martedì 28 maggio 2024

Politica industriale "assertiva" (Puntata 624 in onda il 28/5/24)

Antonio Quiros - Ritrato de Don Quijote
Al festival dell’Economia di Trento [2024], che mi sembra sia diventato un po’ troppo simile a qualunque talk show politico almeno nelle parti che ho ascoltato, è intervenuto a lungo in un’intervista il ministro delle imprese e del made in Italy Adolfo Urso parlando della sua idea di politica industriale, che ha definito almeno tre volte “assertiva”.

Un’assertività nella direzione principalmente del protezionismo, mi è sembrato, ma con elementi forse discordanti. Vediamo alcuni passaggi:

  • Sull’industria dell’auto il ministro ha annunciato nuovi incentivi alla rottamazione di auto inquinanti per l’acquisto di modelli più puliti (ibridi ed elettrici), incentivi legati anche all’origine italiana dell’auto (Non solo: anche gli input devono essere il più possibili italiani, come l’acciaio, e quello secondario dei forni elettrici non basta all’industria dell’auto – ha detto il ministro).
  • Anche sugli aiuti alle energie rinnovabili ha lasciato intendere che un elemento discriminante potrebbe essere l’uso di apparecchi fatti in Italia.

Questi due punti non sono molto diversi dal requisito di origine locale previsto nei sussidi del programma americano Inflation Reduction Act, e quindi non si può certo accusare Urso di iniziare lui un processo protezionistico.

Resta il fatto che la compatibilità tra simili norme e gli accordi internazionali sul commercio è quantomeno dubbia, e che esse, mentre forniscono rendite ad aziende locali, costano care ai consumatori (e al bilancio pubblico se basate su sussidi alla capacità produttiva locale). In più, nel lungo termine le aziende sottratte alla competizione internazionale difficilmente hanno gli stimoli per diventare più competitive. Ma torniamo a Urso:

  • Su Energia ha annunciato lo sviluppo del nucleare di “terza generazione avanzata”, di “quarta generazione” e della fusione (quest’ultima nel 2050). Quindi addirittura una partenza di tre famiglie tecnologiche (le prime due peraltro non meglio precisate) che visti i tempi di realizzazione e di vita degli impianti non potrebbero che coesistere. Come dire: da zero a tutto. (Con quali soldi temo sia sottinteso: pubblici).

Ma, sorpresa, è sempre sull’energia che il protezionismo di colpo si sospende. Perché il ministro ha citato il piano italiano di diventare un “hub”, cioè un polo di passaggio ed esportazione, sia di gas che di elettricità. Quindi lo stesso paese che vuole diventare energeticamente autonomo (altro auspicio del ministro) conta sulla disponibilità degli altri paesi a dipendere da lui.

Ora, a mio avviso non c’è dubbio sul fatto che almeno a livello europeo, ma non solo, il sistema energetico sia e sarà caratterizzato da enormi interdipendenze e necessità di sfruttare potenzialità complementari a livello internazionale (si pensi a paesi ricchi di vento e altri ricchi di sole, a chi ha il nucleare e chi grandi capacità di stoccaggio per ora in forma idroelettrica o anche – sebbene con un orizzonte temporale ristretto – a chi ha maggior accesso a corridoi di importazione del gas).

Proprio per questo ciò che non mi convince nella politica “assertiva” del ministro è che si basa sulla convinzione che si possa limitare l’import senza danneggiare l’export. Non funziona così. Il protezionismo genera reazioni protezionistiche di chi oggi compra le nostre cose e rende più costosi gli input della nostra manifattura. Cioè danneggia l’export. E danneggia i consumatori, condannati a pagare di più per approvvigionarsi dai nuovi oligopolisti locali.

martedì 21 maggio 2024

Blade runners (Puntata 623 in onda il 21/5/24)

Pala eolica mancante
Chi ha rubato la pala?
La potenza di una turbina eolica è proporzionale al quadrato della lunghezza delle sue pale. Per questo si tende a costruire rotori eolici per la produzione elettrica di dimensioni sempre maggiori. Qualche anno fa sarebbe stato impensabile che un singolo generatore potesse avere una potenza di 15 MW, come avviene ora con le taglie più grandi disponibili sul mercato.

Un articolo dell’Economist (link sotto) di metà maggio intitolato “Blade runners” (ah-ha) si dedica al trasporto delle pale dal sito di produzione a quello di funzionamento, dove le pale vengono issate sul rotore. Non un lavoro facile quando la loro lunghezza raggiunge perfino i 100 metri o più, tant’è che gli impianti a terra più grossi tipicamente vengono realizzati in prossimità dei porti.

