sabato 21 settembre 2019

Incentivi fiscali ad auto aziendali (Puntata 410 in onda il 24/9/19)

Molto prima che lo diventasse nell’agenda politica, il tema del rapporto tra fisco ed ecologia era come sapete nella prima pagina di questa rubrica, dove abbiamo recentemente anche analizzato i dati aggiornati del Governo sui sussidi dannosi all’ambiente.
Una famiglia di questi sussidi riguarda il trattamento fiscale delle auto aziendali.
Cosa s’intende per auto aziendali? S’intendono auto di solito noleggiate a lungo termine da aziende che le mettono a disposizione dei dipendenti anche per uso personale, che è il caso su cui ci focalizziamo ora. In pratica, l’auto è un tipico benefit di quadri e dirigenti aziendali, e l’interesse a usare questa forma (come altre) di retribuzione in natura deriva da un trattamento fiscale favorevole rispetto a una remunerazione in denaro che permetta di acquistare gli stessi servizi sul mercato. Infatti l’azienda paga sulle auto aziendali a uso promiscuo un’IVA agevolata e deduce dalle imposte d’impresa il 70% del canone, mentre il dipendente ci paga sì le tasse sul reddito, ma calcolate su un forfait del 30% del costo convenzionale del benefit su 15.000 km/anno.

Questo sistema fa sì che per il dipendente il benefit valga tanto più quanto più usa a scopo personale l’auto. Il che lo incentiva a preferirla ad altri mezzi.
Ecco forse perché quando prendo il passante ferroviario di Milano, che pure è un caso esemplare di infrastruttura di trasporto urbano e interurbano ad alta capacità, vedo così pochi manager tra i passeggeri.

Andrea Zatti, docente di Politiche Pubbliche e Ambiente dell'Università degli Studi di Pavia e Presidente della Fondazione Romagnosi-Scuola di governo Locale, analizza il tema in un capitolo del suo libro Verso una riallocazione verde dei bilanci pubblici, Pavia University Press, disponibile gratuitamente in versione elettronica al link sotto.
Sentiamo (e vediamo) direttamente Zatti:


C’è un altro punto sulla compatibilità ambientale dell’uso delle auto per lavoro, che riguarda la ricarica dei veicoli elettrici. Se oggi io faccio una trasferta per lavoro, il committente mi rimborsa il carburante. Ma che succede se uso un’auto elettrica ricaricata nel mio box? Se non posso documentare la spesa di ricarica, mi conviene usare un’auto non elettrica. Questo aspetto si lega ad altre questioni un po’ critiche che riguardano la tariffazione e la fatturazione dell’elettricità per ricarica. Arriveremo anche lì. Intanto, grazie ad Andrea Zatti dell’università di Pavia.


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sabato 31 agosto 2019

La "sterilizzazione" dell'IVA (Puntata 407 in onda il 3/9/19 e in replica il 1/10/19)

Cave di marmo in cima al passo del Vestito (MS)
Un politico con aspirazioni di amministrazione pubblica, che non affronti la questione di dove pensa di trovare le risorse per le sue promesse, a logica dovrebbe essere ritenuto inadatto al ruolo. Non da noi, apparentemente, dove quasi tutti i partiti e i leader da mesi stanno ripetendo il mantra del “dobbiamo sterilizzare l’aumento IVA”, come se si trattasse di arrivare in tempo a premere un bottone prima dell’innesco, e come se la parte rilevante della questione non fosse piuttosto da dove dovrebbero venire le risorse per evitare gli aumenti altrimenti già previsti.
Del resto buona parte di quegli stessi politici sembra confondere le regole di finanza pubblica UE con l’effettiva disponibilità di creditori per finanziare il debito e con le conseguenze distributive di doverne ripagare una quantità ancora più mostruosa di quella che già si abbatte sulle prossime generazioni di contribuenti.

La notizia buona, però, sull’IVA, è che proprio all’interno di questa imposta ci sono gli spazi per fare una messa a punto che permetterebbe di avere più gettito senza aumentare l’aliquota ordinaria.
Vediamo perché: oggi l’IVA vale oltre 130 miliardi (parlo sempre di numeri annuali), meno del 7% del PIL. Oltre a quella ordinaria del 22%, ha 2 aliquote agevolate (4, e 10%) applicate a beni e servizi specifici.
Uno studio della Corte dei Conti del 2016 attribuisce ai regimi agevolati oltre il 40% del gettito IVA, contro una media UE27 di poco più della metà. L’Italia, dunque, ha un’enorme spesa fiscale in agevolazioni IVA (senza contare le esenzioni pure). In parte questi regimi agevolati hanno il fine di proteggere l’approvvigionamento di beni primari (per esempio alimentari), ma perlopiù si tratta di discriminazioni incomprensibili, alcune con effetti negativi sull’ambiente.

