domenica 18 ottobre 2020

Fine dell'era del gas? (Puntata 457 in onda il 20/10/20)

Vetta del monte Catria (foto Derrick)

È uscita la nuova edizione del World Energy Outlook dell’agenzia internazionale per l’energia, la IEA di Parigi, e c’è una novità significativa: la rivalutazione al ribasso del ruolo del gas naturale nei prossimi decenni. Alla svolta ha contribuito il Covid, che unito agli scenari di completa decarbonizzazione ha fatto riconsiderare alla IEA i fabbisogni futuri di energie fossili, gas incluso.

Sembra un po’ intempestivo quindi che in Europa all’insegna della diversificazione strategica delle importazioni stia arrivando a maturazione una stagione intensissima di investimenti in nuove infrastrutture di importazione di gas, tra cui il TAP che porterà dalla Turchia alla Puglia il gas Azero e che è costato alla cordata di finanziatori circa 4 miliardi e mezzo di Euro. Finanziatori privati e che quindi hanno rischiato i soldi loro, ma a cui si è aggiunto ormai da tempo anche Snam, il gestore della rete italiana del gas ad alta pressione, che non solo è partecipato per circa il 30% da Cassa Depositi e Prestiti, ma opera in regime monopolistico e regolato, regime che in teoria non dovrebbe aver alcuna interazione con investimenti di rischio, anche se per il regolatore non è banale impedire sussidi incrociati tra le tariffe pagate in bolletta da tutti i clienti del gas e attività al di fuori dell’area regolata.

Nel frattempo, quasi in anticipazione di quelli che potrebbero essere gli effetti di quando il TAP entrerà in funzione, recentemente si è realizzato per la prima volta da quando il gas è negoziato su mercati liquidi l’annullamento dello spread tra il prezzo all’ingrosso del gas italiano e quello dell’hub nord europeo, come dire che già ora la capacità di importazione italiana è in grado di renderci esportatori, cioè competitivi rispetto al prezzo del nord Europa. Un assaggio di quello che anni fa un nostro Governo, tra molti scetticismi, vedeva come un futuro di Italia “hub del gas”.

Tutto bene? Sì, almeno finché a noi consumatori non verrà chiesto il conto di tante infrastrutture di approvvigionamento che stanno funzionando ampiamente sotto la loro capacità, in uno scenario di consumi europei che nel 2019, prima del covid, erano già oltre il 10% più bassi che nell’anno record 2010.

In aggiunta a una calante produzione continentale, Russia, Nord America (tramite navi metaniere), Nord Africa e presto Azerbaijan si contenderanno un mercato europeo del gas sempre più piccolo. Un’offerta che si prospetta più nutrita della domanda.


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domenica 27 settembre 2020

L'inverno elettrico francese (Puntate 454 e 469 in onda il 29/9/20 e 19/1/21)

Abbiamo parlato più volte a Derrick di un tema che di solito appassiona anche chi non si occupa di energia: gli scambi elettrici tra Italia e Francia, quest’ultima nota per essere l’unico grande Paese Europeo con una forte dipendenza dalla produzione elettrica termonucleare che copre ancora oggi oltre metà del picco di domanda locale (a sua volta circa il 10% più alto di quello italiano). Abbiamo visto che è iniziato un processo di dismissione di questi impianti a partire dai più vecchi o vulnerabili a possibili eventi naturali estremi, tra cui quello di Fassenheim lungo il Reno, in Alsazia.

Tradizionalmente la Francia compensa la rigidità della produzione nucleare esportando nelle ore di basso consumo e importando in quelle di alto, ma ora la vetustà e minore disponibilità degli impianti aumenta la dipendenza francese, almeno potenziale, dall’estero. Quanto effettivamente sarà necessario il soccorso italiano in termini di esportazioni, con conseguente aumento del prezzo per i consumatori italiani, dipenderà dal freddo in Francia il prossimo inverno. Una buona notizia per il gestore della rete elettrica francese è la ritrovata disponibilità dell’impianto di Flamanville, sulla Manica, sito in cui è anche in costruzione uno dei pochi nuovi impianti nucleari in Europa, tutti accomunati dalla dilatazione per ora senza fine di tempi e costi.

A proposito di costi è molto interessante la notizia dello scorso 10 settembre [2020] apparsa su un sito di informazione specializzata, Contexte Energie, ripreso anche dal nostro Quotidiano Energia, che ha avuto accesso a un dossier dell’Autorità francese per l’energia la quale stima in 48 €/MWh il costo dell’energia nucleare che EDF, l’azienda transalpina di fatto ancora monopolista nella gestione di queste centrali, deve cedere in parte agli altri operatori a un prezzo politico per favorire la concorrenza. Prezzo che però stando a questa notizia è di qualche Euro più alto del costo effettivo. La cosa che però trovo più interessante è il fatto che anche centrali stra-ammortizzate (cioè già pagate tanto tempo fa con le tasse dei francesi oltre che con il prezzo successivo dell’energia) abbiano ancora oggi un costo industriale medio dell’energia non lontano dai prezzi italiani all’ingrosso dell’elettricità.

Invece, quella del nucleare disponibile a breve come panacea a basso prezzo delle forniture di energia decarbonizzata è una suggestione frequente tra chi non si occupa di energia in termini di fattibilità industriale. Ho avuto il piacere di parlarne in una bella discussione online con esperti e con l’economista Michele Boldrin organizzata da Figli Costituenti la scorsa estate (qui sotto il video).


