanno lentamente uscendo dai prezzi fissi che arrivano gradualmente a scadenza.

Ma una parte di questi cali può anche essere definita strutturale? Secondo Andrea Ripa di Meana, l’amministratore delegato del Gestore dei Servizi Energetici, sì. Durante la presentazione di un nuovo rapporto dell’agenzia, Ripa Di Meana si è detto convinto che una parte di questi cali nell’uso di gas saranno strutturali.

Io sono d’accordo con lui, visto che stiamo anche assistendo a un boom di installazioni di impianti di produzione d’energia da fonti rinnovabili che in parte sostituiscono i consumi da combustibili fossili e che con questi prezzi anche gli investimenti in efficienza energetica aumentano.

Uno studio del Leibniz Information Centre for Economics, un centro di ricerche tedesco che si occupa di energia, indaga come invece le politiche di riduzione delle bollette con sussidi pubblici riducano l’effetto-risparmio, cosa del resto piuttosto intuitiva.

Mentre il nuovo Governo si sta apprestando a preparare la legge di bilancio 2023, io sono preoccupato di sentire Meloni promettere continuità riguardo agli aiuti alle bollette (perfino quelli sulle accise di benzina e gasolio che sono sì aumentati ma non più di quanto già in passato era già successo senza che si decidesse di socializzare una parte del prezzo). Sono preoccupato perché – a meno che i prezzi non continuino a scendere fino a normalizzarsi senza nuove fiammate – cosa per ora improbabile – da un lato continuare a mettere decine di miliardi nelle bollette è un modo molto discutibile di spendere i soldi pubblici, dall’altro non è affatto necessario disincentivare dal risparmio per aiutare aziende e famiglie in difficoltà per le bollette. Un modo semplice per non dare un incentivo perverso a sprecare l’energia sarebbe fornire solo sussidi basati sui consumi storici, magari ridotti ai livelli effettivamente necessari, anziché riduzioni di prezzo per consumi a piacere.


Puntata 547 (in onda il 25/10/22)

Un report recente dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio quantifica in oltre 60 miliardi di Euro gli aiuti contro il caro-vita spesi dal fisco italiano per il biennio 2021-2022, la stragrande maggioranza in fiscalizzazione di parte delle bollette di famiglie e imprese.

Benché ci siano senza alcun dubbio casi di aziende e famiglie che senza protezione potrebbero con prezzi alti (ma si stanno molto abbassando) andare in crisi, che vanno quindi aiutate, il fatto che gli aiuti siano illimitati rispetto al volume dei consumi evidentemente non incentiva a ulteriori risparmi e quindi contribuisce a mantenere alti i prezzi (perché maggiore domanda porta a prezzi di equilibrio più alti).

Un articolo sul Guardian del 20 ottobre [2022] racconta di un’iniziativa per molti versi naturale, ma purtroppo per ora lungi da essere applicata da noi, da parte del gestore della rete elettrica inglese, che sta iniziando un programma che remunererà i consumatori di elettricità per limitare i consumi nelle ore in cui la produzione elettrica è più scarsa e si fa con il gas naturale, per spostarli nelle ore in cui la produzione di centrali più efficienti e pulite è disponibile, per esempio l’eolico, anche in mare, che di notte non si ferma anche se molti dei consumi invece si riducono.

Perché ho definito questa iniziativa naturale? Perché sempre più, con l’avvento delle fonti rinnovabili nella produzione elettrica, il quando consumiamo sarà decisivo nello stabilirne i costi. Le fonti rinnovabili non hanno costi di combustibile, solo costi fissi di costruzione, capitale, mantenimento, e quindi usarle quando sono disponibili e sufficienti non comporta oneri aggiuntivi rispetto a quelli che comunque sono già stati sostenuti.

In altri termini: consumare quando serve accendere una centrale termoelettrica ha conseguenze molto diverse rispetto a consumare quando bastano le rinnovabili o il nucleare che, per motivi diversi, sono scarsamente programmabili.

Questo significa che dobbiamo rinunciare a usare i servizi quando li vogliamo? No. Significa piuttosto che ci conviene attrezzarci per spostare nel tempo i consumi per quei servizi il cui momento esatto di attivazione ci è indifferente. Come la lavatrice, la lavastoviglie, e, entro certi intervalli, il riscaldamento dell’acqua sanitaria e dell’ambiente. Questi ultimi due possono essere anticipati un po’ senza perdite rilevanti di efficienza e con profitto se in cambio paghiamo meno l’energia o addirittura veniamo pagati per il disturbo. Come ora avverrà nel Regno Unito.

Dovremo passare la giornata a programmare elettrodomestici? Certo che no: sono già stra-mature le tecnologie per controllare automaticamente gli apparecchi che ho citato, e altri. Serve solo un segnale economico e di regolamentazione per attivare questi meccanismi. Un segnale come quello del gestore di rete britannico.

Puntata 544 (in onda il 4/10/22)

Centrale nella settimana è stato il consiglio energia a Bruxelles con un tentativo di accordo su un tetto al prezzo continentale del gas, con una proposta di ingresso della Commissione che rilanciava l’ipotesi di limitare solo il prezzo al gas importato dalla Russia ma che invece lascerà posto a un sistema di redistribuzione dei margini economici dei produttori di energia che non usano il gas per abbassare le bollette. (Da notare però che lo stesso studio di Goldman Sachs che citavo nella scorsa puntata ritiene che dalle norme sui cosiddetti extraprofitti non ci sia modo di estrarre abbastanza soldi per tenere rilevantemente basse le bollette).