Esempi di IVA agevolata dannosi all’ambiente secondo il Catalogo Minambiente dei sussidi dannosi (dove non specificato, il Catalogo non riporta gli ammontari) sono questi:
  • Sull’energia consumata per le attività estrattive agricole e manifatturiere: 1,4 miliardi/a (disincentiva il risparmio energetico e riduce la competitività delle aziende energicamente efficienti)
  • Sull’energia elettrica domestica (indipendentemente dal reddito): 1,7 miliardi (disincentiva efficienza e ha effetti distributivi regressivi) (simile esenzione c’è sul gas naturale)
  • Sugli olii minerali usati nella produzione di energia
  • Sui prodotti petroliferi usati in agricoltura (circa 200 milioni)
  • Sulla cessione di nuove costruzioni abitative (introdotta nel 1972). Oggi che occorre ridurre il consumo di suolo e che i vani vuoti a fronte della popolazione stagnante sono troppi, che senso ha regalare soldi alle nuove costruzioni anziché mettere in sicurezza quelle vecchie e non antisismiche?
  • Sulle acque minerali (800 milioni che si aggiungono a bassi oneri concessori per l’estrazione)
  • Sui servizi di smaltimento in discarica (alla faccia dell’economia circolare).


Esempi di regimi agevolati incomprensibili invece sul piano distributivo sono questi:
  • Parcheggi (sussidio all’uso dell’auto privata) (aliquota del 4%)
  • Hotel e ristoranti (indipendentemente dalla fascia di prezzo) (10%) (le mense scolastiche e di lavoro, qui in modo più sensato, hanno il 4%)
  • Fiori recisi (sic) (10%)
  • Tabacchi (alla faccia delle campagne antifumo) (10%)
  • Tra i beni alimentari: crostacei, molluschi, cacao amaro e birra hanno IVA al 10%, funghi, mandorle e meloni addirittura al 4%.


Allora: siamo sicuri che convenga sterilizzare l’IVA così com’è e trovare soldi altrove, magari come al solito con nuovo debito e quindi più tasse e meno investimenti futuri? In realtà anche dentro all’IVA, come in generale nel sistema fiscale (l’abbiamo visto qui anche in puntate recenti) ci sono distorsioni chiaramente dannose, superare le quali porterebbe nuovo gettito, che a seconda della radicalità degli interventi potrebbe da solo evitare l’aumento dell’aliquota ordinaria del 22% o addirittura permettere di limarla senza nuovo debito o nuove tasse alternative.


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martedì 23 luglio 2019

Seconda edizione Catalogo Minambiente dei sussidi ambientalmente rilevanti (Puntate 404-6 in onda il 23-30/7 e 6/8/2019)

Piazzetta a Castel di Tora (RI)
(La puntata sull'edizione successiva del Catalogo è qui).

Quali sono alcune rilevanti, se non le principali sfide sociali ed economiche con cui dobbiamo confrontarci? Per quanto riguarda l’Italia direi:
  • La necessità di investimenti pubblici, soprattutto in istruzione, giustizia, ambiente
  • L’emergenza sanitaria delle circa 80 mila morti premature all’anno per inquinamento soprattutto da polveri sottili e ossidi d’azoto, in primis nei centri urbani della val Padana (solo Italia e Polonia in Europa hanno numeri così spaventosi)
    (La questione ambientale, naturalmente, si colloca nell’ambito della lotta globale ai cambiamenti climatici riguardo a cui l’Italia è impegnata per la sua parte in base agli accordi internazionali nell’ambito delle Nazioni Unite).
  • La povertà e la stagnazione economica.


Sarebbe favoloso se ci fosse una famiglia di interventi alla portata di agenda politica in grado di avere effetti positivi su tutte le questioni che ho elencato, no?

Bene, uno strumento promettente c'è: si tratta di una revisione della fiscalità con le seguenti caratteristiche di massima:

Colpire meno la produzione di reddito e più i consumi (l’Italia – che ha tasse generalmente alte per chi le paga – è piuttosto sbilanciata sui redditi)
e disincentivare consumi o attività dannosi all’ambiente, e cioè che contribuiscono:
  • Al depauperamento della qualità dell’ambiente il cui degrado genera anche costi sanitari
  • Al consumo irrazionale di capitale ambientale pubblico (alla cui disponibilità anche le prossime generazioni hanno diritto)
  • Ai cambiamenti climatici (tramite emissione di gas a effetto-serra)

Una simile trasformazione non riguarderebbe solo una modifica alle aliquote esistenti delle varie imposte, ma anche una revisione della spesa fiscale, cioè del sistema delle esenzioni, che in Italia è così vasto che una riduzione shock delle imposte sui redditi per tutti potrebbe finanziarsi esclusivamente con tagli a regimi di favore per alcuni.

