domenica 2 marzo 2025

DDL delega nucleare (Puntata 661 in onda il 4/3/25)

Il 28 febbraio [2025], insieme al decreto per abbassare le bollette dell’energia, il consiglio dei ministri ha licenziato una proposta di legge delega con la quale il Parlamento dovrebbe dare il via alla nuova stagione di energia nucleare in Italia. Vediamo cosa sa c’è nel testo nella versione circolata immediatamente dopo il Consiglio (passibile di modifiche prima di approdare alle Camere).

Si parla di “nucleare sostenibile” non solo in termini di generazione di energia, ma anche di produzione di idrogeno, smantellamento delle vecchie centrali – da tempo presidiato da Sogin – gestione delle scorie, ricerca. Per capire cosa voglia dire “nucleare sostenibile” torna utile l’articolo 3 1 b), che parla di perseguimento di sostenibilità ambientale, sociale ed economica. Quest’ultima resta al momento velleitaria, visto che sia sulla base delle stime dell’Agenzia Internazionale dell’Energia sia soprattutto dell’esperienza con gli impianti recentemente costruiti il nucleare è lontano dall’economicità di solare ed eolico, a meno che non si consideri il prolungamento della vita di impianti con costi già perlopiù ammortizzati. Il ministro Pichetto Fratin alcuni mesi fa (sotto c’è il link alla puntata in cui ne parlammo) in Parlamento fece una stima di costi molto promettenti ma senza alcuna spiegazione di come fossero calcolati, e il Governo non ha più fornito che io sappia dati sulle ipotesi e sulle fonti.

Anche il processo autorizzativo degli impianti naturalmente dovrà essere regolato dalle norme che il Parlamento delegherà il Governo a predisporre sulla base di questa proposta di legge delega. L’articolo 3 1 alle lettere f) e g) prevede un titolo abilitativo unico che sostituisce qualunque altro permesso tranne la valutazione di impatto ambientale. Sembrerebbe un approccio molto centralizzato, ma la successiva lettera u) concede che le norme dovranno individuare i casi in cui le Regioni abbiano il diritto di dire la loro attraverso la Conferenza Unificata, nel rispetto, dice il testo, del “principio di leale collaborazione”. Detto in un Paese in cui è capitato più di una volta che Regioni si ammutinassero con blocchi totali dei processi autorizzativi per ben più innocui impianti da fonti rinnovabili, qui si nota molto ottimismo o, a seconda dell’interpretazione, velleitario dirigismo. Viene in soccorso però un altro passaggio che prevede campagne di informazione sull’energia nucleare e, alla lettera z), procedure di consultazione dei territori interessati. Peccato che le stesse campagne non si vedano mi pare dai tempi dello shock del 2022 su cose molto più a portata di mano, come il fotovoltaico plug-in, le comunità energetiche, l’efficienza. Ma non ho la tivù e potrei sbagliarmi, grazie in anticipo di correzioni su questo e altro.

Pochi giorni fa il Corriere della Sera ha divertito molti con l’intervista a Salvatore Majorana, direttore del “Kilometro rosso”, un centro di innovazione vicino a Bergamo, che prevede microreattori dolci (parole sue, almeno secondo Federico Fubini che firma il pezzo) privi di qualunque scoria, da mettere anche in auto o in casa. Chissà se con simili reattori sarà ancora necessaria qualunque autorizzazione. A pensarci bene non so se mi preoccupa di più un impianto industriale presidiato, o la prospettiva che il mio vicino di pianerottolo s’imbottisca di reattori portatili dentro casa.

Ma torniamo alla bozza di legge delega. Un punto che ho trovato inquietante è quello dell’art, 2 comma 1 lettera o) quando ci si riferisce all’eventualità  - non all’obbligo - di istituire un’Autorità per la sicurezza nucleare. In Francia, Paese di solito chiamato a modello nel settore e che ha una flotta di centrali perlopiù anziane di cui è difficile dire come verrà finanziato il rinnovamento o la dismissione, garantisce la sicurezza appunto grazie a un’Autorità indipendente che ha il potere di fermare una centrale al minimo dubbio sulla sicurezza, a costo di causare ingenti danni economici all’azienda energetica partecipata dallo stesso Governo che quegli impianti li costruisce e gestisce.

Speriamo che nel nostro Parlamento la maggioranza se lo ricordi quando metterà mano a questo testo.

Questo articolo si può ascoltare qui.


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sabato 22 febbraio 2025

Non bastano le nuove tecnologie (Puntata 659 in onda il 18/2/25)

Meno di due mesi fa guidavo uno scooter nella fiumana del traffico lento e impressionante di Ho Chi Min city, Vietnam meridionale, e passavo dalla sensazione d’insicurezza in mezzo a tutto quel casino al fatalismo sul fatto che seguire il flusso non fosse poi così difficile malgrado l’orda di clacson provenienti da ogni direzione.

Mi godevo l’aria calda e relativamente secca del dicembre vietnamita ma purtroppo respiravo anche chissà quanto inquinamento. Già, perché quei milioni di scooter strombazzanti e occupati perlopiù da giovani in maglietta erano pressoché tutti a combustione, manco fossimo a Roma. Non troppi giorni prima invece ero in Cina, dove i motorini con motore tradizionale sono ormai una rarità e credo proprio del tutto banditi dalle principali metropoli.

Ma torniamo a oggi. È sabato (mi riduco sempre al weekend per fare Derrick, mannaggia a me) e ho letto poco fa sull’ultimo Economist un articolo su come i produttori di auto cinesi si preparino in risposta ai dazi statunitensi a esportare ancora di più tra l’altro in Russia, Europa (altri dazi permettendo) e resto del SudEst asiatico. Ma quante delle auto cinesi complessivamente esportate sono elettriche? Circa un quarto, scrive l’Economist.

Insomma, quel che avevo notato con gli scooter, vale anche con le auto: il leader mondiale dell’auto elettrica (che intende rimanerlo e ha massicciamente investito per questo) esporta per ora soprattutto auto a combustione anche poco fuori dai propri confini. Così com’è vero che la Cina, che installa recentemente ogni anno sul suo territorio la maggioranza assoluta della capacità di produrre elettricità verde del mondo intero, mantiene la stessa leadership con le centrali a carbone.

La disponibilità di tecnologie avanzate – in questo caso rispetto alla sostenibilità ambientale – come si vede non comporta automaticamente la dismissione accelerata di quelle arretrate. Troviamo esempi anche da noi: anche a causa di folli sussidi di retroguardia, oggi in Italia gli stessi produttori di pompe di calore elettriche, più efficienti e pulite, vendono e promuovono ancora le caldaie a gas.

Un paper dell’economista Hans Verner Sinn una quindicina d’anni fa mostrò come la consapevolezza di norme future più stringenti in termini di tassazione delle emissioni di CO2 renda razionale per le imprese petrolifere accelerare, anticipandola, l’estrazione di idrocarburi.

Comportamenti economicamente sensati: fare soldi finché si può con prodotti già sviluppati, in attesa che quelli nuovi coprano tutto il mercato.

Le strategie intertemporali (razionali) dei soggetti economici dunque possono portare a risultati indesiderabili rispetto alle politiche, se queste ultime non sono abbastanza furbe da anticiparle. Restando sulla tassazione delle emissioni dannose, economisti come la star dell’MIT Daron Acemouglu sostengono che essa non basti a innescare una transizione rapida ed efficiente senza la compresenza di altre norme più impositive, per esempio standard tecnologici ambientali.

Il messaggio al legislatore è: se stai incentivando tecnologie future perché ne ritieni urgente l’adozione, forse dovresti anche pianificare l’uscita da quelle vecchie. Il perseverare anche in Italia di incentivi alle fonti fossili di energia, stabilmente più alti che a quelle verdi, non va in questa direzione.

Questa puntata si può ascoltare qui.

domenica 9 febbraio 2025

Il gas nell'era del protezionismo (Puntata 658 in onda l'11/2/25)

Torniamo a parlare di gas, perché nella prima settimana di febbraio 2025 sono state scritte e fatte cose rilevanti in materia. Intanto c’è Trump, che minaccia il mondo di dazi e nello stesso tempo si prepara a esportare più gas e petrolio, evidentemente senza considerare serio il rischio di contromosse a loro volta protezioniste dai Paesi colpiti (oppure solo per sondarne le reazioni e poi effettivamente decidere il da farsi). Nel caso della Cina una prima tranche di dazi è stata introdotta, e la reazione di Pechino ha visto nei giorni precedenti, saggi consigli da Xi Jinping a Trump in cui lo si invitava a tenere conto che i dazi fanno male a tutti, inclusi (anzi, spesso: soprattutto) coloro che li iniziano. Poi, a dazi introdotti, una reazione proprio sull’import cinese di idrocarburi statunitensi. Una mossa che probabilmente Pechino si può permettere perché non aderendo alle sanzioni al petrolio russo beneficia di prezzi scontati su questa fonte.

Il nostro ministro Urso in tutto questo ha dichiarato che “dovremmo guardare con attenzione al gas americano” e direi che stiamo già facendo di più: lo stiamo acquistando per alimentare i nuovi porti per le navi metaniere. In uno scenario però apparentemente contraddittorio in cui da un lato questi porti in Europa così come la capacità di trasporto via nave sono sottoutilizzati, dall’altro i prezzi del gas salgono. Un eccesso di capacità infrastrutturale a fronte invece di una relativa scarsità di gas.

Questo eccesso di capacità riguarda l’Europa in generale, malgrado nel 2024 si sia interrotta la tendenza di riduzione dei consumi. Anche in Germania solo una frazione minima del gas, rispetto al potenziale, è arrivata attraverso i nuovi rigassificatori galleggianti nel 2024. I contribuenti o pagatori di bollette tedeschi almeno possono consolarsi per il fatto che quelle navi-rigassificatrici sono state noleggiate, mentre la nostra attraccata a Piombino e l’altra di Ravenna le abbiamo, ahinoi, comprate.

Tra le analisi sull’eccesso di capacità di trasporto e ricezione di gas liquefatto segnalo rispettivamente Sissi Bellomo sul Sole 24 Ore del 1/2/25 e lo studio IEEFA pubblicato pochi giorni prima (link sotto).

Ma la situazione potrebbe diventare ancora più estrema se si avverasse uno scenario che di colpo sembra meno remoto rispetto a solo poche settimane fa: una riapertura dei flussi via tubo dalla Russia via Ucraina dopo la chiusura totale a inizio anno. Un’ipotesi considerata non da autori di fantapolitica ma dall’executive vice president di Equinor, la società petrolifera norvegese, in un’intervista a Laurence Walker di Montel del 5/2/25. Se si arrivasse a un armistizio, dice Irene Rummelhoff, è ragionevole che riprenderemmo a usare i tubi via Ucraina per 27 miliardi di metri cubi all’anno di gas russo verso l’Europa, il che spiazzerebbe ancor più quello liquefatto.

Si tratta di una prospettiva verosimile? Non lo so. Quel che, forse acrobaticamente, osservo è che con un Trump che si disimpegna nell’aiuto militare all’Ucraina e colpisce l’Europa coi dazi usare la leva del gas con Putin da parte dell’Europa potrebbe da un lato compensare la minor forza militare senza gli USA, dall’altro reagire ai dazi americani colpendo il gas del golfo del Messico, pardon: d’America.


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martedì 4 febbraio 2025

Autoproduzione domestica di energia - intervista a Enrico Palmieri (Puntata 657 in onda il 4/2/25)

Torna su Derrick un’intervista a persone che trasformano le proprie case in luoghi di autoproduzione di energia solare con vantaggi per l’ambiente e il portafogli.

In questa puntata tocca a Enrico Palmieri, commercialista marchigiano che ringrazio per la sua testimonianza.

L’intervista è qui

martedì 28 gennaio 2025

Michele Governatori alle radio (Puntate 655-6 in onda il 21 e 28/1/25)



Qualche volta Michele Governatori appare anche in radio diverse da Radio Radicale. È successo più volte nel gennaio 2025, il 17 con un’intervista per Radio RAI 3 nella rubrica Tutta la città ne parla condotta da Pietro del Soldà, di cui qui c’è una sintesi in cui Del Soldà fa una domanda sull’energia nucleare prima a Davide Tabarelli e poi a Michele Governatori.

Il 23 gennaio è stata la volta di Radio Vaticana, nella rubrica Il mondo alla radio condotta da Alessandro Guarasci. Si parla del report Ember sulle fonti di energia rinnovabile in Europa con dati aggiornati al 2024. Audio qui.

Il 25 gennaio in diretta a Radio 24 una bella conversazione con la conduttrice Laura Bettini di Si può fare sempre sui trend energetici europei, e non solo. Ascoltabile nel podcast della radio qui dal minuto 23 circa.

Il 26 gennaio di nuovo su Radio Rai, primo canale, con Sonia Filippazzi nella sua L’aria che respiri. L’intervento non era in diretta ed è stato montato in modo non sempre lineare, ed è – grande onore – introdotto e chiuso da frammenti di La genesi di Francesco Guccini. La puntata si può ascoltare (almeno per un po’) qui (dal minuto 9).

martedì 14 gennaio 2025

A piedi dall'aeroporto: il caso Paphos, Cipro (Puntata 654 in onda il 14/1/25)


Dopo averci provato a Fiumicino e Zurigo, ho tentato la fuga a piedi dall'aeroporto Paphos, cipro Occidentale.

È andata bene grazie a un sentiero sul mare realizzato nell'ambito del programma UE di percorsi pedonali di lunga distanza e classificato come E4, che va dalla Spagna a Cipro e su cui ci sono informazioni qui.

Un blogger che ne ha percorso decisamente più chilometri di me ne parla qui.

Ecco il link alla mia puntata audio con il racconto: https://youtu.be/S961Mx38SUo?si=STukmKl4jelDL--R

Il punto di uscita dal perimetro aeroportuale







Un video da una delle spiagge del percorso: https://youtu.be/4YTYMSVv9MM?si=-3ALGm9K9UGdkF_h 

lunedì 6 gennaio 2025

Aumento del prezzo del gas a inizio 2025 (Puntata 653 in onda il 7/1/25)

Veduta di Xishuangbanna, Yunan, Cina
Un aumento dei prezzi del gas successivo alla chiusura del transito di gas russo in Ucraina ha riacceso le discussioni in materia.

Come al solito, le soluzioni invocate tendono a guardare inutilmente lontano (un nucleare che in italia non vedremmo prima di 15 anni e a costi proibitivi) oppure alla sindrome di Stoccolma (legarci ancora di più al gas ed esporci così ai danni anche delle prossime crisi) anziché guardare alle tendenze positive già in atto e da incoraggiare (boom delle rinnovabili anche senza incentivi e delle batterie per la sicurezza di fornitura elettrica). Ringrazio Duccio Facchini, direttore di Altreconomia, per aver ospitato il contributo che segue. Sul sito di Altreconomia e di Derrick Energia link al testo.

Ho sempre trovato inquietante che i due paesi in guerra commerciassero in servizi di transito del gas come niente fosse, e credo che la chiusura del transito del gas russo in Ucraina sia opportuna, come lo sarebbe estendere al gas le sanzioni europee applicate al petrolio russo.

L’effettiva fine del transito è stata confermata relativamente all’ultimo, e quindi non mi stupisce che stia avendo effetto sui prezzi (ma i 50 € al MWh attuali sono ben lontani dai picchi di oltre 300 del 2022). Già in tempi non sospetti con il Think Tank ECCO abbiamo evidenziato il rischio che questo inverno portasse di nuovo a bollette elevate (così come avevamo previsto la repentina discesa dopo i momenti più aspri della crisi, trainata dal calo dei consumi di gas). È comunque vero quel che ha detto il ministro Fratin: con gli stoccaggi quasi pieni, è verosimile che in assenza di altri eventi avversi il prezzo attuale sia già il picco più alto dell’inverno in corso.

Riguardo alle soluzioni per abbassare la bolletta, non credo sia utile stigmatizzare la speculazione dei mercati futures (che sono naturalmente volatili e servono proprio ad anticipare potenziali scarsità o eccedenze future del prodotto contrattualizzato) anche se, certo, è importante vigilare contro abusi. Nemmeno credo che un price cap sarebbe una soluzione efficiente, perché a seconda di come lo si realizza può semplicemente spostare il costo su qualcun altro rispetto al consumatore, o produrre rendite indesiderate, o ancora portare a forme di razionamento più indesiderabili rispetto a un prezzo temporaneamente alto. È quest’ultimo l’effetto descritto da Manzoni nei Promessi Sposi sulla farina: se si impone un prezzo politico del pane che ignora una scarsità oggettiva della materia prima, i forni restano vuoti. Ma anche senza scomodare Manzoni, abbiamo visto come il price cap spagnolo, per esempio, abbia portato i contribuenti iberici a pagare per esportare in Francia elettricità da gas a prezzo politico durante periodi di scarsa disponibilità del nucleare francese. Un effetto non desiderabile per gli spagnoli.

Quel che credo invece serva è mettere urgentemente i consumatori di elettricità nelle condizioni di non pagare il costo del gas se accedono a offerte 100% rinnovabili, cosa che purtroppo non è ancora possibile. Come ECCO ha proposto durante l’ultima audizione ARERA, è urgente che i consumatori elettrici possano approvvigionarsi con contratti che escludano l’uso del gas anche per bilanciare i propri consumi, per esempio con accumuli dedicati alla propria fornitura. In altri termini: se a un cliente va bene continuare a esporsi alle crisi del gas – per esempio perché installa di nuovo una caldaia a gas in fase di ristrutturazione o perché compra elettricità generica – se ne assume le conseguenze. Ma chi vuole proteggersi dalla prossima crisi del gas e ha elettrificato ed efficientato i propri consumi e desidera accedere a contratti di fornitura elettrica da sole rinnovabili è incomprensibile che non sia messo nelle condizioni di emanciparsi completamente dal prezzo del gas a meno di staccarsi dalla rete (che è una soluzione irrazionale perché troppo costosa).

Riguardo al prezzo futuro: tornerà a scendere rispetto all’attuale, ma non ai livelli precedenti la crisi, perché il gas liquefatto che arriva da nave costa di più del gas da tubo. Inoltre, il prezzo continuerà a essere volatile e quindi pericoloso e avrà una componente di costi fissi sempre più alta per ripagare l’inutile infrastruttura che abbiamo costruito malgrado la riduzione strutturale dei consumi.

In termini di fonti, dalla dipendenza dalla Russia siamo passati almeno in parte a quella dagli Stati Uniti, ormai principale esportatore mondiale, che di fatto hanno un ruolo crescente di price maker grazie alle decisioni unilaterali riguardo alla capacità di liquefazione che renderanno (o non renderanno) disponibile nel mar dei Caraibi. Abbiamo visto questo effetto già con la presidenza Biden, e non c’è da aspettarsi miglioramenti con le politiche protezionistiche annunciate da Trump.

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