È anche vero che l’Europa invita ad aggiungere a una nuova forma di prelievo specifica sulle aziende che sfruttano energie fossili. Non mi sembra un’idea peregrina visto che secondo i dati dell’osservatorio Terna di agosto le nostre centrali a carbone fanno un margine di oltre 300 €/MWh su una produzione che ne vale in questa fase 400-500. Un margine a dir poco stellare.

Se è vero che le carbon tax sono in generale difficili da proporre quando l’energia costa tanto, mi sembrerebbe molto sensato proporla in modo intensivo ma selettivo (cioè esentando il gas in questa fase) nell’ambito delle norme sui cosiddetti extraprofitti.

L’Autorità per l’energia ha da un lato annunciato il nuovo aggiornamento delle tariffe di “tutela” dicendo di aver deciso di evitare aumenti peggiori, dall’altro con il suo direttore mercati ha condiviso alcune delle misure del regolamento sui risparmi in lavorazione a Bruxelles. Qui mi permetto di ricordare che non è un mancato aggiornamento delle tariffe della tutela (che oltretutto si applica a sempre meno clienti) a evitare gli aumenti. Semplicemente, li rimanda. Piuttosto aiuterebbe adottare politiche appropriate come quelle che la stessa Autorità auspica, tra cui la sensibilizzazione al risparmio, e per le quali non sta scritto da nessuna parte che dobbiamo aspettare questo o altri regolamenti UE.

A volte l’effetto dell’Europa per le nostre istituzioni mi sembra come quello di capi o genitori troppo pressanti: alla fine le cose finisci per farle solo quando te lo dicono loro, e ciò che dovrebbe essere uno sprone diventa paradossalmente la scusa per non usare la propria iniziativa.


Puntata 540 (in onda il 23/8/22)

Il prossimo possibile governo sovranista non avrà vita facile riguardo alle bollette dell’energia, perché difficilmente potrà introdurre misure di sostegno più estese di quelle del Governo Draghi, che non ha badato né a spese né si è molto preoccupato della sostenibilità anche giuridica delle misure.

Le varie decine di miliardi pubblici buttate un po’ a pioggia sulle bollette non ne hanno peraltro impedito l’aumento, e nello stesso tempo aver rifuggito fino all’ultimo ogni ipotesi di politica di moderazione dei consumi ci condanna a una botta di aumenti violentissimi proprio quando le cartucce per limitarli, almeno a livello nazionale, sono in esaurimento.

L’ultima mossa del Governo è di quelle che ci si aspetterebbe da un’amministrazione populista. Ne abbiamo accennato due settimane fa: un decreto impedisce ai venditori di energia che non lo abbiano già fatto di rinegoziare i prezzi. In pratica, come ha notato Alessandro Codegoni su QualEnergia, proprio i fornitori che hanno mantenuto più a lungo i prezzi al dettaglio pre-crisi ora si troveranno costretti a continuare a vendere anche pesantemente sottocosto. Se è vero che ci sono aziende integrate nella filiera che in effetti hanno profitti aumentati dai prezzi (in primis le partecipate pubbliche, che come nota lo stesso Draghi non li stanno restituendo malgrado le norme ad hoc), i semplici intermediari commerciali, che comprano energia sul mercato all’ingrosso per rivenderla al dettaglio, difficilmente possono sopravvivere al decreto in questione. Tanto che forse l’Antitrust dovrebbe occuparsi della materia.

Ma secondo me c’è una malizia ulteriore in questa mossa di Draghi. Una norma del genere, palesemente insostenibile e nello stesso tempo populista per eccellenza (perché blocca i prezzi intervenendo su decisioni commerciali di soggetti di mercato) non metterà in una bella situazione il prossimo premier, che dovrà gestirne il superamento (e l’illegittimità che mi aspetto qualche corte accerterà) facendosi quindi battere, in populismo, proprio da Draghi.

Non è un po’ paradossale se ci ritroviamo Meloni che deve sistemare i buffi di Draghi sulle bollette? (“Buffi” almeno in molte aree dell’Italia centrale vuol dire debiti).

Nello stesso tempo, l’Autorità per l’energia ha reso ora più tempestivo l’aggiornamento dei prezzi delle tariffe di tutela ai mercati all’ingrosso, il che renderà ancora più esplosiva la detonazione della bomba-bollette insieme ai primi consigli dei ministri del nuovo governo subito alle prese con la finanziaria.

Con questa congiuntura, non mi stupirei se spianare la strada ai sovranisti al governo, per poi attenderne a breve le spoglie, fosse la tattica inconfessata di buona parte della compagine politica…

Puntata 539 (in onda il 9/8/22)

L’effetto dei prezzi all’ingrosso dell’energia altissimi sulle bollette domestiche non è ancora arrivato del tutto. Una serie di elementi mitiganti sta infatti esaurendosi. Uno sono i prezzi fissi pre-crisi dei fornitori d’energia, molti prossimi alla loro fine contrattuale, altri da quel che leggo terminati anzitempo con modifiche unilaterali dei contratti. Contro le quali un decreto in preparazione mentre scrivo questa puntata (il cosiddetto “Aiuti-bis”) potrebbe imporre una sorta di moratoria su cui le associazioni dei venditori stanno mettendo in guardia, perché è difficile e iniquo immaginare che siano gli intermediari commerciali a farsi carico di calmierare i prezzi.