(Piccolo commento utile ai non economisti: quando si parla di tasse al consumo, le stesse valutazioni e ricette si possono applicare quasi indifferentemente alle tasse alla produzione. Esempio: se io metto un’accisa sul gas utilizzato per produrre elettricità posso chiamarla tassa sulla produzione di elettricità ma gli effetti si spostano comunque su chi l’elettricità la consuma. Entrambe sono imposte indirette, cioè che si applicano a transazioni e non alla generazione di reddito in sé).

Se una revisione organica del fisco nelle modalità di cui sopra ha potenzialmente così tanti vantaggi, perché viene auspicata in tanti accordi intergovernativi e risoluzioni parlamentari (anche in Italia) ma poi non attuata?

Una delle ragioni è che mettere le mani sul fisco significa produrre effetti distributivi anche importanti. Infatti lo si fa proprio per modificare gli incentivi economici di persone e imprese, e quindi soprattutto nel breve periodo c’è chi ci perde. E le categorie, anche piccole, che vengono immediatamente danneggiate sono tipicamente più interessate a farsi sentire e competenti sulla questione che le tocca di quanto lo sia l’opinione pubblica nel suo complesso. E per ridurre le rendite servono politici bravi, di lunghe vedute e capaci di ottenere consenso comunicando il senso del progetto e utilizzando sistemi di salvaguardia temporanei.

Una riforma del genere è tanto più urgente quanto più inadeguato è il sistema fiscale e parafiscale attuale rispetto agli obiettivi. Ce lo ricorda la nuova edizione del Catalogo dei sussidi rilevanti per l’ambiente del Ministero dell’Ambiente, recentemente diffuso e disponibile al link sotto. Un documento fondamentale e direi drammatico, che ci dice che sulla base di dati 2017 il sistema di sussidi pubblici diretti (trasferimenti), delle imposte e delle tariffe regolate in settori energia, acqua, rifiuti, ambiente sussidia attività dannose all’ambiente per oltre 19 miliardi/anno, mentre le aiuta per 15.

In altri termini: una revisione del sistema del fisco, delle tariffe e dei trasferimenti pubblici è urgente anche perché esso oggi ha un effetto netto dannoso all’ambiente e quindi a tutti gl’investimenti correlati alla sua salvaguardia e al progresso tecnologico relativo.
È come se noi pedalassimo verso la sostenibilità e l’innovazione ambientale, e qualcuno, sempre all’interno dello Stato, frenasse con più forza di quella esercitata sui pedali.


Entriamo nel merito della seconda edizione del Catalogo.

Premessa importante: cos’è un sussidio? Nella definizione OCSE, usata dal team di economisti in servizio al Ministero dell’Ambiente che hanno lavorato al documento, un sussidio è un trasferimento pubblico diretto o uno sconto fiscale o in tariffe regolate, che abbia l’obiettivo di garantire un vantaggio economico a chi lo riceve rispetto ai prezzi di mercato per la transazione a cui si riferisce. Quindi, per esempio, in questa definizione, se la pubblica amministrazione compra un bene o un servizio, questo non è un sussidio a chi lo vende, a meno che esso non sia pagato più del valore di mercato.

L’attuale edizione del catalogo è la seconda (anche la prima è stata considerata qui, e sotto c’è il link alle vecchie puntate) e comporta alcune novità, tra cui:
  • Analizza solo sussidi potenzialmente rilevanti per l’ambiente (comprensibile, anche se in parte è un peccato perché la precedente edizione era interessante anche come mera analisi complessiva della spesa fiscale in Italia, analisi che oggi è portata avanti, a mio avviso con parecchie lacune, da una apposita commissione MEF che produce un allegato al documento di economia e finanza - Vd. link sotto su spesa fiscale)
  • Include un’analisi di finanziamenti istituzionali italiani a progetti internazionali
  • Considera nuovi sussidi dannosi all’ambiente, i più interessanti dei quali mi sembrano:
    • vantaggi fiscali alle auto aziendali a uso promiscuo (questo è un tema clamoroso cui dedicheremo una puntata specifica per la quale ho già chiesto aiuto all’economista italiano che più se n’è occupato stando alla bibliografia dello stesso Catalogo)
    • sconti nelle tariffe del servizio idrico
    • sconti a clienti energivori nelle bollette elettriche

