martedì 31 dicembre 2024

Viaggio nello Sichuan e nel Laos settentrionale (Puntate da 650 a 652 in onda il 17, 24, 31 dicembre 2024)

Panda a Chengdu
Con Paolo Ghelfi abbiamo visitato nel dicembre 2024 Chengdu, metropoli cinese capoluogo della regione dello Sichuan nota per i tanti panda che ospita nei suoi parchi.

Da lì ci siamo spostati con la nuova ferrovia Laos-China Rail nel nord del Laos. Scesi dal treno a Muang Xay abbiamo viaggiato su strada fino all'alta valle del Nam Ou, un affluente del Mekong.

Usando come base Nong Khiaw, in bici su strade in terra battuta abbiamo raggiunto altri villaggi più piccoli e più a Nord sempre nella valle del Nam Ou (inatraversabile se non in barca).

In bici verso Muang Ngoy

In minibus siamo scesi lungo la valle fino a Luang Prabang, patrimoio UNESCO per i suoi templi.

Di nuovo con il treno LCR abbiano raggiunto la capitale Vientiane.

Tempio a Luang Prabang



Le puntate di reportage sono riascoltabili qui:

- Chengdu

- Luang Prabang

- Vientiane

sabato 7 dicembre 2024

King Charles III England Coast Path (Puntata 649 in onda il 10/12/24)

Southend on Sea - Dal sito ufficiale del
King Charles III England Coast Path
Immaginate un paese con oltre 4000 km di coste dalle forme più diverse, a volte alte, difficili, impervie, altre dedicate al turismo, speso molto belle. In alcuni casi occupate da porti che un tempo furono fondamentali per l’economia locale ed europea, o da siti industriali in molti casi decaduti, in altri ancora attivi. Immaginate che questo paese abbia un progetto per realizzarvi un percorso pedonale completo. Niente male, no?

Se poi aggiungiamo che il progetto è tanto avanzato da prevedere il completamento nel 2025, possiamo facilmente escludere che si tratti dell’Italia. Infatti stiamo parlando dell’Inghilterra, che si aggiunge al Galles che già il percorso lo ha. Mentre la Scozia il diritto di passaggio a piedi sulla costa lo garantisce per legge (devo segnarmelo per la prossima volta che capiterò da quelle parti).

Quello britannico non è un progetto arrivato in fretta o dal nulla, ma il risultato di una cultura e del lavoro di gruppi di interesse secolari.

Ma il fascino anche simbolico delle grandi marce, dei pellegrinaggi, non è estraneo nemmeno a molti altri luoghi, basti pensare alla moda forse perfino logora ormai del cammino di Compostela. E il fatto che un cammino possa in teoria farsi tutto intero – anche se in pochissimi possono cimentarcisi davvero – attribuisce senza dubbio significato e valore all’infrastruttura anche se l’uso comune riguarda brevi tratti alla volta.

È curioso per certi versi star qui a considerare una meraviglia un percorso pedonale in paesi in cui quelli automobilistici, decisamente più complessi da realizzare, si estendono forse per due ordini di grandezza in più. Ma è proprio la frugalità del camminare, e la sua inutilità per gli scambi commerciali, a rendere oneroso il rapporto tra investimenti necessari e ritorno economico diretto. Almeno fino a che gli effetti sul turismo o sulla salute non diventano molto rilevanti.

Se guardiamo al colossale piano italiano finanziato con il PNRR, i corridoi ciclopedonali hanno un’incidenza ridicola, ed è una mancanza bloccante visto che si tratta di infrastrutture che in assenza di piani nazionali restano tipicamente di competenza di amministrazioni pubbliche locali che difficilmente trovano i soldi per farle.

Non è tutto facile nemmeno nel Regno Unito, dove uno dei problemi è giuridico, perché le aree costiere demaniali sono identificate nel diritto locale dalle coordinate geografiche, che non tengono conto dell’erosione e dell’aumento del livello dei mari, che a volte rendono quella che è ufficialmente la costa in realtà non più esistente o non più praticabile. Così almeno spiega un bell’articolo di Catherine Nixei sull’ultimo Economist di novembre 2024 a cui ho attinto per questa puntata.