Se è vero, come ha tuonato Draghi in una conferenza-stampa il 5 agosto 2022, che le norme sui cosiddetti extraprofitti delle aziende di produzione d’energia non stanno portando le risorse sperate, forse sarebbe il caso di disegnare meglio quelle, anziché cercare i soldi dove non sono.

Ma tornando al rischio di aumenti ulteriori delle bollette, non c’è solo il problema delle rinegoziazioni dei venditori. L’ARERA, l’Autorità dell’energia, verosimilmente in accordo con il Governo, all’inizio della crisi ha ritardato artificialmente l’aggiornamento ai prezzi all’ingrosso che viene usato per calcolare le tariffe di maggior tutela dell’elettricità (e quindi anche di eventuali altre tariffe del mercato libero che ne siano indicizzate).

Operazioni di questo tipo sono già avvenute in passato: in pratica lo Stato altera il meccanismo di rispecchiamento del prezzo di acquisto dell’energia di Acquirente Unico per la tutela sfruttando la liquidità delle casse di compensazione pubbliche delle bollette per rimandare l’aggiornamento. Ma è evidente che è un trucco che può durare poco, perché i costi di acquisto di Acquirente Unico – il broker pubblico di energia per la tariffa di tutela – devono essere ripagati. E se i prezzi di mercato resteranno alti l’aumento necessario a recuperare questo debito vi si aggiungerà, con il risultato di portare a incrementi rispetto a prezzi già altissimi.

Claudio Zocca, consulente del settore e autore del blog “Altrabolletta”, in un articolo il cui link riporto sotto nella sezione "link", mette dettagliatamente in guardia rispetto al fatto che la tariffa di tutela elettrica dovrà recuperare lo squilibrio di cui ho appena detto con incrementi nel prossimo trimestre tali da più che raddoppiare la bolletta, a meno che interventi di nuova fiscalizzazione vengano messi in campo.

Difficile immaginare quali, visto che già il Governo ha fiscalizzato tutta la parte di oneri generali elettrici che prima della crisi valeva circa un terzo di una bolletta domestica-tipo, e che sul gas ha abbassato per tutti al 5% l’IVA. Se è già un problema proseguire – come si sta facendo – queste misure molto onerose, figuriamoci ampliarle.

In tutto questo, perlomeno finalmente è arrivata (almeno alla radio io l’ho sentita) una prima campagna pubblica per il risparmio energetico. Stiamo forse passando – era ora - dalla retorica dell’andrà tutto bene a quella sul fatto che è indispensabile tirare per un po’ la cinghia sui consumi evitabili di gas e elettricità, se non vogliamo tirarla drammaticamente in termini di bollette o tasse.

Ringrazio per questa puntata Claudio Zocca.


Puntata 537 (in onda il 26/7/22)

Il giorno in cui questa puntata di Derrick andrà in onda, il Consiglio Europeo potrebbe approvare una proposta di regolamento della Commissione con cui l’UE impegna gli stati membri a iniziative di vario tipo per risparmiare gas. Iniziative che potrebbero diventare obbligatorie in caso di effettiva interruzione dell’export russo.

Si tratta di una politica che condivido, anche perché il risparmio è l’unica risorsa subito disponibile e quindi in grado di dare i suoi frutti entro il prossimo temuto inverno.

La questione però si complica quando c’è da decidere chi razionare in caso di imposizione di minori consumi.

In tempi normali, avremmo dato per scontato che questa funzione di selezione sia svolta dal prezzo, che è appunto l’esito di una procedura competitiva (il mercato) che fa sì che i beni vadano a chi è disposto a pagarli di più. Invece, in questi tempi eccezionali (ma davvero resterà un’eccezione?) in cui i prezzi dell’energia sono mantenuti artificiosamente più bassi per varie o tutte le categorie di consumatori rispetto a quanto sarebbero in assenza di interventi pubblici, serve un secondo artificio per annullare il primo artificio dei sussidi e reintrodurre un segnale economico di incentivo al risparmio. (E c’è il rischio che i due artifici contrapposti diventino un doppio sussidio, scommettiamo?).

Malgrado tutto, però, i prezzi comunque alti stanno funzionando nell’indurre al risparmio. Basta guardare i dati dei consumi gas in Italia a giugno 2022, che si presentano per residenziale e industriale in discesa di circa il 10% rispetto a un anno prima. La conseguenza – e ci tornerò sotto citando una fonte ben più autorevole di Derrick – è che una politica di sostituzione a qualunque costo dell’intera fornitura russa è un errore, perché non di tutti quei volumi avremo ancora bisogno finché questi sono i prezzi, nel senso che non tutti i consumatori reputano razionale pagare l’energia cinque o anche dieci volte più del suo prezzo pre-crisi.

E anche quando i prezzi si saranno normalizzati, parte delle riduzioni dei consumi di gas si rivelerà permanente (perché dovuta a fonti rinnovabili, efficienza, cambio di abitudini).

Si è però purtroppo mosso in senso contrario a giugno l’uso del gas termoelettrico (in forte aumento a causa della drammaticamente minore disponibilità dell’idroelettrico quest’anno).

