domenica 28 gennaio 2024

Occhio ai prezzi (Puntata 608 in onda il 30/1/24)

Una nave attraversa il canale di Panama
(Foto Derrick)
Un’occhiata recente ai prezzi di alcuni prodotti o semilavorati importanti rispetto agli interessi di questa rubrica ci aiuta a fare il punto sulla congiuntura energetica e ambientale.

Partiamo da una delle cosiddette “terre rare”: il litio. Elemento che viene spesso associato alle nuove tecnologie dell’elettrificazione per via del suo utilizzo nel tipo oggi più comune di batterie per veicoli o piccoli apparecchi elettrici. Se chiedete a chi non si occupa di energia probabilmente vi dirà che il litio è scarso e che il suo approvvigionamento è un problema. In realtà le sue quotazioni sono scese notevolmente nel corso del 2023 e sono oggi a livelli abbastanza bassi da aver fatto fermare progetti per nuovi impianti di estrazione e trattamento.

E il gas? Che dopo l’invasione dell’Ucraina sfiorò i 350 €/MWh nell’estate del 2022, un valore quasi 20 volte più alto dei prezzi a cui ci eravamo abituati? E sulle cui infrastrutture stiamo mettendo miliardi di euro di soldi sostanzialmente pubblici per diversificarne gli acquisti? Bene, il gas veleggia mentre scrivo questa puntata sotto i 30 €/MWh malgrado la crisi nel mar Rosso dove passano le metaniere in arrivo dal Golfo. Potrebbe risalire un po’ per il perdurare di tale crisi o se dovesse esserci una coda d’inverno rigida, ma è più che evidente che l’insieme di diversificazione, investimenti in fonti rinnovabili e efficienza ci ha brillantemente affrancato dal paventato rischio di razionamento succeduto all’inizio della guerra.

Interessante a questo proposito la recentissima decisione del presidente USA Biden di sospendere l’autorizzazione a nuovi impianti di liquefazione di gas necessari ad aumentare la capacità di export americana. Decisione legata all’interesse a non far aumentare il prezzo interno in vista delle elezioni, ma sempre poi modificabile se il prezzo europeo o asiatico del gas dovesse tornare abbastanza alto da rendere l’export americano particolarmente remunerativo. In altri termini: un’eventuale nuova scarsità di gas nel nostro continente verrebbe risolta anche con più import dagli USA, che sempre più stanno scippando all’OPEC il ruolo di fissatore internazionale del prezzo di petrolio e gas.

Ma più gas in arrivo non sarebbe una buona notizia per il clima. Ciò che sta davvero diventando scarso, e rischia di restarlo, sono prodotti agricoli come il succo d’arancia e lo zucchero danneggiati da siccità e cambiamenti climatici in molte regioni del mondo, come scrive l’Economist in un articolo di fine gennaio 2024 (link sotto). Siccità che tra le altre cose, come ho accennato nel mio recente reportage (link sotto) da Panama, è responsabile della minore capacità del canale tra golfo del Messico e Pacifico, a proposito di problemi di commercio internazionale.

La morale è che ci sono scarsità che possiamo contrastare con investimenti in nuova capacità produttiva, altre che riguardano beni primari e richiedono politiche del clima rapide ed efficaci.


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martedì 16 gennaio 2024

Viaggio a Panama e Colombia (Puntate 602-6 in onda dal 19/12/23 al 16/1/24)

L'immensa Bogotá vista dal cerro del Monserrate

Inizia con questa puntata un ciclo di podcast di un viaggio che mi porterà a Panama, nell'isola colombiana di San Andres nei Caraibi e in lunghe esplorazioni della Colombia continentale.

La Panama city moderna
vista dal quartiere coloniale di Casco Viejo
La puntata di Panama è ascoltabile qui: https://www.radioradicale.it/scheda/716485

Quella sull'isola di San Andres (Colombia) qui: https://www.radioradicale.it/scheda/716962/

Su Medellin e Cali: https://www.radioradicale.it/scheda/717234/derrick

La valle del Cocora vicino a Salento e non lontana dal grande vulcano Nevado del Ruiz, famoso anche per la tragedia di Armero, Popayan, San Augustin: 
https://www.radioradicale.it/scheda/717680/derrick

Il deserto del Tatacoa, Bogotá, la Guajirahttps://www.radioradicale.it/scheda/718163/derrick

Video dei miei viaggi sono qui: https://www.youtube.com/playlist?list=PL8sgPLBStHqWm3UVno9OSzQkKF2rZhRSg

Selfie a Casco Viejo (Panama)
Costa ovest di San Andres al crepuscolo
spazzata dal vento











Il quartiere di Santo Domingo a Medellin












Il decrepito minibus Mercedes si surriscalda
in salita verso San Augustin


domenica 10 dicembre 2023

COP28 (Puntate 600 e 601 in onda il 5 e 12/12/23)

Puntata 600

Sultan Al Jaber
il presidente della COP28
È in corso mentre scrivo questa puntata la ventottesima conferenza delle parti ONU sul clima a Dubai, presieduta dall’amministratore delegato dell’azienda petrolifera emiratina che ha dichiaratamente progetti di aumento degli investimenti in idrocarburi mentre la IEA, tra gli altri, ci dice che quelli incorso sono già troppi rispetto agli obiettivi di transizione. (Lo stesso Al Jaber peraltro è anche a capo di un’altra azienda che sta investendo in rinnovabili).