Alla ricerca di soluzioni stanno lavorando diverse nuove aziende di cui parla l’articolo. Premessa: fare pale pieghevoli non sembra un’opzione a causa dell’aumento di peso e perdita di efficienza dovuto ai giunti (curioso che nel mondo dell’aeronautica civile invece la soluzione è presa in considerazione per permettere a futuri aerei ad ala lunghissima – più efficienti - di usare gli aeroporti attuali senza urtarne i manufatti).

Quali soluzioni allora? Già oggi si usano camion in grado di orientare in modo dinamico il carico di pale in modo da permettere loro di adattarsi meglio alla geometria delle strade attraversate. Ma anche, più radicalmente, dirigibili porta-pale, o aerei cargo con stiva di dimensioni multiple di quelle del 747 Jumbo Jet.

E se le pale giganti non riescono proprio ad arrivare al sito dove ruoteranno, potrebbero essere prodotte sul sito stesso con adeguate stampanti 3D (altra startup).

Circa il 7%, sempre secondo l’Economist, è la quota di spesa in conto capitale che se ne va in media in trasporto del materiale in un’impresa di produzione di energia eolica.

Visto che sono già in mare, sembrano avvantaggiati i siti offshore, che però per la loro remotezza e complicazioni di ancoraggio e connessione sono al momento complessivamente più costosi di quelli a terra.

L’energia eolica è insieme a quella solare la più economica del mondo, malgrado le sue sfide logistiche non indifferenti. Aspettiamoci quindi sempre più convogli veramente eccezionali sulle nostre strade, mari, e magari cieli.


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martedì 14 maggio 2024

Sanzioni all'energia russa - Aggiornamento (Puntata 622 in onda il 14/5/24)

Trasporto di GPL a Fez
L’Europa importa oggi circa un terzo in meno di gas via tubo dalla Russia rispetto a prima della guerra, l’Italia meno di un quinto, e di certo i ricavi stellari che la Russia ne traeva poco dopo l’invasione dell’Ucraina sono ormai solo un ricordo grazie ai volumi ridotti e soprattutto ai prezzi tornati a livelli oltre 10 volte più bassi del massimo storico dell’estate 2022.

Secondo un articolo dell’Economist di inizio maggio 2024 (link sotto) sono incerte anche le prospettive future delle esportazioni russe di gas via tubo verso l’Asia. Sarebbe in stallo infatti la cooperazione tra Cina e Russia per il finanziamento e la costruzione del gasdotto “Power of Siberia 2” che dovrebbe collegare con la Cina  i giacimenti siberiani occidentali che ora servono l’Europa. L’Economist fa notare che se le previsioni a breve di consumo di gas in Asia sono in netto aumento, è difficile prevedere flussi sufficienti nel più lungo termine necessario ad ammortizzare qualsiasi metanodotto.

Resta florido però complessivamente il business dell’energia russa oggi. Compreso quello del gas via nave, che arriva anche in Europa in parte vanificando il ridotto transito via tubo (varie fonti parlano di oltre 20 miliardi di m3 nel 2023, oltre un terzo in più dell’anno prima). Gas di cui peraltro solo una parte viene consumato nel nostro continente, partendo la restante verso l’Asia con altre navi. Secondo un articolo di Politico del 6 maggio 2024 questo ruolo dell’Europa (in particolare la Spagna) nel transhipping di gas russo verso l’Est è cruciale per la Russia perché l’alternativa sarebbe usare gasiere rompighiaccio sulle rotte artiche, navi di cui per ora non ci sarebbe sufficiente disponibilità. Per interrompere questo ruolo dell’Europa hub del GNL russo, scrive sempre Politico, l’UE sarebbe in procinto di introdurre finalmente sanzioni sulla riesportazione ma non sul consumo europeo di gas liquefatto.

Riuscirà questo a ridurre il valore delle esportazioni energetiche russe complessive? Per ora, come abbiamo visto in precedenti puntate, le sanzioni in forma di price cap al petrolio russo hanno funzionato solo parzialmente, anche perché da Paesi che non le applicano, tra cui India, Cina e Singapore, l’Europa compra prodotti petroliferi raffinati quindi di nuovo usufruendo, seppure indirettamente, di energia russa.

Come altre volte ho notato in questa rubrica, mi sembra triste che l’Europa non usi tutte le possibilità di limitare il finanziamento all’invasione dell’Ucraina tramite acquisti di energia. Vedremo se almeno verrà deciso di evitare il mero transito di gas liquefatto. 

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