Anche CEER e ACER, due organizzazioni partecipate dalle Autorità dell’energia degli stati membri dell’UE, in un recente rapporto sul mercato all’ingrosso del gas (link sotto) notano come sia errato non tener conto, nelle politiche nazionali di gestione dell’emergenza – in particolare, aggiungo io, in quelle infrastrutturali - che una parte dell’import di gas russo non necessita di essere sostituita, semplicemente perché ai nuovi prezzi non verrebbe (verrà) comunque consumata.

Occhio quindi a gioire per rigassificatori pagati a qualunque prezzo con tasse o tariffe.


Puntata 535 (in onda il 5/7/22)

Mi perdoneranno i lettori, spero, se mi autocito riportando stralci di un articolo di Lorenzo Vallecchi su QualeEnergia che ospita tra le altre cose una mia intervista. Ne metto il link sotto così come di un altro articolo di Michele Polo su Lavoce.info che anch’esso consiglio.

Entrambi parlano del tema del momento (o meglio: della fine di giugno 2022) nell’ambito del macrotema della crisi energetica: quello dell’eventuale tetto al prezzo dell’energia. Se ne parla da un po’ a livello europeo, e il G7 di Madrid lo ha discusso col risultato però solo di un impegno a una valutazione successiva.

Di come funzionino i prezzi politici ha scritto molto efficacemente Manzoni nell’episodio della guerra dei forni nei Promessi Sposi: se tu in un mercato imponi un prezzo massimo, il risultato è che la domanda e l’offerta non si incontrano più, perché al prezzo imposto la domanda è maggiore dell’offerta. Ci si ritrova quindi a dover razionare la domanda e decidere a chi ridurre (in questo caso il gas) e a chi no, cosa che invece in un mercato lasciato funzionare fanno i prezzi stessi selezionando i consumatori.

Per evitare il razionamento, si può pagare con soldi pubblici la differenza ai produttori tra il prezzo di mercato e quello imposto. In tal caso i problemi sono le distorsioni, tra cui quella degli scambi tra dentro e fuori l’area dove si applica il cap. Lo vediamo in Spagna, Paese che ha messo un tetto al prezzo del gas per cui l’energia elettrica (il cui prezzo di mercato è influenzato da quello del gas) lì costa meno che in Francia, con la conseguenza che la Francia sta importando più energia elettrica della Spagna di quanto farebbe normalmente e quindi le tasse degli spagnoli stanno sussidiando una riduzione dei prezzi anche in Francia.

In generale, se si finanzia con le tasse un prezzo politico di cui tutti possono beneficiare, si avvantaggiano anche soggetti che non ne avrebbero bisogno. Meglio aiutare selettivamente le categorie di clienti più in difficoltà, però non fissando un prezzo massimo bensì dando loro soldi per mitigare gli effetti negativi degli alti prezzi dell’energia senza alterare il segnale di prezzo. Così funziona tra l’altro il bonus energia in Italia per gli utenti domestici in povertà energetica. Questo lascia intatto il loro interesse a ridurre i consumi.

In modo diverso da un tetto ai prezzi di mercato pagato con le tasse, si potrebbe decidere unilateralmente una riduzione del prezzo pagato per l’import di gas russo. Visto il ruolo della Russia nel determinare il prezzo europeo dell’energia, vista la dipendenza dell’economia russa da queste esportazioni e visto che la Russia ha ormai rotto il tabù del rispetto dei contratti, avrebbe senso un cap selettivo rispetto agli acquisti europei da Gazprom, eventualmente attraverso l’imposizione di un dazio ad hoc come teorizzato da Ricardo Hausman dell’Università di Harvard.

È evidente che questo potrebbe portare a ritorsioni, ma è anche da notare che fino a oggi le scelte di export di gas della Russia sembrano aver mirato alla conservazione del fatturato – con riduzioni parziali a sostegno del prezzo – e mai alla rinuncia al business. Se questo continuasse a valere, i flussi di gas dalla Russia in caso di autoriduzione del prezzo potrebbero addirittura aumentare. Del resto anche i teorici del tetto al prezzo dell’intero mercato europeo si aspettano lo stesso: che Mosca continui a fornire ma con meno margini economici unitari.


Puntata 533 (in onda il 21/6/22)

Inevitabile tornare a parlare qui a Derrick di approvvigionamenti energetici. Dopo una fase in cui le azioni di massimizzazione europee e inglesi del gas importato via nave avevano iniziato a dare risultati, con un prezzo europeo del gas che nel contratto future di agosto 2022 si era riportato sotto i 90 €/MWh contro i picchi di oltre 200 di contratti di simile durata nel periodo di inizio dell’invasione dell’Ucraina, ora c’è un fatto nuovo.

Dopo che i principali importatori d’Europa come Germania e Italia non solo non hanno spinto per sanzioni contro il gas russo ma anzi hanno accettato il ricatto del pagamento in rubli, è proprio la Russia che per la prima volta, nel corso della terza settimana di giugno 2022 ha ridotto le vendite a Germania e Italia, non rispettando le “nomination”, cioè le richieste di volume giornaliero dei clienti nell’ambito dei contratti in vigore, come per la prima volta Eni ha comunicato.

Se quindi le riduzioni di maggio 2022 del gas russo in Italia erano dovute a concorrenza di altre fonti, stavolta sembra che Mosca sia passata a un nuovo livello di esercizio di potere di mercato, che ha subito funzionato impennando di nuovo i prezzi del gas fin sopra i 120 €/MWh con conseguenze notevoli anche per quelli elettrici in Italia, che sono tornati a punte sopra 300 €/MWh.

Questa clamorosa novità coincide con alcuni preoccupanti blackout elettrici a Milano, che se da un lato non c’entrano nulla col gas e dipendono dal caldo eccezionale e da un uso di condizionatori che la rete locale evidentemente non riesce a gestire, dall’altro danno un’idea di cosa possano essere i razionamenti incontrollati d’energia.

Il rischio di blackout per carenza di gas in realtà non c’è ora e non ci sarà nemmeno il prossimo inverno (che sarà il più critico dall’inizio della crisi), e questo vale anche se non potremo più contare sul gas russo da oggi, purché il Governo passi da un atteggiamento in cui considera tabù la sola idea di intervenire almeno con campagne informative di sensibilizzazione a uno in cui si assume la responsabilità di gestire la scarsità, meglio se con meccanismi di razionalità economica e assecondando le disponibilità dei clienti.

Seppure con una modalità solo dirigistica, sembra finalmente che qualcosa stia per succedere in questo senso. Il presidente dell’Enea Gilberto Dialuce, già direttore dell’area gas del Ministero dello Sviluppo Economico (dove il suo nome dalla porta dell’ufficio non è mai stato tolto, come Derrick è in grado di testimoniare) ha anticipato a organi di stampa la predisposizione di un piano di risparmio che limiterebbe tempi e intensità di uso del gas per riscaldamento il prossimo inverno.

Comprenderete che Derrick non può che rinverdire ora una sua opinione vecchia di mesi: con questi prezzi non ha senso sussidiare l’energia a chi non ne ha davvero bisogno. Ci stiamo svenando senz’alcuna lungimiranza (basta guardare l’esperienza sulla benzina, di cui sono stati socializzati 20 centesimi ma che è tornata a costare quasi come prima).

Se ci chiedessero 50 euro per una pizza (cioè 5 volte il normale) continueremmo a mangiare pizze come prima? Io credo di no. Con l’energia, faremmo bene a ragionare nello stesso modo.

Io dico che se mettiamo un maglione in più a casa il prossimo inverno sopravviviamo meglio rispetto a fare debito e investimenti folli in infrastrutture e sussidi pur di non modificare i consumi. Se è giusto tassare i cosiddetti extraprofitti delle aziende energetiche (fossili in primis), è folle usarne i proventi per nascondere il vero prezzo dell’energia alle categorie di clienti che da un lato non ne hanno bisogno, dall’altro è meglio che prendano atto interamente del segnale economico che questa crisi delle energie fossili ci sta dando.


Batteria nei pressi di Playa Divisidero
Una batteria nel bosco
nei pressi di Chacala
(Stato di Nayarit - Messico)
(Foto Derrick, 2021)

Puntata 513 (online il 29/1/22, in onda il 1/2/22)

La novità di questi giorni sul caro-energia è una certa stabilizzazione dei prezzi dei contratti a termine del gas nella piattaforma europea di riferimento. Prezzi oggi circa la metà rispetto al picco prenatalizio, ma con la tendenza alla discesa per la prossima primavera ora quasi annullata, forse a significare che da un lato i timori che gli stoccaggi di gas non bastino per l’inverno si stanno affievolendo (non si sta rivelando un inverno particolarmente rigido), dall’altro che altre incertezze non vedono prospettive di miglioramento (la minaccia russa all’Ucraina).

Osservatori internazionali si sono esercitati a calcolare cosa succederebbe se all’attacco all’Ucraina conseguisse uno stop ai flussi del gas russo: la capacità di ricezione di navi metaniere in Europa potrebbe sopperire per una buona parte dell’ammanco, ma razionamenti sarebbero necessari. È chiaro, comunque, che una volta passato l’inverno il problema sarà rimandato di un anno. Ma non risolto se le voci di chi ritiene che per liberarci dalla dipendenza dal gas occorra aumentarla avranno la meglio in termini di politiche dell’energia.

A proposito di politici: ovunque temono enormemente le conseguenze di prezzi alti dell’energia sulla loro popolarità, ed è da poco legge (e lo sarà almeno per due mesi) un nuovo decreto che da un lato prolunga e ridefinisce misure di fiscalizzazione dei costi delle bollette soprattutto per aziende energivore (pagate coi proventi della carbon tax europea che in realtà dovrebbe scoraggiare consumi di energie fossili), dall’altro si occupa di dove trovare il resto delle risorse necessarie.

Vediamo quest’ultimo punto. Il governo introduce l’obbligo di molti produttori di elettricità da fonti rinnovabili, anche quelli che non godono di alcun sussidio, di girare all’agenzia che fa i conguagli delle bollette, fino a fine 2022, la quota di ricavo unitario sull’elettricità prodotta che supera la media precedente alla crisi. Simmetricamente, la norma prevede che se i prezzi scendessero sotto questa media sarebbe la cassa conguaglio a rifondere la differenza, ma che ciò si verifichi nel 2022 è estremamente improbabile.

