domenica 11 dicembre 2016

Welfare universale? - D296

Il nostro welfare costa come altri ma è meno universale

Il welfare italiano è allineato in termini di spesa alla media UE, ma è sbilanciato su pensioni e sanità. 

La nostra spesa per malattia l’invalidità e pensioni è nel periodo 2000- 2013 tra le più elevate insieme a quella della Francia, e aumenta di quasi tre punti percentuali durante il periodo di crisi (dal 2008 al 2013), mentre la spesa per la famiglia, i figli, la disoccupazione, l’abitazione e l’inclusione sociale è sempre più bassa nel confronto con gli altri grandi paesi europei e durante la crisi è aumentata solo di meno di un punto percentuale.
Anche la povertà in Italia è elevata, aumentata recentemente più che nel resto dell’UE e alta in particolare anche a valle dei trasferimenti sociali, che quindi si mostrano scarsamente efficaci contro la povertà.
Un limite del nostro welfare, in particolare rispetto alla disoccupazione, è la sua scarsa universalità (anche se in via di miglioramento con una legge [A.C. 3594] che ha delegato il Governo in tema di norme relative al contrasto alla povertà, al riordino della materia.
Se ne è parlato al congresso di Radicali Italiani di fine ottobre [2016] con studi tra gli altri di Roberto Cicciomessere e Vitaliana Curigliano, e interventi tra gli altri di Laura Rossi assessore alle politiche sociali a Parma.


La proposta IRS 

Una proposta di riorganizzazione della spesa sociale è stata sviluppata dall’Istituto di Ricerca Sociale e presentata nel numero 2/2016 della rivista Prospettive Sociali e Sanitarie. Tra le altre cose, la proposta include un reddito minimo d’inserimento in forma di integrazione al reddito delle famiglie che oggi sono sotto al livello di povertà assoluta, e una “dote di cura” per la non autosufficienza.

La riforma costerebbe un totale di 80 mld, di cui 15 per il reddito minimo, a fronte di una spesa sociale di 72 miliardi nel 2014, e si tratterebbe di solo il 6% in più della spesa già impegnata in materia per il 2017 nell’ambito delle riforme già in corso.

(Piccolo inciso: cos’è la povertà assoluta per l’ISTAT? Per una famiglia urbana di quattro persone con due minori è l’incapacità di spendere, a indici 2015, 2100 euro al mese in consumi complessivi, incapacità che riguarda oggi più del 7% delle famiglie in generale).

Distribuzione del reddito (indice ISEE) delle famiglie italiane. Dallo studio IRS
La proposta IRS, tra le altre cose, prevede di concentrare i trasferimenti sulle famiglie con l’indice reddituale-patrimoniale ISEE più basso, mentre oggi i trasferimenti a nuclei non altrettanto o per nulla in difficoltà sono significativi (il 25% dei trasferimenti monetari oggi va alle famiglie con reddito più elevato, mentre il 44% delle famiglie sotto la soglia di povertà non riceve alcun trasferimento). Coerentemente, la proposta IRS escluderebbe l’accesso all’integrazione al reddito ai nuclei con ISEE superiore a 12000 euro annui.


Redistribuzione avversa in voci di spesa pubblica non esplicitamente assistenziali

In termini di pensioni, rilevo invece io dai dati INPS che circa il 5,5% della spesa italiana in pensioni, che valeva nel 2014 poco più del 17% del PIL, va in assegni superiori ai 5000 euro mensili, meno dell’1% in numero. Quindi una cifra pari a quasi l’1% del PIL serve a pagare queste super pensioni, non poco. Non stiamo parlando di pensioni assistenziali, ma almeno per la loro quota maturata con metodo retributivo si tratta anche di una questione sociale.

Non compongono la spesa sociale, ma in realtà hanno interazioni rilevanti in materia, anche forme di redistribuzione come quelle di detrazione fiscale della spesa per ristrutturazioni edilizie, in particolare con finalità antisismiche. Abbiamo visto qui a Derrick come la legge di bilancio 2017 da un lato aumenta queste detrazioni, che potrebbero anche essere un volano di viluppo di aree disagiate, dall’altro incredibilmente ed espressamente vieta la possibilità di cederne i crediti fiscali a intermediari finanziari, lasciando di fatto la fruibilità delle misure in capo a chi ha i soldi per anticipare di tasca propria gli interventi.


In conclusione di questa parzialissima rassegna, credo che la retorica su come un welfare universale e un reddito minimo siano una chimera sia sbagliata e da superare. Un welfare universale non solo è un investimento non molto più alto di quanto già spendiamo, ma è probabilmente indispensabile a una ripresa dell’economia, oltre che alla sicurezza sociale e all’equità.


