martedì 11 marzo 2014

Prezzi elettrici sempre più giù - D195

I prezzi all’ingrosso dell’elettricità italiana in termini reali non sono mai stati così bassi come la scorsa settimana, se non per un breve periodo nel 2005, scrive Energy Advisors.

E nella stessa settimana i prezzi francese e tedesco sono saliti portandosi vicini a quello italiano. Ma pur sempre più bassi di un 10 euro/MWh, che vale grosso modo un quarto del prezzo italiano e che quindi impedisce, se non in casi brevi ed eccezionali, ai produttori italiani di esportare a nord.

Il risultato è il sempre più profondo rosso delle centrali italiane a gas, che sono ormai lontanissime dalla remunerazione dei costi fissi, e per la maggior parte delle ore anche di quelli operativi, e infatti restano perlopiù spente.
La vittima più celebre è Sorgenia, del gruppo CIR, riguardo alla quale i giornali da un po’ riportano di un negoziato per la ristrutturazione del capitale che, se passerà, vedrà le banche ancora più esposte (oggi lo è soprattutto Montepaschi) e con la prospettiva di veder convertito il capitale in azioni, mentre la famiglia De Benedetti sembra disposta a contribuire solo con un aumento di 100 milioni.

Cosa succederà quando gli operatori non potranno più sostenere le perdite sulle centrali a gas? Assodato che una centrale termoelettrica di questo tipo non è convertibile ad altre attività, la chiusura non risolve se non in piccola parte il problema delle perdite, visto che il costo più grosso è quello del capitale da restituire e remunerare. Chiudendo, una centrale risparmia il costo del personale e della manutenzione, che non sono decisivi. Un’alternativa suggestiva ma non certo facile né economica è lo smontaggio dell’impianto e rimontaggio in mercati dove serve. Un’altra prospettiva, forse più probabile, è una riconcentrazione del mercato. Cioè l’acquisto degli impianti delle aziende in difficoltà da parte di aziende di generazione elettrica più solide, le quali possano ricostruire così posizioni di dominanza di mercato tali da riportare i prezzi a livelli remunerativi.

Un esito non molto desiderabile dai consumatori, e verosimilmente non dall’autorità Antitrust. Staremo a vedere.

martedì 4 marzo 2014

Sbanchiamoli - D194

Dico se avete tubi di piombo e pentole di rame anche tubi di rame e pentole di piombo, se avete dei chili di ottone vi do trecento lire al chilo, compro rubinetti di ottone e filo di rame anche rubinetti di rame e filo di ottone, il rame ve lo pago quattrocentocinquanta. Compro anche carta straccia bottiglie usate pelli di coniglio stracci di lana e altri stracci, compro gomma bachelite specchi rotti e sani lampadine fulminate, insomma
COMPRO TUTTO.

Avrete capito che oggi a Derrick si parla di economia.

Radicali Italiani con il tesoriere Valerio Federico ha appena lanciato la campagna “#Sbanchiamoli!”, con una proposta di legge che prevede che le fondazioni bancarie cedano sul mercato tutte le loro partecipazioni nelle banche italiane.

Facciamo un passo indietro. Le banche per la maggior parte prima del 1990 in Italia erano pubbliche e di diritto pubblico. Ma la legge Amato su spinta della normativa europea ha previsto che diventassero società per azioni, il cui capitale non poteva più essere dello Stato, ed è stato quindi conferito a un nuovo soggetto: le Fondazioni Bancarie, la cui natura giuridica si è successivamente evoluta ma che sono sempre rimaste senza scopo di lucro e controllate da enti locali e da altre espressioni pubbliche e private di interessi locali.

Le Fondazioni devono per legge perseguire fini sociali di natura pubblicistica e dal ’99 è stabilito che escano progressivamente dal capitale delle banche, fino alla Finanziaria del 2002 che impone la cessione delle loro partecipazioni che anche solo aggregate esercitino il controllo degli istituti di credito.