Si tratta di un intervento a dir poco invasivo, perché si applica a ricavi e non a utili, e lo fa anche su impianti fatti a proprio rischio e senza sussidi. E un intervento di dubbia equità perché tocca solo le fonti rinnovabili e non altre che stanno comunque guadagnando di più grazie ai prezzi alti. Per esempio le centrali termoelettriche, come mostra un accurato articolo di Stefano Clò apparso su Staffetta Quotidiana il 21 gennaio [2022], o la filiera di fornitura del gas. Gli investimenti in rinnovabili, poi, l’abbiamo visto varie volte, sono proprio quelli che servono a emanciparci dai picchi di prezzo delle fonti fossili come il gas.

Prendere di mira ora le fonti rinnovabili per certi versi è come se in California per pagare i costi degli incendi si mettesse una tassa aggiuntiva sui pompieri perché fanno gli straordinari.

Ci sono precedenti di imposte tipo “Robin Hood tax” come questa? Sì. Uno si applicò qualche anno fa all’imposta sui redditi di aziende di alcuni settori considerati ricchi, tra cui se ricordo bene energia e finanza. Una soluzione però meno eversiva di quella attuale in termini di economia di mercato, perché almeno si applicava agli utili e non ai ricavi. Fu comunque cassata dalla corte Costituzionale nel giro di qualche anno, ma con una sentenza non retroattiva che quindi non previde alcuna restituzione.

Probabilmente il Governo da un lato sa benissimo che la trovata di oggi è giuridicamente irricevibile, dall’altro forse conta, a ragione, sul fatto che quando sarà stata smontata dalle Corti l’emergenza potrebbe essere già finita.

Non finiranno però i danni in termini di incertezza degli investimenti e di contraddizione alle politiche di decarbonizzazione.


Puntata 506 (in onda il 7/12/2021)

Mentre preparo questa puntata il 4 dicembre 2021, i prezzi europei del gas naturale sono ancora elevati (anche se il contratto a termine di gennaio 2022 sulla piazza olandese, il riferimento principale in Europa, non ha più raggiunto i picchi di inizio ottobre 2021).

Si è perfino parlato di rischio blackout da parte del ministro Giorgetti, rischio però smentito dall’associazione dei gestori europei delle reti elettriche, che vede invece la situazione migliore rispetto a un anno fa. Alcuni Governi europei tra cui quello italiano hanno già adottato misure di riduzione delle bollette a spese del fisco e si preparano a farlo nuovamente. In un consiglio energia i principali paesi UE si sono spaccati tra chi (tra cui l’Italia) ritiene necessarie modifiche alle regole dei mercati energia e chi (tra cui Germania) ritiene invece utile proseguire la transizione energetica senza cambiare il mercato. Mercato che, del resto, ha portato prezzi a lungo bassi nel passato recente, verosimilmente più bassi di quanto sarebbero stati in un perdurante regime di monopolio pubblico. Oggi qui ci chiediamo: è giusto aiutare in caso di prezzi eccezionalmente alti oltre ai clienti domestici anche le imprese, in particolare quelle energivore?

Iniziamo chiedendoci quale effetto hanno i prezzi dell’energia sul conto economico di un’azienda manifatturiera energivora.

Anzitutto un aumento del costo operativo della produzione. E in termini di prezzo e quindi valore del prodotto finale? Se ipotizziamo che la tecnologia produttiva usata dalla nostra azienda sia simile in tutto il suo mercato di riferimento e che il prezzo dell’energia sia aumentato anche per i concorrenti, i maggiori costi tenderanno a rispecchiarsi nel valore della produzione. Il che implica che la riduzione dei margini in realtà dipende da quanto i clienti possano o meno sostituire il prodotto della nostra azienda con un altro o farne semplicemente a meno. Se questa sostituzione o rinuncia non è possibile, sarà il consumatore a pagare di fatto i maggiori costi di produzione dovuti all’energia, non l’azienda manifatturiera.

Se poi l’azienda in questione è più efficiente nell’uso dell’energia rispetto ad almeno uno dei suoi concorrenti attivi, un aumento dei prezzi dell’energia conduce tendenzialmente a un aumento dei margini e delle quote di mercato, con un effetto di cosiddetto windfall profit, lo stesso meccanismo per cui le aziende di produzione elettrica che non usano le fossili guadagnano di più grazie agli alti prezzi delle fossili e dei permessi a emettere CO2.

A livello europeo, e in buona parte anche eurasiatico, l’aumento dei prezzi energetici non ha colpito solo l’Italia, che anzi ha visto di recente un miglioramento relativo rispetto alla Francia con un prezzo italiano dell’elettricità in media più basso di quello transalpino, quindi si può (in termini grossolani) escludere che un’azienda manifatturiera italiana il cui mercato di riferimento sia l’Europa rischi di perdere competitività rispetto ai concorrenti a parità di politiche italiane e degli altri stati europei.

Ma nel breve periodo anche per un’azienda energicamente efficiente un aumento violento dei prezzi energetici può causare problemi finanziari, per esempio se l’azienda non è in grado di aggiornare i prezzi di una commessa ancora da produrre ma già negoziata prima degli aumenti. In questo caso il problema è serio, ed è dovuto a una mancata copertura del rischio di fluttuazione dei prezzi energetici.

In conclusione: in teoria è sbagliato almeno nel medio periodo socializzare il caro energia per le aziende energivore il cui mercato di riferimento sia esposto agli stessi prezzi. Peccato che, con politiche energetiche diverse tra i vari paesi europei, è sufficiente che uno introduca aiuti per rendere inevitabile la loro generalizzazione. Perché in presenza di aiuti locali in un paese, per le imprese di altri paesi ci sarebbe un effetto di perdita di competitività a meno che anche quegli altri paesi adottino misure simili.

La conseguenza, mi sembra, è che probabilmente una politica europea sensata per il caro-energia sarebbe anzitutto la creazione di un ministero europeo dell’energia, che omogeneizzi queste politiche.


Puntata 500 (in onda il 17/10/21)

Siamo arrivati, stento io stesso a crederci, alla puntata 500. Che purtroppo non posso dedicare ad alcun tema speciale, visto che l’attualità mi costringe a tornare sulla questione del caro-energia, se non altro per un compendio delle riflessioni uscite sugli organi di informazione nell’ultima decina di giorni, per esempio l’articolo su lavoce.info a firma di Polo, Pontoni e Sileo, quest’ultimo una vecchia conoscenza e spesso collaboratore di questo blog.

I politici sembrano molto in ansia, e alcuni Governi europei, tra cui quello spagnolo italiano e greco, hanno sollecitato la Commissione UE a misure di contrasto al caro-gas. Un recente documento UE risponde con moderata freddezza, dopo che il vicepresidente Timmermans e la capa dell’energia Simson avevano già difeso l’impianto dell’organizzazione europea dei mercati energia e di quello che dà un prezzo alle emissioni di CO2 (che peraltro ha contribuito come sappiamo molto limitatamente al recente aumento delle bollette). I Governi possono usare la leva fiscale per calmierare temporaneamente i prezzi, dice l’UE, purché lo facciano con chi ne ha effettivamente bisogno e senza alterare la concorrenza nell’energia.

Trovo anch’io che sarebbe un controsenso soffocare il segnale di prezzo e impedire che esso faccia scattare sane reazioni dei consumatori. Infatti questo caro-energia ci ricorda che le fonti fossili hanno un prezzo volatile, e probabilmente lo avranno anche di più nella loro fase di ridimensionamento e infine pensionamento, perché la capacità produttiva potrebbe ridursi in anticipo rispetto alla domanda. Un segnale di scarsità è sicuramente coerente col fatto che dobbiamo affrancarci in fretta da petrolio e gas. Non a caso è stato proprio il ministro dell’energia del Qatar – uno dei principali esportatori di gas via nave – a dirsi scontento dei prezzi troppo alti, consapevole che essi portano i clienti e ridurre la propria dipendenza non appena possibile.

Infatti i consumatori, domestici e industriali che siano, si attrezzano rispetto ai rischi di scarsità, investendo per esempio in efficienza energetica e uso di fonti alternative. Una volta che le famiglie in difficoltà siano messe al sicuro, come la stessa UE chiede, non si capisce perché gli altri soggetti non dovrebbero prendersi la responsabilità delle proprie scelte di approvvigionamento energetico.

Del resto, chi ha energia comprata a prezzo fisso non vedrà l’incremento se non al rinnovo del contratto – sempre che i prezzi a termine saranno allora ancora alti – e chi si è dotato direttamente o contrattualmente di propria capacità di generazione da fonte rinnovabile è già meno soggetto alle fluttuazioni del gas.

La situazione di scarsità del gas stoccato in Europa, che preoccupa in vista di un eventuale inverno rigido, non è però la stessa in tutti i paesi. Quelli che oltre a essere dotati di capacità di stoccaggio adeguata l’hanno anche riempita di più nella scorsa primavera-estate avranno ora la giusta remunerazione grazie alla possibilità di esportare gas a buon prezzo. Cosa che dall’Italia sta già avvenendo con una certa frequenza attraverso entrambi i metanodotti transalpini. Una situazione che ci vede ormai esordire nel ruolo di paese di passaggio – e non solo di arrivo - del gas, viste le ben tre interconnessioni extraeuropee a sud, e ora anche potenzialmente nel ruolo di polmone rispetto ai picchi di domanda europea.


Puntata 498 (in onda il 28/9/21)

Nella puntata 497 abbiamo cercato di fare chiarezza sulla causa degli aumenti recenti dell’elettricità, dovuti in gran parte a una carenza momentanea di gas a livello mondiale non dissimile da altri settori che coinvolgono per esempio materie prime alimentari, della manifattura pesante, dell’elettronica.

Scorte ridotte e investimenti rimandati in molti settori durante il Covid per limitare il capitale immobilizzato dalle aziende in difficoltà, uniti alla ripartenza dei consumi, stanno causando un’insufficienza temporanea di capacità produttive che era stata ampiamente anticipata da osservatori come l’Economist. Conseguenza di questo è l’inflazione, che infatti si sta risvegliando rapidamente e di cui, certo, l’energia è una componente importante. (Solo io sto notando che da noi un primo piatto in trattoria ora non costa meno di 12 euro mentre la norma fino a poco fa era 10 o meno?).

Il Governo sta predisponendo mentre scrivo questa trasmissione un decreto per contenere gli aumenti del prezzo dell’energia con l’utilizzo di risorse fiscali per alcuni miliardi nell’ultimo trimestre del 2021. Con tutele più forti per i clienti a basso reddito, ma con effetti su tutti, anche su chi ha un contratto a prezzo fisso e non sta subendo alcun aumento di bolletta. Ha scritto sul tema Carlo Cottarelli su Repubblica il 24 settembre [2021]:

Per anni le istituzioni internazionali e tutti coloro che hanno a cuore il futuro del pianeta hanno sottolineato le conseguenze negative di sussidi generalizzati (all’energia e non). Qui, per giunta, si sussidia l’energia “sporca”. L’incoerenza con le politiche di transizione ecologica è evidente. Questo vale soprattutto per la parte dell’aumento dovuta al maggiore costo dei permessi di emissione, il cui scopo è quello di scoraggiare i consumi. Ma l’incoerenza è presente qualunque sia la causa dell’aumento dei prezzi.

