Premessa
Questo testo è un’introduzione per non tecnici ad alcuni aspetti
tecnico-economici della generazione elettrica nucleare, e rientra nell’obiettivo
divulgativo e di contributo alla discussione di questo blog. Altrove nel blog
stesso si trovano puntate più approfondite su singoli aspetti dell’argomento, con
link a risorse esterne e interventi di esperti. Appaiono tutte insieme cliccando
qui.
Fonti elettriche senza emissioni-serra, obiettivi UE e
Italia, ruolo del nucleare
In coerenza con gli obiettivi della COP di Parigi (massimo +2° di aumento della temperatura globale rispetto all’era preindustriale, preferibilmente massimo +1,5°), la Commissione UE ha proposto nel 2020, con il Green Deal, un target al 2030 di -55% di emissioni-serra rispetto al ’90 e neutralità climatica (cioè emissioni nette nulle) al 2050. Secondo l'IPCC (l'agenzia ONU sul clima) a livello globale la riduzione da operare entro il 2030 è di -43% rispetto al 2019.
Il piano RePower EU di emancipazione dal gas incrementa ulteriormente l’ambizione UE, ma già il PNIEC italiano, pur non ancora aggiornato al green deal nell'estate 2022, prevede molta più capacità da fonti rinnovabili al 2030 di quella verso la quale ci stiamo dirigendo sulla base del ritmo delle attuali realizzazioni. Riguardo ai consumi elettrici, oggi produciamo meno del 40% da fonti rinnovabili mentre il PNIEC prevede il 55% al 2030 e i nuovi obiettivi implicano, secondo il governo, oltre il 70% al 2030 al netto dell’ulteriore sforzo necessario per emanciparci dal gas russo.
Di conseguenza, le questioni di politica energetica
rilevanti da qui al 2030 sulla base dei piani già decisi riguardano come
realizzare le fonti rinnovabili e le tecnologie adatte ad accompagnarle più
velocemente possibile. Si tratta di questioni non solo di breve periodo, ma
urgenti, che richiedono tecnologie oggi commercialmente ed economicamente
disponibili.
In una prospettiva 2050 e successiva, invece, sia la IEA (l'agenzia per l’energia dell’OCSE) sia altre fonti indicano una quota di nucleare (anche nuovo) presente in un mix ottimale di energia decarbonizzata. Secondo uno scenario della Commissione UE del 2018 la quota di generazione elettrica nucleare nel 2050 dovrebbe essere del 18% (oggi è nell'UE circa il 25% e nel mondo circa il 10%, in calo costante - anche in termini assoluti - dal 1995).
Impianti nucleari nel mondo
Il numero degli impianti attivi si è stabilizzato negli anni '90 per poi ridursi successivamente, mentre la quota di energia nucleare rispetto al totale dei consumi nel mondo è da allora in declino in conseguenza dell'aumento dei consumi elettrici.Il picco di costruzione di nuovi impianti è avvenuto alla fine degli anni '70.
Nell'immagine tratta dal World Nuclear Industry Status Report 2023 sono indicati per anno i nuovi impianti attivati e quelli dismessi, con evidenza delle attivazioni in Cina.
Struttura dei costi del nucleare
Un impianto elettrico termonucleare della tecnologia recente più diffusa in Europa (EPR) ha costi fissi molto elevati (si veda più sotto) e costi
variabili relativamente ridotti e relativi perlopiù all'approvvigionamento di materiale
fissile (che per il nucleare di oggi il "combustibile" pesa attorno al 5% dei costi complessivi) almeno se si ignorano (come normalmente si fa, attribuendoli alle
future generazioni) i costi della gestione delle scorie.
Costi (e vantaggi) "esterni" del nucleare
I costi esterni, o esternalità, sono quei costi o vantaggi di cui il mercato non tiene conto ma che è sensato considerare per massimizzare il vantaggio sociale delle scelte economiche. L'energia nucleare ha il pregio di non emettere gas-serra né inquinanti locali, che sono responsabili rispettivamente dei cambiamenti climatici e di danni alla salute che in Italia sono particolarmente severi (oltre 50 mila morti premature all'anno per scarsa qualità dell'aria secondo l'Agenzia Europea per l'Ambiente).