Aggiornamento 18/1/2021

L’8 gennaio [2021] le autorità d’oltralpe, temendo una situazione molto critica, hanno diffuso tra la cittadinanza la richiesta di fare l’”éco-geste” letteralmente il gesto ecologico – anche se qui l’ecologia non c’entra, di contenere il più possibile i consumi. I francesi hanno risposto e per fortuna il sistema, anche grazie alle importazioni, è rimasto bilanciato, e ha espresso prezzi attorno a 70 €/MWh, spingendo al rialzo anche quelli dell’Italia.

Ma in realtà la giornata elettrica europea dell’8 gennaio aveva altro da offrire. Nelle prime ore del pomeriggio l’intera rete sincrona continentale di trasmissione elettrica è andata in un forte stress e si è sezionata in due, con una notevolissima riduzione della frequenza nell'Europa centrale e occidentale e un'aumento in quella orientale.

Il sistema elettrico è come un tandem con non due ma tanti ciclisti in sella, e dove a pedalare in sincronia sono le centrali elettriche. Forti consumi sono come salite che i pedalatori devono affrontare spingendo con più forza. Se faticano a farcela, le pedalate rallentano, e se rallentano troppo l’intero tandem perde ritmo, equilibrio fino nel caso peggiore a fermarsi in blackout. E appunto la frequenza, cioè la velocità della pedalata, della rete elettrica europea centro-occidentale è scesa l’8 gennaio fino quasi al limite della gestione d’emergenza, tanto che per ristabilire l’equilibrio migliaia di megawatt di clienti interrompibili sono stati tagliati dalla fornitura. Lo riporta Quotidiano Energia dell’11 gennaio, che a sua volta cita come fonte ENTSO-E, l’organo europeo di coordinamento dei gestori delle reti di trasmissione elettrica.

La partecipazione dei consumatori al bilanciamento delle reti elettriche sarà sempre più normalità in un sistema con meno grandi centrali convenzionali flessibili, grazie alla diffusione di forme di accumulo di energia presso i clienti, talvolta in grado di essere attivate dai gestori di rete sulla base delle necessità.




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lunedì 21 settembre 2020

Relazione annuale ARERA 2020 e mercato dell'energia in mezzo al guado (Puntata 453 in onda il 22/9/20)

Si è svolta la relazione annuale dell’ARERA, l’Autorità indipendente di vigilanza e regolazione dell’energia (e di altro). Gli organi di informazione ne hanno tratto alcuni messaggi principali, tra cui uno a mio avviso molto distorto, riguardo al fatto che il mercato costerebbe più del non mercato, dove quest’ultimo viene fatto coincidere con le tariffe regolate di “maggior tutela”.

La transizione al mercato nelle vendite di energia al dettaglio è tutt’ora rallentata dall’esistenza di un’opzione regolata (ma basata su parametri di mercato per la parte dei costi della materia prima – il che rende di per sé scorretto dire che essa rappresenti il non-mercato) disponibile a clienti domestici e piccole aziende. Il suo nome, “maggior tutela”, sembra suggerire che al di fuori di essa (cioè nel cosiddetto “mercato libero”) le tutele siano inferiori. Una presunta dicotomia incoerente col fatto che la stessa Autorità in realtà vigila affinché tutti gli operatori siano corretti nelle loro interazioni e impone la disponibilità di simili tariffe standard anche sul cosiddetto mercato libero.

La maggior tutela, inoltre, ha ritardi nel rispecchiare i costi di mercato dell’energia sottesa che fanno sì che strutturalmente tenda a essere più cara delle offerte di mercato quando le aspettative di prezzo scendono e più economica quando salgono, visto che gran parte delle offerte di mercato hanno prezzo fisso per almeno un anno. Questo è facilmente visibile nel grafico per cui ringrazio Selectra e Staffetta Quotidiana, dove si vede anche che sul mercato esistono tariffe sia più basse sia più alte della “maggior tutela”.

Andamento recente del prezzo elettrico di "maggior tutela",
del prezzo all'ingrosso, dell'indice Selectra sui prezzi al dettaglio
sul mercato e dei prezzi più alti e più bassi sul mercato

L’aspetto strutturalmente più dannoso di questa liberalizzazione a metà è che gli unici rivenditori ammessi a vendere la “maggior tutela” per l’energia elettrica sono i monopolisti locali storici. Per queste forniture essi si devono approvvigionare presso un’azienda pubblica, l’Acquirente Unico, che secondo il mandato iniziale avrebbe dovuto compiere quest’attività in monopolio temporaneamente.

Invece il meccanismo è stato via via prorogato, al momento fino al 2022 per clienti domestici e microimprese, e una volta ancora ci sono politici che invocano ulteriori proroghe.

In effetti gran parte di essi e delle associazioni dei consumatori non hanno spinto per il completamento dell’introduzione della concorrenza nel mercato al dettaglio dell’energia, percependo il rischio di un “salto nel buio” che in realtà non è affatto tale in presenza delle tutele che abbiamo descritto. A ben vedere, però, uno strumento di garanzia in effetti manca: l’informazione ai clienti, ancora molto carente e che mostra in questo senso un fallimento istituzionale.

Eppure, ai clienti il mercato dell’energia piace, visto che circa la metà di quelli che hanno diritto alla “maggior tutela” hanno comunque deciso di uscirne per avventurarsi sul mercato, come mostra il report dell’Autorità.

Cos’hanno ottenuto questi clienti intraprendenti? Servizi personalizzati o risparmi in bolletta, a patto di saperli trovare tra le offerte e mantenere alla fine delle promozioni. In media però sul mercato libero un cliente domestico spende più che nella “maggior tutela”, si spera perlopiù a fronte di servizi che apprezza, ma certamente – come abbiamo visto su Derrick – anche in esito a modifiche unilaterali scorrette da parte dei fornitori oppure della difficoltà dei clienti di comprendere tutte le varie voci di costo alla firma del contratto.


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