Ancora oggi molte banche importanti vedono però quote rilevanti di azioni in mano a gruppi di Fondazioni bancarie. Qui a Derrick abbiamo parlato del caso della Compagnia di San Paolo che ha circa il 10% di Banca Intesa, mentre Fondazione Cariplo ne ha un altro 5%.

Perché questa struttura è un problema e ha senso correggerla?

Perché il credito conviene che vada ai soggetti con gli impieghi economicamente più promettenti. Perché lo Stato dovrebbe perseguire le finalità pubblicistiche attraverso le sue prerogative istituzionali, in primis la redistribuzione economica diretta con il sistema fiscale, e non intervenendo nelle decisioni di società di natura privatistica come le banche, e per di più attraverso l’espressione di interessi locali come con le Fondazioni.

Ma se una S.p.A. (o una banca) persegue finalità diverse dal profitto perché qualche suo grosso azionista ne ha specifico interesse, gli azionisti di minoranza, che insieme sono la maggior quota e invece aspirano ai dividendi della loro partecipazione, ne patiscono, come ha notato Luigi Zingales. Ma soprattutto ne patisce il sistema economico che vede il credito pilotato da motivazioni diverse dalle aspettative di rendimento e sicurezza del capitale prestato.

Che le Fondazioni, con fini filantropici – qualunque cosa voglia dire – e che in pratica sono gli interessi della politica locale, abbiano le mani sul credito italiano è un esempio emblematico di capitalismo inquinato. Di uno Stato che invece di fare lo Stato mette le mani nell’economia privata, e in un modo che difficilmente potrebbe essere più opaco.

Il brano iniziale era da Salto Mortale, romanzo di Luigi Malerba, a cui è dedicato un appuntamento a Roma questo giovedì 6 marzo alle 19.15 alla libreria Altroquando, animato dal gruppo “I libri in testa” che comprende il sottoscritto.

martedì 25 febbraio 2014

PIL su, energia giù - D193

La settimana scorsa i consumi di elettricità in Italia sono stati il 5% più bassi che nella stessa settimana del 2013, scrive Energy Advisor.

E aggiunge che ci sono motivi contingenti, come il clima eccezionalmente caldo, che non bastano però a spiegare un calo così forte. Antonio Sileo su Agi Energia riporta dati del CNR secondo cui la temperatura dello scorso gennaio è stata di 2,1 gradi più alta della media del periodo dal 1971 al 2000, terzo in classifica tra i gennaio più caldi dal 1800 ad oggi.
Il che ha di certo un ruolo nel motivare il -11% dei consumi di gas naturale del gennaio 2014 rispetto al gennaio 2013, che già aveva segnato un calo notevole rispetto all’anno prima. Nel 2013, complessivamente, i consumi di gas sono scesi sotto i 70 miliardi di metri cubi, un livello inferiore al 2002, scrive sempre Sileo.

Luigi De Francisci di Terna, ancora su AgiEnergia, commenta i dati 2013 dei consumi elettrici: 3,4% sotto al livello del 2012.
La relativa stabilità del rapporto tra PIL e consumi energetici, dice De Francisci, sta venendo meno. E in effetti, se guardiamo al 2013, i dati ISTAT registrano una riduzione del PIL su base annua dell’1,9%, riduzione ben inferiore a quella dei consumi elettrici, per non parlare dei consumi di gas, calati nel 2013 di ben il 6,4%.
E stiamo tralasciando i consumi di altre fonti di energia, come i combustibili per autotrazione.

Dobbiamo preoccuparci?
Sicuramente si stanno preoccupando i produttori e fornitori di energia. Ma una riduzione del rapporto tra PIL e energia usata è un risultato coerente con anni di investimenti e politiche di efficienza energetica da un lato, e con crisi  e delocalizzazioni industriali nei settori tradizionali dall’altro.

Potrebbe essere un cambiamento strutturale.