I benefici climatici della produzione elettrica da fonte nucleare sono oggi "internalizzati" (cioè fatti emergere) nella remunerazione dell'energia grazie al sistema del pagamento dei permessi ad emettere CO2 (ETS), che beneficia tutte le fonti a basse emissioni-serra (inclusi quindi rinnovabili e nucleare che non ne hanno affatto) attribuendo loro un vantaggio di costo rispetto agli impianti con emissioni-serra maggiori.
Tra i costi esterni più rilevanti del nucleare ci sono quelli (enormi) dello smantellamento a fine vita (si veda sotto) e del rischio non assicurabile di incidenti.
Costi e tempi di realizzazione dell'attuale tecnologia nucleare
L’impianto EPR ultimato in Finlandia a inizio 2022 e altri due in
costruzione in Europa mostrano costi e tempi di realizzazione proibitivi, dovuti
anche al fatto che nei Paesi democratici operano agenzie per la
sicurezza nucleare indipendenti dai Governi e
che si applicano forme di accountability o sistemi di mercato che rendono difficile socializzare i costi in modo dirigistico. Anche per questo i
nuovi impianti nucleari nel mondo si fanno prevalentemente in Paesi con regimi
autoritari, con le eccezioni importanti della Francia il cui Governo ha annunciato nuovi reattori dell'attuale generazione (EPR) entro il 2035 (ma dove solo uno è in lentissima costruzione - si veda poco sotto - e molti sono a fine vita), del Giappone, della Corea del Sud e della Finlandia.
L’impianto più recente entrato in servizio in Europa (Finlandia)
nel gennaio 2022 (Olkiluoto 3) è un’unità di 1600 MW la cui realizzazione è
costata 11 miliardi di Euro (circa 10 volte più di centrali a gas per pari
potenza e 5 volte di più di parchi eolici onshore per pari potenza in
Italia) e 16 anni di lavori dall’inizio della costruzione (non della
progettazione).
Ritardi anch’essi superiori ai 10 anni sta sperimentando
l’impianto di Flamanville, in Normandia.
Un confronto del professore di Oxford Bent Flyvbjerg in un database di migliaia di progetti complessi mostra (immagine) che gli impianti di trattamento di scorie nucleari e di produzione elettrica nucleare occupano due dei primi tre posti (insieme alla realizzazione delle infrastrutture per accogliere le olimpiadi) in termini di sforamento medio del budget previsto inizialmente (mentre gli impianti fotovoltaici - grazie alla loro semplicità d'assemblaggio - sono all'ultimo posto).
Un articolo di aprile 2022 di Marco Dell'Aguzzo su Start Magazine sui sussidi pubblici al nucleare americano è qui, un altro più recente di Simone Cosimi su Esquire qui.
Tempi e costi di costruzione di recenti impianti termonucleari per produzione di elettricità (V. Faudon, 2022) |
Costi medi comparati di produzione dell’energia
Il “LCOE” è la misura oggi generalmente adottata per
computare i costi medi dell’elettricità prodotta dalle diverse tecnologie in
modo che sia confrontabile (in pratica, questo indicatore spalma i costi fissi
sulla produzione di tutta la vita utile degli impianti e li aggiunge ai costi variabili).
È evidente che i costi anche a parità di tecnologia
dipendono da vari aspetti specifici di un impianto (la dimensione, la
disponibilità di fonte naturale se si tratta di un impianto rinnovabile) oltre
che da variabili economiche esterne (per le fossili, dipendono per esempio
dalle politiche di disincentivo alle emissioni-serra, per tutti dipendono dal tasso
di sconto) e che gli stessi costi sono soggetti a evoluzione insieme alle
tecnologie. Non c’è dubbio che il trend degli ultimi decenni abbia visto
una riduzione dei costi soprattutto nella generazione da fonti rinnovabili,
rendendo il fotovoltaico oggi la fonte in media più competitiva nel mondo.
Uno studio
del 2020 di IEA e NEA (le agenzie rispettivamente per l’energia e per l’energia
nucleare dell’OCSE) suddivide per area del mondo e per tecnologia i costi così:
Secondo questi numeri, fatti con un’ipotesi di costo del capitale
del 7%, il valore mediano del costo medio dell’elettricità da nucleare è sempre
più alto di quello da fotovoltaico e da eolico su terra, tranne che in Giappone,
dove le rinnovabili hanno costi maggiori a causa soprattutto di minore
potenziale.
Cosa diversa sono i costi del mero prolungamento della vita di centrali nucleari esistenti, che in Europa hanno in media circa 35 anni di vita (ancora di più negli Stati Uniti d'America) e che pur essendo progettati in media per una quarantina d'anni di vita utile hanno dimostrato di poterla prolungare in sicurezza con interventi relativamente ridotti. Secondo la IEA, il prolungamento di vita delle centrali nucleari esistenti è uno dei modi più economici di assicurare energia senza emissioni di CO2, paragonabile a quello del nuovo fotovoltaico.
Costi di dismissione di impianti nucleari
La dismissione di impianti di generazione elettrica nucleare è resa complicata e costosissima dalla gestione del materiale radioattivo, che include parte delle macchine e delle strutture che vengono irraggiate durante il funzionamento. Sforzi tecnici e organizzativi talmente vasti e critici che anche nelle economie di mercato finiscono per essere socializzati.
Avere un parco centrali da dismettere è un problema economico di dimensioni rilevantissime per la Francia, per esempio, che fino a oggi ha perlopiù procrastinato la questione allungando il più possibile la vita utile degli impianti. Il rilevante parco nucleare a fine vita della Francia corrisponde a tutti gli effetti a un debito nazionale prossimo alla scadenza.
Un articolo del Guardian sui costi proibitivi della dismissione delle centrali a fine vita in UK è qui.
Secondo uno studio della Università Tecnologica di Berlino citato alla presentazione dell'edizione 2023 del World Nuclear Industry Status Report, i costi recenti di dismissione di impianti in Germania e Italia si sono assestati tra i 5 e i 12 $ al MWh prodotto nella vita dell'impianto.
In Italia lo smaltimento delle quattro perlopiù piccole centrali in servizio al momento del referendum del 1987 è risultato lento e oneroso. Costerà almeno una ventina di miliardi e a 35 anni dal referendum è lontano dall'essere concluso ed è a carico delle bollette elettriche (ma nel 2022 nell'ambito delle misure di contenimento delle bollette questa e altre componenti di oneri sono stati temporaneamente trasferite sulla fiscalità generale).
In Spagna, dove il governo a fine 2023 ha confermato la chiusura di tutti i reattori esistenti entro il 2035, la spesa per la dismissione è stimata in oltre 20 miliardi di Euro, in questo caso pagati da un fondo alimentato dagli operatori degli impianti.
Le scorie verranno temporaneamente stoccate negli stessi siti in attesa di un deposito nazionale di lungo periodo che a fine 2023 la politica non aveva ancora nemmeno localizzato.
Mancata attitudine del nucleare a compensare l’intermittenza delle fonti rinnovabili
Gli impianti termonucleari sono inadatti a modulare la produzione, cioè a modificarla rapidamente sulla base del fabbisogno al netto della produzione da fonti rinnovabili.
Infatti i reattori a fissione, anche se la
reazione primaria viene interrotta, continuano a produrre calore a lungo (calore che dev’essere smaltito per non danneggiare
il nocciolo, con dispendio di energia). Inoltre, le procedure di transizione
tra diversi livelli di potenza sono più complesse rispetto a quelle
di qualunque tecnologia programmabile di generazione elettrica.
Infine, i costi fissi altissimi di un impianto termonucleare
(multipli di quelli di qualunque altra tecnologia) rendono ulteriormente
improponibile, anche sul piano meramente economico, pagare una centrale per
farla funzionare in modo discontinuo. Tale discontinuità di funzionamento, d’altra
parte, è il destino certo di qualunque tecnologia complementare alle fonti rinnovabili,
perché queste ultime sempre più spesso – aumentando la loro penetrazione – serviranno l’intera
domanda in intervalli di tempo via via più lunghi (ma discontinui). Più precisamente: non ha senso parzializzare fonti come eolico e solare che hanno costi variabili nulli per dare la precedenza a una tecnologia con costi variabili positivi.
Ci si riferisce normalmente come domanda residuale al fabbisogno di energia elettrica che residua dopo aver utilizzato tutte le fonti rinnovabili non programmabili disponibili in un dato momento. (Un piccolo video escplicativo sulla domanda residuale è qui). Nei sistemi come quello italiano in cui la capacità da rinnovabili supera la punta di domanda, la domanda residuale si annulla quando c'è sufficiente disponibilità di rinnovabili. Ne consegue che la produzione complementare alle rinnovabili non programmabili dev'essere adatta a spegnersi del tutto per poi riaccendersi nelle ore con meno sole e vento.
Di conseguenza, se come abbiamo visto il nucleare – risolti i problemi di costi, sicurezza e scorie - può essere una fonte efficiente per la produzione senza emissioni-serra di un baseload di energia (cioè di un volume costante di energia), una strategia di lungo termine che include il nucleare ipotizza che la potenza delle rinnovabili installate non superi il picco di domanda elettrica. O, in altri termini, che esista sempre una domanda residuale positiva servibile con il nucleare. Ma una domanda residuale minima positiva da un lato è incompatibile con i piani già avviati di sviluppo delle rinnovabili (perlomeno in gran parte d'Europa), dall’altro già oggi in molti sistemi elettrici non esiste più, per esempio nell’Italia meridionale in estate, dove capitano già da anni ore in cui tutta la domanda elettrica è servita da fonti rinnovabili non programmabili. Se avessimo impianti nucleari lì, nelle ore di sole avremmo un problema di evacuazione dell'energia e saremmo costretti o a buttare sole e vento per non spegnere il nucleare, o a spegnerlo rimandando il rientro nell'investimento nucleare e rendendolo così insostenibile. Casi di nucleare spento a causa della concorrenza delle rinnovabili si sono già realizzati in Spagna all'inizio di marzo 2024.
In altri termini: le reti elettriche interconnesse e sovradimensionate e gli accumuli sono una soluzione al limite di cui sopra, ma aggiungono costi. Costruire un reattore nucleare in una zona con molte rinnovabili implica la disponibilità di evacuazione o di stoccaggio per tutta l'energia che superi in ogni momento la domanda residuale. Un reattore nucleare aggraverebbe quindi le necessità di riconciliazione tra la domanda locale istantanea di energia e la sua produzione.
Una tecnica per eludere la mancata flessibilità della produzione nucleare è l'uso di cogenerazione di calore modulante: costruendo macchine che producano combinatamente elettricità e calore, si può dirigere l'energia sul calore nelle ore di bassa domanda elettrica. La debolezza di questa soluzione sta nel fatto che essa semplicemente sposta il problema sulla flessibilità della domanda di calore. Se è vero che il calore si può conservare più facilmente dell'elettricità, e ci sono aziende che stanno sviluppando soluzioni in questo senso, non è detto che la flessibilità nella sua domanda sia sufficiente a ricevere gli sfridi di produzione di impianti di notevole potenza quali i reattori nucleari, per quanto di taglia più piccola di quelli attuali.
Siamo tornati quindi al punto di partenza: se non è flessibile la produzione di energia, il sistema da qualche parte deve fornire capacità di stoccaggio o modulazione della domanda sulla base delle necessità della produzione.
Scorie
Non esiste al mondo per ora un solo sito per lo stoccaggio definitivo (geologico) di scorie nucleari. Il progetto nordamericano di Yucca Mountain è stato abbandonato per complicazioni, opposizioni e costi. Esistono siti progettati in Europa, il più avanzato dei quali è quello di Onkalo in Finlandia, mentre in Italia nessun governo ha mai avuto il coraggio di proporne uno, benché già commissioni tecniche abbiano identificato un'ubicazione idonea.
Un criterio
di responsabilità forse imporrebbe di avere un
progetto approvato e finanziato per la gestione delle scorie prima di lanciarsi
in impegni su nuova generazione nucleare. Allo stesso modo, un politico che
consideri fattibile l’opzione nucleare nel breve termine dovrebbe avere, oltre a
risposte alle questioni tecniche ed economiche, una proposta per la
realizzazione del sito di smaltimento definitivo delle scorie o almeno un'idea dei costi per accedere a uno di terzi.
Il nucleare e i mercati energetici
Per le dimensioni dei siti e per la dimensione dei danni nel
caso (per quanto rarissimo) di incidente, impianti energetici nucleari sono possibili di
norma solo con supporto e garanzie pubbliche, e il rischio di incidenti è
sostanzialmente non assicurabile.
Se è vero che indipendentemente dal nucleare gli shock
del Covid e della invasione dell’Ucraina stanno portando a un neodirigismo
anche europeo riguardo al settore dell’energia, è anche certamente
vero che il ritorno a investimenti sul nucleare implicherebbe – come è sempre stato
in Francia – una sostanziale socializzazione e politicizzazione dei costi di produzione dell’energia,
con conseguenze che sono fuori dall’area di analisi di questo documento.