Questi ultimi due punti meritano una piccola digressione: anche nell’impostazione recente della legislazione UE si prevede che alcune forme di welfare su beni essenziali come l’acqua e l’energia debbano passare attraverso prezzi politici nell’accesso a tali beni. Questo comporta gravi effetti collaterali sull’uso razionale delle risorse stesse, ed è spesso anche dannoso sul piano redistributivo. Per esempio: io che consumo meno acqua ed elettricità in casa rispetto alle quantità considerate normali ricevo una riduzione fiscale del prezzo di questi beni. Il che mi rende meno interessato a consumarli razionalmente. Inoltre, il mio reddito non è così basso da poter considerarmi in condizioni di povertà energetica e idrica, e questi sconti sono pagati anche da contribuenti che nell’ambito del sistema fiscale progressivo non dovrebbero trasferire risorse a me. Diciamo che la retorica dell’”acqua pubblica” (definizione che di per sé è molto ambigua) sta facendo danni legislativi, rendendo l’acqua più “pubblica” sì, ma nel senso che i suoi sprechi sono pagati con risorse pubbliche.
  

Quanto sono davvero ambientali le imposte ambientali attuali?

Lo studio European Implementation Review delle politiche ambientali della Commissione UE, citato nel Catalogo, ci dice che le imposte ambientali nell’UE 28 sono solo il 6,3% circa di entrate fiscali e contributi previdenziali e meno del 2,5% del PIL (il valore più alto è in Danimarca e il più basso in Slovacchia). 

L’Italia si colloca in fascia alta, il che porta a dire che le imposte ambientali in Italia ci sono (in termini di loro classificazione formale) ma – alla luce del Catalogo e di altri studi - apprendiamo che esse sono sia inadeguate a disincentivare le attività effettivamente dannose all’ambiente, sia largamente insufficienti a contrastare i sussidi dannosi.
In effetti una parte importante delle imposte classificabili come ambientali si applica alla produzione o consumo di energia e ai trasporti che solo approssimativamente – anche se negli anni ci sono stati miglioramenti per esempio sulla tassa di possesso auto e con il recente ecobonus - si legano a danni ambientali (per esempio: le accise sui carburanti non sono legate alle emissioni dannose, e su questo nel Catalogo c’è un ampio focus sulla disparità di trattamento di accise tra benzina e gasolio per autotrazione, dove quest’ultimo continua a essere irrazionalmente avvantaggiato).

Veniamo finalmente a una sintesi dei numeri principali del Catalogo:

Sussidi Ambientalmente Dannosi (SAD) indiretti – cioè erogati tramite facilitazioni d’imposta o di parafiscalità in bolletta: (dove non specificato stime 2018 – arrotondamento ai 50 milioni più vicini) (in milioni di Euro)
  • Esenzione accisa energia elettrica a consumatori domestici residenti con potenza installata bassa e solo su una prima fascia di consumi: circa 600 (destinati peraltro a ridursi)
  • Esenzione accisa carburanti aerei: 1.600 (2017)
  • Riduzione accisa carburante navigazione marittima: 500 (2017)
  • Riduzione accisa carburante autotrasporto pesante: 1.250
  • Sussidi indiretti a impiego prodotti energetici in agricoltura: 850
  • Differente accisa gasolio-benzina: 4.900
  • Agevolazioni a grandi consumatori di energia: 1.250 (la tabella del Catalogo considera queste esenzioni assenti due anni prima, ma in realtà venivano comunque erogate in altre forme, alcune delle quali tutt’ora esistenti)
  • Vantaggi fiscali a auto aziendali: 1.250 (2017)


Il tutto a fronte di sussidi diretti favorevoli di circa 15 miliardi, di cui 12 di sussidi alle fonti d’energia rinnovabili, attraverso le bollette elettriche.


Gli autori del documento

Chi c’è dietro la redazione di un testo così vasto, accurato e importante? Un team di economisti ambientali di un’agenzia esterna al Ministero dell’Ambiente, chiamata Sogesid, i cui servizi la legge di bilancio 2019 prevede saranno progressivamente non più acquistati dal Ministero con stop totale nel 2024. Non sappiamo quindi con quali risorse umane e di competenza potrà continuare questo lavoro fondamentale di supporto alle politiche di transizione ambientale.


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