Link esterni di approfondimento:
Povertà e welfare in Europa, di Roberto Cicciomessere e Vitaliana Curigliano
Costruiamo il welfare dei diritti, n. 2/16 di Prospettive Sociali e Sanitarie, rivista dell’IRS

Come si calcola il livello di spesa di povertà assoluta (ISTAT)

lunedì 5 dicembre 2016

Vertenza Alcoa - Aggiornamento - D295

Con Elisa Borghese

Abbiamo seguito qui a Derrick, prima con Stefano Mottarelli e poi con Elisa Borghese, la crisi dell’Alcoa di Portovesme, in Sardegna, dove si produceva alluminio in uno stabilimento che un tempo era di Stato, come molti altri siti metallurgici e siderurgici.

Lo stabilimento è fermo da un po’ ma ancora in condizioni che ne potrebbero permettere la ripartenza, se un nuovo investitore lo rilevasse e riattivasse. Cosa che sembrava fossero interessati a fare, ma non hanno fatto per ora, né l’outsider svizzera Syder Alloys, né la multinazionale Glencore che pure ha impegnato il Governo in una trattativa lunghissima.

Governo che a questo punto ha recentemente proposto ad Alcoa un accordo che eviti lo smantellamento dell’impianto per ulteriori 12 mesi da dedicarsi ancora alla ricerca di un acquirente. Accordo che stando a un comunicato di FIM-CISL del 1 dicembre [2016] è stato raggiunto con Alcoa, almeno su alcune delle sue parti. Si prospetta quindi un nuovo limbo durante il quale lo stabilimento passerebbe a INVITALIA che lo manterrebbe in condizioni di riattivabilità per al massimo un anno, durante il quale i doveri di bonifica di Alcoa – su cui peraltro non c’è accordo tra azienda e Governo - sarebbero sospesi, per tornare attivi se non si trova un acquirente, caso in cui sarebbe la stessa INVITALIA a gestire lo smantellamento con il contributo economico di Alcoa previsto per legge.
Un altro incontro tra Governo e Alcoa, leggiamo nel comunicato di FIM-CISL, era previsto per il 6 dicembre [2016], ma dopo le dimissioni annunciate da Renzi nella notte del 4 la cosa verosimilmente sfumerà.


Sussidi all'energia per fare welfare. Convengono?

La ragione per cui Derrick negli anni si è occupato così diffusamente di Alcoa sta nella questione dei costi dell’energia. Lo stabilimento ha funzionato solo fino a che a spese della comunità delle bollette l’elettricità ad Alcoa veniva venduta a un prezzo estremamente basso rispetto a quello di mercato, cosa che si è interrotta su intervento dell’UE che ha opposto l’illegittimità di questo aiuto.
Su Derrick abbiamo visto come i soldi pubblici dello sconto elettrico (circa 2 miliardi in totale nei vari anni) sarebbero stati sufficienti a pagare ben più che lo stipendio ai lavoratori dello stabilimento e dell’indotto: avrebbero potuto essere usati per un piano massiccio di investimenti pubblici sul territorio.
Gli sconti elettrici invece hanno dimostrato di non innescare investimenti in maggiore competitività dello stabilimento, visto che appena sospesi hanno portato all’interruzione della produzione, lasciando i lavoratori dell’indotto oggi tutti senza più ormai ammortizzatori attivi, che è anche la stessa sorte dei più giovani dei dipendenti diretti di Alcoa, come ci ha riferito Marco Bentivogli, segretario di FIM CISL, che ringrazio.

La Regione e il Governo stanno rispondendo con piani che prevedono formazione e riallocazione di parte dei lavoratori nel cantiere di aggiornamento delle infrastrutture portuali locali. E il piano Sulcis della Regione prevede anche di tornare a puntare su costi bassi dell’energia, da ottenersi secondo un’opzione attivando con denaro pubblico una centrale elettrica dedicata all’alimentazione degli stabilimenti metallurgici della zona. Se così sarà, per evitare le norme europee si farà peggio di prima: altri soldi pubblici per sussidiare l’energia, ma attraverso una centrale in più, quando quelle esistenti sono ampiamente sufficienti alla domanda.

Tutte le puntate di Derrick su Alcoa sono qui.


lunedì 21 novembre 2016

Le camminate (im)possibili II - Fiumicino - D293-4

Ho sempre pensato che un modo per conoscere molto della nostra società, economia, civiltà, sia muoversi a piedi, soprattutto dove non è previsto che lo si faccia. Anche nelle città più belle a me piace esplorare le strade dei retro, quelle con gl’ingressi tecnici a uffici, alberghi e ristoranti, in cui si capisce come funzionano per esempio la mobilità commerciale e la raccolta dei rifiuti.

Qualche giorno fa ho compiuto un esperimento simile a quello che già ho raccontato qui, di quando m’incaponii a raggiungere a piedi dalla più vicina stazione ferroviaria la sede della Motorizzazione civile di Roma Nord.


A piedi dall'aeroporto al centro commerciale Da Vinci

Stavolta ho provato ad allontanarmi a piedi dall’aeroporto di Fiumicino. Direzione: il vicino centro commerciale Da Vinci, alla confluenza tra le autostrade Roma-Fiumicino e Roma-Civitavecchia. Da lì, prevedevo di proseguire ancora a piedi fino alla vicinissima stazione del treno di Parco Leonardo.