In altri termini: dove uno Stato mette soldi o garanzie sul nucleare il prezzo di mercato dell'elettricità è un indicatore meno significativo del suo costo complessivo. La classica affermazione da autobus "L'energia costa poco in Francia grazie al nucleare" è parziale e fuorviante. Una più corretta è: "Il prezzo dell'energia sul mercato francese è basso perché buona parte dei costi per produrla sono stati pagati con le tasse dei francesi" (inclusi quelli per l'energia che importiamo noi italiani beneficiandone).
Fusione nucleare
Una vecchia battuta, riportata di recente dall’Economist,
dice che il nucleare commerciale a fusione è quella cosa che da cinquant’anni
arriva tra trent’anni. In effetti il mondo sta da tempo cercando soluzioni
tecnologiche per reattori a fusione, anche attraverso il programma
internazionale ITER di cui fa parte l’Italia e che comprende un sito di
sperimentazione a Frascati (un approfondimento di Derrick sul tema è qui).
Con il nucleare a fusione si risolverebbe il problema delle scorie legate al combustibile (ma non quello legato alla radioattività di altri materiali irraggiati). Non sappiamo quando questa tecnologia sarà disponibile, ma sappiamo che gli scienziati e i tecnici che ci lavorano misurano il tempo necessario in decenni. L'Italia, in ogni caso, non ha mai stabilito di privarsi della ricerca e di un’opzione in prima fila sul nucleare a fusione.
Gli SMR e il nucleare di "quarta generazione"
Ci si riferisce a reattori SMR (small modular reactor) per identificare reattori di taglia ridotta, più compatti e quindi assemblabili direttamente negli stabilimenti del costruttore con maggiore standardizzazione ed economicità.
Per ora non ci sono impianti commerciali di questo tipo ma esistono produttori (in Europa Rolls Royce, negli USA NuScale Power, in Cina l'azienda nucleare di Stato) che si dicono pronti a iniziarne lo sviluppo.
Un reattore sperimentale SMR di NuScale in Idaho (finanziato con sussidi pubblici) dovrebbe iniziare la produzione nel 2029 secondo la stessa azienda, mentre un accordo con il Governo locale prevede 6 piccoli reattori SMR dello stesso costruttore in Romania secondo l'Economist. La già citata NEA stima a inizio 2022 in circa 50 i reattori SMR attualmente in progettazione nel mondo. Piccoli reattori per la produzione di energia per propulsione sono usati da tempo in navi e sottomarini bellici.
Gli SMR con la tecnologia oggi pronta allo sviluppo commerciale non risolverebbero il problema delle scorie e, se
distribuiti sul territorio, richiederebbero una moltiplicazione dei presidi di
sicurezza (oltre che delle difficoltà di autorizzazione) che potrebbero annullarne i vantaggi di economicità costruttiva. Questo svantaggio, d'altra parte, potrebbe essere mitigato aggregando più reattori nello stesso sito e costruendo quindi sempre grandi impianti, ma modulari.
Un vasto articolo uscito sull'Economist a fine marzo 2022 sui reattori SMR è qui.
Per nucleare di quarta generazione si intendono tecnologie radicalmente evolute rispetto alle attuali (indipendentemente dal formato miniaturizzato o meno) che includono reattori autofertilizzanti, cioè in grado di utilizzare per la reazione isotopi che nei reattori convenzionali andrebbero smaltiti come scorie. Tentativi in questo senso sono già esistiti in passato, in particolare con l'impianto sperimentale di dimensioni industriali di Superphoenix in Francia, partecipato da Enel, poi chiuso nel 1996.
Conclusioni
L'opzione nucleare invece è sensata rispetto al mix energetico di paesi oggi molto indietro o con scarso potenziale in termini di rinnovabili, e - in futuro e se si consolidano tecnologie migliori delle attuali - per quando le fonti rinnovabili installate oggi saranno a fine vita (impianti solari ed eolici non hanno problemi di bonifiche a fine vita a differenza di impianti nucleari e perfino termoelettrici).
Considerare il nucleare una risposta agli obiettivi di decarbonizzazione al 2030 equivale a sviare attenzione e risorse rispetto alle tecnologie oggi disponibili ed efficienti nel breve periodo. In prospettive più lunghe, senza dubbio è utile continuare la ricerca (che non si è mai fermata in Italia) su tecnologie come i reattori autofertilizzanti e quelli a fusione.
Senza considerare l aspetto geologico fell Italia.
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