Tra i risultati che ci si attende dall’assise, che verosimilmente saranno espressi con i soliti verbi enfatici e volitivi, ma non prescrittivi, tipo “auspichiamo”, “aspiriamo”, “dichiariamo la necessità di”, c’è:

  • L’obiettivo di triplicare le fonti rinnovabili di energia da qui al 2030, già proposto dal capo del Governo indiano in un recente G20 da lui presieduto (per l’India del resto è relativamente facile perché è all’inizio del processo e di rinnovabili ne ha ancora poche rispetto alla dimensione dell’economia).
  • La messa in funzione del fondo “loss and damage” già battezzato alla COP precedente ma non ancora finanziato, che mira a compensare i costi di adattamento dei paesi che più subiscono i danni del cambiamento climatico.
  • Un obiettivo di riduzione dell’uso di fonti fossili non compensate da tecnologie di neutralizzazione delle emissioni climalteranti attraverso loro separazione e confinamento.

Il 2 dicembre a Dubai c’è stata Meloni che si è impegnata a mettere 100 milioni di € nel fondo e che, secondo un logoro procedimento retorico, ha invitato a una transizione che sia non “ideologica”, per evitare effetti recessivi.

Ora, mi chiedo se sia più recessivo tentare di ritardare un processo d’innovazione proteggendo gli interessi del settore delle fossili oppure cercare di primeggiare nelle tecnologie pulite destinate a prendere sempre più la scena.

Il non essere “ideologici” naturalmente corrisponde nella nuova retorica alla prima scelta, cioè frenare, e quindi verosimilmente perdere l’opportunità di essere leader nelle tecnologie che garantiranno la transizione a emissioni climalteranti nulle o quasi.

È anche vero che gl’investitori e i consumatori sono spesso più avanti della politica. Nei primi 10 mesi del 2023 l’Italia ha installato 4 GW di soli nuovi impianti fotovoltaici, oltre il doppio dello stesso periodo di un anno prima, un risultato notevole ma ancora contenuto dalla difficoltà autorizzativa sugli impianti più grandi e sull’eolico. Il tutto mentre un decreto energia introduce varie deregulation in nome della sicurezza energetica ma che si applicano, curiosamente, solo ad attività inerenti a quelle fossili.

Puntata 601

Cifra tonda a Derrick con la puntata 600, questa, ma non c’è molto da festeggiare stando alle notizie che arrivano da Dubai dove si svolge la conferenza annuale sul clima dei quasi 200 paesi che partecipano alla convenzione-quadro ONU per coordinarne le politiche.

Lo scenario di partenza già non è positivo, visto che i dati provvisori di Carbon Project vedono per il 2023 un nuovo aumento delle emissioni-serra globali a quasi 37 miliardi di tonnellate, oltre 1% in più dell’anno prima, che non è certo il trend necessario per contenere a un grado e mezzo il riscaldamento rispetto all’era preindustriale come i paesi della convezione si sono impegnati a fare nelle precedenti assise.

Emissioni che arrivano soprattutto dalla combustione di idrocarburi fossili, cioè carbone gas naturale e derivati del petrolio, ma anche, ragguardevolmente, dalle emissioni di metano da agricoltura e da attività minerarie ed energetiche. Quest’ultimo punto, in forma di impegno a disperdere meno metano da parte delle aziende di petrolio e gas, rischia di essere l’unico risultato rilevante di questa COP se non si riuscirà a trovare un accordo per la riduzione dell’uso delle energie fossili.

Riduzione che non sembra considerata nel dimensionare gli investimenti del settore, inclusi quelli dell’italiana Eni in violazione di impegni presi dal nostro Paese alla COP26 di Glasgow. Investimenti ridondanti rispetto a uno scenario di contenimento di queste fonti, come evidentemente teme la stessa OPEC, che già in difficoltà per i prezzi del petrolio in calo e per il non rispetto delle quote produttive di alcuni suoi membri si è rivolta alla COP28 con una diffida all’introduzione di impegni di abbandono delle energie fossili.

Il senso comune suggerisce che la mancata emancipazione dai combustibili fossili sia motivata dalla loro economicità rispetto ad altre energie. Ma si sbaglia, perché ignora i sussidi che vengono dati a queste fonti con spesa pubblica, oltre il 7% del pil mondiale come calcola il Fondo Monetario Internazionale, mentre per l’Italia il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica stima gli aiuti pubblici alle fossili in oltre 20 miliardi di € all’anno, quasi tutti in forma di facilitazioni fiscali, una cifra ben maggiore di tutti i sussidi favorevoli all’ambiente.

Dati che per quanto ripetuti da studiosi e analisti (recentemente per esempio su Lavoce.info da Alessia Fiorini ed Eleonora Trentini) sembrano ignorati anche dai politici che abbracciano la retorica di una presunta onerosità della transizione ecologica. E invece cosa c’è di più esoso e inefficiente che dare più sussidi pubblici alle fonti fossili che a quelle pulite?

Se alla COP28 si faranno passi avanti dipenderà come ogni anno dalla capacità dei quasi 200 di trovare un accordo unanime. In un articolo su Formiche, Corrado Clini auspica l’introduzione di decisioni a maggioranza nelle COP. Terrebbe la convenzione se diventasse così impegnativa per i paesi più scettici? Secondo un’intervista sul Sole 24 ore a Luca Bergamaschi, condirettore del think tank ECCO con cui io stesso collaboro, non c’è alternativa al pur faticoso multilateralismo.

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