Il percorso a piedi (in rosso)
dal parcheggio dell'aeroporto al centro commerciale
In realtà ho iniziato barando un po’: ho preso la navetta aeroportuale verso il parcheggio lunga sosta, che mi ha permesso di risparmiarmi il percorso interno all’area dell’aeroporto che conoscevo già bene.

Sceso dalla navetta nei pressi di quel che credo sia il cosiddetto “polmone” dei taxi (il parcheggio dove le auto pubbliche attendono di potersi mettere in fila ai terminal) le cose sono diventate subito difficili.
Incamminandomi in direzione NE verso via dei caduti dell’Aviazione Civile mi sono trovato stretto tra il guard-rail della Roma-Fiumicino e un piccolo fossato, che mi ha costretto a scavalcare il guard rail un paio di volte per progredire.
Alla fine, attraversato un raccordo con ulteriore scavalcamento e attraversata via dei caduti dell’Aviazione Civile, ho imboccato una strada di ghiaia parallela all’autostrada, che secondo Google maps si chiama già via Geminiano Montanari, come la strada un paio di chilometri più a NE dove sorge il centro commerciale, e che stando alle mappe era la via migliore. In effetti poteva essere perfetta: senz’auto, dritta e protetta rispetto all’autostrada.
Una via ciclabile ideale, non fosse per la sequenza costante di rifiuti scaricati, perlopiù rifiuti edilizi in quei sacchi trasparenti che le aziende che fanno ristrutturazioni dovrebbero poi conferire in discarica. Il senso di degrado purtroppo era opprimente. Alla mia sinistra osservavo una zona perlopiù pratosa, area credo un tempo di paludi e oggi bonificata, di impossibile accesso a causa delle recinzioni da cui si intravvedono un bacino idrico artificiale forse asservito all’aeroporto e alcuni locali tecnici.
Nella mia strada rettilinea di circa un chilometro ero solo, e malgrado ci fosse ancora la luce del giorno mi sono sentito a disagio.
Ho accelerato il passo tra commoventi residui di arredamenti anni ottanta e vecchi frigo che evidentemente qualcuno è riuscito a portare qui ma non a una certo più vicina isola ecologica, finché la strada-discarica si è riversata su via della Corona Boreale, oltre a una barriera in cemento che avrebbe dovuto impedire l’accesso ma che qualcuno è riuscito a spostare.
Ero di nuovo tra asfalto e auto, ai cui occupanti probabilmente sarò sembrato uno che ha finito la benzina.

Ed eccomi all’inizio dei parcheggi del centro Da Vinci, il villaggio commerciale ispirato ai mall americani e che raccoglie molti grandi magazzini, ristoranti e luoghi d’intrattenimento. Tutto sommato accogliente e ben realizzato.

Pensavo il peggio fosse passato, visto che da lì mancava solo raggiungere a piedi la stazione del treno di Parco Leonardo. 
Invece no.


Dal centro Da Vinci alla stazione di Parco Leonardo

Il centro commerciale sullo sfondo.
Alle mie spalle il percorso pedonale del cavalcavia che attraversa
la Roma-Fiumicino e che inizia (e finisce) nel nulla
Cerco invano un percorso pedonale segnalato, poi chiedo lumi alla cassiera di uno dei negozi.
Inizio attraversando un campo a S dei parcheggi, dove qualche altro pedone deve aver nel tempo tracciato un sentiero che porta fino all’attacco di una rampa che scavalca la Roma-Fiumicino e da cui parte anche un raccordo automobilistico che porta a una complanare.
Vedo che la rampa che sale al viadotto ha per fortuna un'area pedonale esterna protetta al lato della carreggiata. Per raggiungerla salgo una piccola scarpata fangosa dal prato. Prendo a camminare tra guard-rail e paratia esterna, ma in cima alla rampa mi trovo in un incredibile cul-de-sac: il percorso finisce sbarrato da un altro guard-rail.
L'area pedonale del cavalcavia si rivela
un cul de sac
L’unica è scavalcarlo e attraversare uno svincolo in curva per raggiungere un’altra rampa che scende finalmente nella zona della stazione e che di nuovo ha un percorso pedonale imprigionato.

Mi chiedo: la proprietà del progetto del centro commerciale, quando ha negoziato le infrastrutture di urbanizzazione del villaggio, perché non ha pensato all'accessibilità pedonale allo stesso modo in cui ha pensato agli altri servizi e alle automobili?
Oppure sono stati gli amministratori pubblici a non avere la capacità di realizzare le infrastrutture se non in modo parziale?

Ma i clienti-pedoni di un villaggio commerciale potrebbero essere destinati a crescere, come testimonia il sentiero spontaneo sul campo, e la libertà di movimento dei dipendenti a piedi fino alla stazione dovrebbe essere tenuta in conto anch’essa, no?