Aggiungerei che fenomeni simili, come accennavo, li stiamo vedendo in altre materie prime. Fiscalizzeremo l’aumento delle farine, dei minerali ferrosi e no, dei chip, magari riducendone l’IVA?

Per un paese con livelli di spesa fiscale e di imposte sui redditi molto alti, aumentare ancora la spesa fiscale e quindi le future nuove imposte a me sembra folle. Nel caso dell’energia, poi, la capacità dei consumatori di reagire a segnali di prezzo è fondamentale perché le politiche ecologiche del “chi inquina paga” siano efficaci. Se gli aumenti di prezzo vengono contrastati con le tasse anche a spese di chi non consuma, e indipendentemente dal mix di fonti energetiche scelte da un cliente, buona parte delle politiche di responsabilizzazione dei consumatori va a ramengo.


Puntata 497 (in onda il 21/9/21)

Il prezzo dell’elettricità, i lettori di Derrick lo sanno ma temo siano tra i pochi vista la qualità del dibattito in corso, è determinato da fattori sia regolati sia di mercato. I primi sono un insieme di oneri che coprono soprattutto i costi delle politiche ambientali – in particolare i sussidi alle fonti rinnovabili - e i costi delle reti, i secondi sono soprattutto i costi di combustibile della produzione termoelettrica che determinano, quando le centrali termoelettriche sono necessarie a soddisfare la domanda, il prezzo all’ingrosso momentaneo dell’energia.

Anche se ormai la maggior parte dell’energia al dettaglio è venduta a condizioni liberamente proposte (e scelte) sul mercato, ha ancora molto seguito mediatico l’aggiornamento periodico che l’Autorità dell’energia fa delle tariffe regolate dedicate ai clienti soprattutto domestici che non hanno mai scelto un fornitore sul mercato.

L’imminente aggiornamento molto al rialzo di questa tariffa ha scatenato un dibattito pubblico in cui, come spesso capita, alcune delle posizioni che hanno fatto più rumore sono quelle più infondate.

Sperando di contribuire in modo utile, ecco qui alcune affermazioni facili da verificare:

  • L’aumento repentino del prezzo all’ingrosso dell’elettricità (che a settembre [2021] si è mosso ampiamente oltre i 100 €/MWh e negli ultimi giorni attorno ai 150 € - mentre un anno fa nello stesso periodo era sui 50) è determinato perlopiù da un aumento violento del prezzo del gas che nel nostro paese è ancora determinante per coprire la punta di domanda elettrica. Infatti, le centrali a gas offrono energia nella borsa elettrica a un prezzo non inferiore a quello necessario a coprire i costi di combustibile (e i permessi a emettere CO2, si veda poco sotto), e non potrebbero fare altrimenti. L’aumento del prezzo del gas a sua volta è causato dalla ripresa globale dei consumi che ha colto gli stoccaggi meno pieni di quanto normalmente siano in questa stagione, anche a causa della scorsa primavera più rigida del previsto.
    Il prezzo all'ingrosso dell'elettricità dipende però non solo dal gas, ma anche dai permessi a emettere CO2 che le centrali termoelettriche devono acquistare. Il prezzo di questi permessi è aumentato a inizio settembre [2021] rispetto a metà agosto di una decina di €/t (con un impatto sui costi di un Megawattora a gas di meno della metà), ma è comunque rimasto in un'area tra 50 e poco più di 60 €/t da maggio [2021] alla data di questo post (link sotto), e quindi ha un impatto minimo rispetto agli aumenti recenti del prezzo all'ingrosso dell'elettricità.

  • Anche le politiche ambientali costano, certo, al momento una decina di miliardi all’anno nelle bollette, cioè una trentina di € per ogni MWh che consumiamo, ma questo conto non solo non si muove in modo repentino, ma è in fase di calo strutturale da anni, perché da anni le convenzioni inizialmente troppo generose per sostenere gli impianti rinnovabili sono state sostituite da altre che lo sono molto meno (tanto che gli obiettivi di nuova capacità rinnovabile che il Governo si propone non vengono al momento raggiunti).

  • Più rinnovabili non programmabili comportano anche più costi di bilanciamento della rete, ma si tratta di una voce per ora relativamente modesta rispetto al prezzo complessivo (una decina di € a MWh) e le cui fluttuazioni quindi non hanno al momento un effetto paragonabile a quelle determinate dalla volatilità dei prezzi dei combustibili fossili.

Conclusione: l’impennata di prezzo elettrico di questo periodo non c’entra quasi per nulla con le politiche ambientali.

Nello stesso tempo, politiche incoerenti con la decarbonizzazione (per esempio nuovi investimenti sulle stesse fossili che dovranno essere abbandonate, si pensi alla metanizzazione della Sardegna) molto verosimilmente aumenteranno il costo della decarbonizzazione stessa, perché dovranno essere ripagate anche se si riveleranno presto – o addirittura subito – inutili.


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