In Italia siamo indietro. Perfino nell’Adriatico da San Salvo in su, che è la parte messa meglio, la ciclopedonale s’interrompe in più punti per l’evidente difficoltà di varcare proprietà private o togliere di mezzo edifici incredibilmente costruiti sulla spiaggia, come tra Fano e Torrette di Fano. Avendo io perlustrato tutte le ciclopedonali costiere romagnole, marchigiane e abruzzesi, il blog Derrick energia è una fonte di reportage in materia.

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martedì 3 dicembre 2024

Il rischio finanziario delle reti gas (Puntata 648 in onda il 3/12/24)

Bucarest, piazza della rivoluzione
La scorsa primavera, volendo rinnovare la mia cucina, ho approfittato per sostituire i fornelli a gas con piastre elettriche a induzione, e lo stesso ho fatto con la caldaia a gas, sostituita con un apparecchio elettrico. Questo mi ha permesso di liberarmi della bolletta del gas, di cui, consumando già molto poco, pagavo perlopiù componenti fisse.

Ho preso online tramite il mio fornitore un appuntamento con la società di distribuzione locale, che gestisce rete e contatori, e il giorno previsto si è presentato un addetto che ha chiuso il contatore e ha apposto un sigillo. Tutto qui. Non è stato non dico smontato, ma nemmeno tappato nulla.

L’operazione mi ha ricordato me stesso quando conservo oggetti che in cuor mio so non userò mai più. Lo faccio forse per illudermi di essere eterno, di poter un giorno se mi va ricominciare abitudini o cicli che in realtà si sono chiusi e appartengono a mondi ormai desueti. (Mi viene in mente una canzone struggente dell’ultimo album di Joe Cocker, intitolata Younger, in cui l’io narrante si propone quando sarà più giovane di fare un sacco di cose che ha finora tralasciato).

A proposito: in casa ho perfino riutilizzato una parte delle tubazioni del gas per farci passare filodiffusione per musica. Chi mai, anche se vendessi casa, ristrutturandola penserebbe mai di ripristinare apparecchi a gas mentre pressoché tutte le abitazioni vengono oggi progettate con alimentazione energetica solo elettrica?

L’Europa va verso l’abbattimento del 90% delle emissioni CO2 nel 2040 rispetto al ’90, e a emissioni nette nulle nel 2050. E un’analisi della Commissione europea prevede che nel 2050 useremo oltre il 70% in meno di idrocarburi gassosi rispetto a oggi, anche considerando biogas e idrogeno.

In un podcast-intervista che linko sul blog Derrick Energia, Jan Rosenow di Regulatory Assistance Project, una brillante società di consulenza al settore pubblico con sede a Oxford, nota non per la prima volta il rischio economico legato al fatto che migliaia di chilometri di reti ad alta pressione di gas e milioni di chilometri di reti cittadine sono valutate negli stati patrimoniali delle aziende che le gestiscono come cespiti in grado di produrre reddito ancora a lungo mentre in realtà saranno inutili molto preso. Non solo, in paesi come il nostro si investe ancora in nuove reti, fatte per durare anche 80 anni. A metterci i soldi sono anche fondi pensione che dovrebbero invece fuggire da infrastrutture che rischiano di non valere più nulla molto prima di quando il loro attuale tasso di ammortamento preveda.

Il mio contatore elettronico seminuovo sul pianerottolo, che verosimilmente non servirà mai più, ma forse è perfino ancora teleletto, è lì a testimoniare tutto ciò.

Più tardi smetteremo di investire in, e più tardi gestiremo un deprezzamento accelerato delle reti del gas, peggio sarà per chi si ritroverà coi suoi capitali ivi impiegati quando saranno diventate completamente inutili, dice Rosenow.

Conoscendo come funzionano le cose da noi, è molto probabile che alla fine col cerino in mano resteranno i contribuenti, dopo che chi avrà potuto avrà ceduto le quote a qualche fondo pubblico tipo CDP reti.

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Due interviste a Jan Rosenow di Regulatory Assistance Project: