Elettricità da nucleare in Italia e nel mondo: principali dati e tendenze

Questa pagina è un’introduzione ai temi tecnico-economici della generazione elettrica nucleare.

Altrove nel blog si trovano puntate su singoli aspetti dell’argomento, con link a risorse esterne e interventi di esperti (appaiono tutte insieme cliccando qui).

Ultimo aggiornamento: 2 febbraio 2025

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Fonti elettriche senza emissioni-serra, obiettivi UE e Italia, ruolo del nucleare

In coerenza con gli obiettivi della COP di Parigi (massimo +2° di aumento della temperatura globale rispetto all’era preindustriale, preferibilmente massimo +1,5°), la Commissione UE ha proposto nel 2020, con il Green Deal, un target al 2030 di -55% di emissioni-serra rispetto al ’90 e neutralità climatica (cioè emissioni nette nulle) al 2050. Secondo l'IPCC (l'agenzia ONU sul clima) a livello globale la riduzione da operare entro il 2030 è di -43% rispetto al 2019.

Il piano RePower EU di emancipazione dal gas incrementa ulteriormente l’ambizione UE, ma già il PNIEC italiano, pur non ancora aggiornato al green deal nell'estate 2022, prevede molta più capacità da fonti rinnovabili al 2030 di quella verso la quale ci stiamo dirigendo sulla base del ritmo delle attuali realizzazioni. Riguardo ai consumi elettrici, oggi produciamo in Italia circa il 40% di elettricità da fonti rinnovabili mentre il PNIEC prevede il 55% al 2030 e i nuovi obiettivi implicano, secondo il governo, oltre il 70% al 2030 al netto dell’ulteriore sforzo necessario per emanciparci dal gas russo.

Di conseguenza, le questioni di politica energetica rilevanti da qui al 2030 sulla base dei piani già decisi riguardano come realizzare le fonti rinnovabili e le tecnologie adatte ad accompagnarle più velocemente possibile. Si tratta di questioni non solo di breve periodo, ma urgenti, che richiedono tecnologie oggi commercialmente ed economicamente disponibili.

In una prospettiva 2050 e successiva, invece, sia la IEA (l'agenzia per l’energia dell’OCSE) sia altre fonti indicano una quota di nucleare (anche nuovo) presente in un mix ottimale di energia decarbonizzata. Secondo uno scenario della Commissione UE del 2018 la quota di generazione elettrica nucleare nel 2050 dovrebbe essere nel continente del 18% (oggi è nell'UE circa il 25% e nel mondo circa il 10%, in calo costante - anche in termini assoluti - dal 1995).

Impianti nucleari nel mondo

Il numero degli impianti attivi si è stabilizzato negli anni '90 per poi ridursi successivamente, mentre la quota di energia nucleare rispetto al totale dei consumi nel mondo è da allora in declino in conseguenza dell'aumento dei consumi elettrici.

Il picco di costruzione di nuovi impianti è avvenuto alla fine degli anni '70.

Nell'immagine tratta dal World Nuclear Industry Status Report 2023 sono indicati per anno i nuovi impianti attivati e quelli dismessi, con evidenza delle attivazioni in Cina (a metà del 2024 le centrali in costruzione in Cina sono oltre 25, che si aggiungono alle oltre 50 in attività che coprono oggi il 5% circa del fabbisogno interno, ma con l'obiettivo di arrivare al 18% nel 2060).

Struttura dei costi del nucleare

Un impianto elettrico termonucleare attuale ha costi fissi molto elevati (si veda più sotto) e costi variabili relativamente ridotti e relativi perlopiù all'approvvigionamento di materiale fissile (per il nucleare di oggi il "combustibile" vale attorno al 5% dei costi complessivi) almeno se si ignorano (come normalmente si fa, attribuendoli alle future generazioni) i costi della gestione delle scorie.

Costi e vantaggi "esterni" del nucleare

I costi esterni, o esternalità, sono quei costi o vantaggi di cui il mercato non tiene conto ma che è sensato considerare per massimizzare il benessere sociale dalle transazioni economiche.
L'energia nucleare ha il pregio di non emettere gas-serra né inquinanti locali, che sono responsabili rispettivamente dei cambiamenti climatici e di danni alla salute che in Italia sono particolarmente severi (oltre 50 mila morti premature all'anno per scarsa qualità dell'aria secondo l'Agenzia Europea per l'Ambiente).

I benefici climatici della produzione elettrica da fonte nucleare sono oggi "internalizzati" (cioè valorizzati economicamente) nella remunerazione dell'energia grazie al sistema del pagamento dei permessi ad emettere CO2 (ETS), che beneficia tutte le fonti a basse emissioni-serra (inclusi quindi rinnovabili e nucleare che non ne hanno affatto) attribuendo loro un vantaggio di costo rispetto agli impianti con emissioni-serra maggiori.

Tra i costi non internalizzati più rilevanti del nucleare ci sono quelli della gestione di lungo termine delle scorie (si veda sotto), dello smantellamento a fine vita (si veda sotto) e del rischio non assicurabile di incidenti.

Costi e tempi di realizzazione dell'attuale tecnologia nucleare

Gli impianti EPR ultimati in Finlandia a inizio 2022 e in francia a fine 2024 e un altro in costruzione in UK mostrano costi e tempi di realizzazione proibitivi, dovuti anche al fatto che nei Paesi democratici operano agenzie per la sicurezza nucleare indipendenti dai Governi e che si applicano forme di accountability o sistemi di mercato che rendono difficile socializzare i costi in modo dirigistico o poco trasparente. Anche per questo i nuovi impianti nucleari nel mondo si fanno prevalentemente in Paesi con regimi autoritari, con le eccezioni importanti della Francia il cui Governo ha annunciato nuovi reattori dell'attuale generazione (EPR) entro il 2035 (ma dove solo uno è di recentissima costruzione e molti sono a fine vita), del Giappone, della Corea del Sud e della Finlandia.

L’impianto finlandese entrato in servizio nel gennaio 2022 (Olkiluoto 3) è un’unità di 1600 MW la cui realizzazione è costata 11 miliardi di Euro (circa 10 volte più di centrali a gas per pari potenza e 5 volte di più di parchi eolici onshore per pari potenza in Italia) e 16 anni di lavori dall’inizio della costruzione (non della progettazione).

Ritardi anch’essi superiori a 10 anni ha sperimentato Flamanville 3, in Normandia, connesso alla rete a fine 2024.

Quello in costruzione a Hinkley Point C nel Regno Unito è stato finanziato grazie all’impegno del Governo inglese (e quindi dei suoi contribuenti o pagatori di bollette) di comprarne la futura energia per 35 anni a un prezzo quasi triplo di quello che esprimeva il mercato locale dell'elettricità quando l'accordo è stato preso (solo durante lo shock 2021-22 il prezzo pattuito si è rivelato inferiore a quello di mercato).
A inizio 2024 EDF (l'azienda costruttrice) ha stimato in 35 miliardi di Sterline il costo finale inflazione esclusa (rispetto ai 18 previsti) e annunciato un ulteriore ritardo di 5 anni che porta le stime di completamento al 2031, cioè 14 anni dopo l'inizio della costruzione e circa 20 dalla progettazione. (Un reportage sui progressi di questo impianto, precedente agli aggiornamenti qui citati, fu curato dalla BBC).
Capitali cinesi hanno prima co-finanziato il progetto per poi ritirarsi nell'ambito di una tendenza più recente a concentrarsi negli investimenti nel nucleare interno.

Un confronto del professore di Oxford Bent Flyvbjerg nell'ambito di un database di migliaia di progetti complessi mostra (immagine) che gli impianti di trattamento di scorie nucleari e di produzione elettrica nucleare occupano due dei primi tre posti (insieme alla realizzazione delle infrastrutture per accogliere le olimpiadi) in termini di sforamento medio del budget (mentre gli impianti fotovoltaici - grazie alla loro semplicità d'assemblaggio - sono all'ultimo posto). (Una recensione di Andrea Cavalleroni al libro di Flyvbjerg che parla dell'argomento è qui.)

Un articolo di aprile 2022 di Marco Dell'Aguzzo su Start Magazine sui sussidi pubblici al nucleare americano è qui, un altro più recente di Simone Cosimi su Esquire qui.

Tempi e costi di costruzione di recenti impianti termonucleari per produzione di elettricità
(V. Faudon, 2022)







Costi medi comparati di produzione dell’energia

Il “LCOE” è la misura oggi generalmente adottata per computare i costi medi dell’elettricità prodotta dalle diverse tecnologie in modo che sia confrontabile.
Questo indicatore divide i costi fissi per la produzione elettrica attesa - o osservata, se si calcola a consuntivo - in tutta la vita utile degli impianti e li aggiunge ai costi variabili, ottenendo così un costo complessivo per unità di energia prodotta.

È evidente che i costi anche a parità di tecnologia dipendono da vari aspetti specifici di un impianto (la dimensione, la disponibilità di fonte naturale se si tratta di un impianto rinnovabile) oltre che da variabili economiche esterne (per le fossili, dipendono per esempio dalle politiche di disincentivo alle emissioni-serra, per tutti dipendono dal tasso di sconto) e che gli stessi costi sono soggetti a evoluzione insieme alle tecnologie. Non c’è dubbio che il trend degli ultimi decenni abbia visto una riduzione dei costi soprattutto nella generazione da fonti rinnovabili, rendendo il fotovoltaico di grande taglia oggi la fonte generalmente più competitiva nel mondo in termini di LCOE.

Uno studio del 2020 di IEA e NEA (le agenzie rispettivamente per l’energia e per l’energia nucleare dell’OCSE) suddivide per area del mondo e per tecnologia i costi così:


Secondo questi numeri, fatti con un’ipotesi di costo del capitale del 7%, il valore mediano del costo medio dell’elettricità da nucleare è sempre più alto di quello da fotovoltaico e da eolico su terra, tranne che in Giappone, dove le rinnovabili hanno costi maggiori a causa soprattutto di minore potenziale.

Cosa diversa sono i costi del mero prolungamento della vita di centrali nucleari esistenti, che in Europa hanno in media circa 35 anni di vita (ancora di più negli Stati Uniti d'America) e che pur essendo progettati in media per una quarantina d'anni di vita utile hanno dimostrato in molti casi di poterla prolungare in sicurezza con interventi relativamente ridotti. Secondo la IEA, il prolungamento di vita delle centrali nucleari esistenti è uno dei modi più economici di assicurare energia senza emissioni di CO2, paragonabile a quello del nuovo fotovoltaico.

Una critica comune all'uso di un indicatore di costo medio per energia prodotta è che esso tralascia gli aspetti temporali e di prevedibilità della produzione, che invece sono rilevanti. Un conto è energia prodotta quando serve, un conto è energia che deve essere stoccata per portarla al momento in cui serve. Per ovviare a ciò si possono svolgere analisi di portafoglio in cui al costo medio delle fonti non programmabili si aggiunge quello degli accumuli necessari a renderle programmabili, in modo da poter poi fare un confronto più omogeneo con le fonti programmabili. Un articolo di Giulio Meneghello per QualEnergia nel febbraio 2025 declina la questione sulla base dei numeri portati durante audizioni parlamentari in Italia da operatori dell'energia, e nota come il costo dell'energia solare con dotazione di batterie sia in Europa più basso delle aspettative di costo di qualunque fonte di nuovo nucleare attuale. La situazione peggiora per il nucleare se si considera che anch'esso - pur essendo molto prevedibile - di fatto non è programmabile se non al costo di perdere enorme efficienza economica a causa degli alti costi fissi che non vengono remunerati quando la produzione viene parzializzata (se ne parla più dettagliatamente più avanti).

Costi di dismissione di impianti nucleari

La dismissione di impianti di generazione elettrica nucleare è resa complicata e costosissima dalla gestione del materiale radioattivo, che include parte delle macchine e delle strutture che vengono irraggiate durante il funzionamento. Sforzi tecnici e organizzativi talmente vasti e critici che anche nelle economie di mercato tendono a essere socializzati.

Avere un parco centrali da dismettere è un problema economico di dimensioni rilevantissime per la Francia, per esempio, che fino a oggi ha perlopiù procrastinato la questione allungando il più possibile la vita utile degli impianti. Il rilevante parco nucleare a fine vita della Francia corrisponde a tutti gli effetti a un debito nazionale prossimo alla scadenza.

Un articolo del Guardian sui costi proibitivi della dismissione delle centrali a fine vita in UK è qui.

Secondo uno studio della Università Tecnologica di Berlino citato alla presentazione dell'edizione 2023 del World Nuclear Industry Status Report, i costi recenti di dismissione di impianti in Germania e Italia si sono assestati tra i 5 e i 12 $ al MWh prodotto nella vita dell'impianto.

In Italia lo smaltimento delle quattro perlopiù piccole centrali in servizio al momento del referendum del 1987 è risultato lento e oneroso. Costerà almeno una ventina di miliardi e a 37 anni dal referendum è lontano dall'essere concluso ed è a carico delle bollette elettriche (ma nel 2022 nell'ambito delle misure di contenimento delle bollette questa e altre componenti di oneri sono stati temporaneamente trasferite sulla fiscalità generale).

In Spagna, dove il governo a fine 2023 ha confermato la chiusura di tutti i reattori esistenti entro il 2035, la spesa per la dismissione è stimata in oltre 20 miliardi di Euro, in questo caso pagati da un fondo alimentato dagli operatori degli impianti.
Le scorie verranno temporaneamente stoccate negli stessi siti in attesa di un deposito nazionale di lungo periodo che a fine 2023 la politica non aveva ancora nemmeno localizzato.

Nucleare e flessibilità nella produzione elettrica

Gli impianti termonucleari sono inadatti a modulare la produzione, cioè a modificarla rapidamente sulla base del fabbisogno al netto della produzione da fonti rinnovabili.

Infatti i reattori a fissione, anche se la reazione primaria viene interrotta, continuano a produrre calore a lungo (calore che dev’essere smaltito per non danneggiare il nocciolo, con dispendio di energia). Inoltre, le procedure di transizione tra diversi livelli di potenza sono più complesse rispetto a quelle di qualunque tecnologia programmabile di generazione elettrica.

Infine, i costi fissi altissimi di un impianto termonucleare rendono ulteriormente improponibile, anche sul piano meramente economico, pagare una centrale per farla funzionare in modo discontinuo. Tale discontinuità di funzionamento, d’altra parte, è il destino certo di qualunque tecnologia con costi variabili non nulli complementare alle fonti rinnovabili, perché queste ultime sempre più spesso – aumentando la loro penetrazione – serviranno l’intera domanda in intervalli di tempo via via più lunghi (ma discontinui). Più in sintesi: non ha senso parzializzare fonti come eolico e solare che hanno costi variabili nulli per dare la precedenza a una tecnologia con costi variabili positivi. 

Ci si riferisce normalmente come domanda residuale al fabbisogno di energia elettrica che residua dopo aver utilizzato tutte le fonti rinnovabili non programmabili disponibili in un dato momento. (Un piccolo video escplicativo sulla domanda residuale è qui). Nei sistemi come quello italiano in cui la capacità da rinnovabili supera la punta di domanda, la domanda residuale si annulla quando c'è sufficiente disponibilità di rinnovabili. Ne consegue che la produzione complementare alle rinnovabili non programmabili dev'essere adatta a spegnersi del tutto per poi riaccendersi nelle ore con meno sole e vento.

Di conseguenza, se come abbiamo visto il nucleare – risolti i problemi di costi, sicurezza e scorie - può essere una fonte efficiente per la produzione senza emissioni-serra di un baseload di energia (cioè di un volume costante di energia), una strategia di lungo termine che includa il nucleare suppone che la potenza delle rinnovabili non programmabili installate non superi il picco di domanda elettrica. O, in altri termini, che esista sempre una domanda residuale positiva servibile con il nucleare. Ma una domanda residuale minima positiva da un lato è incompatibile con i piani già avviati di sviluppo delle rinnovabili (perlomeno in gran parte d'Europa), dall’altro già oggi in molti sistemi elettrici non esiste più, per esempio nell’Italia meridionale in estate, dove capitano già da anni ore in cui tutta la domanda elettrica è servita da fonti rinnovabili non programmabili. Se avessimo impianti nucleari lì, nelle ore di sole avremmo un problema di evacuazione dell'energia e saremmo costretti o a buttare sole e vento per non spegnere il nucleare, o a spegnerlo rimandando il rientro nell'investimento nucleare e rendendolo così insostenibile. Casi di nucleare spento a causa della concorrenza delle rinnovabili si sono già realizzati in Spagna all'inizio di marzo 2024 e in Francia nei mesi successivi.

Le reti elettriche interconnesse e sovradimensionate e gli accumuli sono una soluzione al limite di cui sopra, ma aggiungono costi. Costruire un reattore nucleare in una zona con molte rinnovabili implica la disponibilità di evacuazione o di stoccaggio per tutta l'energia che superi in ogni momento la domanda residuale. Un reattore nucleare aggraverebbe quindi le necessità di riconciliazione tra la domanda locale istantanea di energia e la sua produzione.

Una possibile strategia per eludere la mancata flessibilità della produzione nucleare è l'uso di cogenerazione di calore modulante: costruendo macchine che producano combinatamente elettricità e calore, si può dirigere l'energia sul calore nelle ore di bassa domanda elettrica. La debolezza di questa soluzione sta nel fatto che essa semplicemente sposta il problema sulla flessibilità della domanda di calore. Se è vero che il calore si può conservare più facilmente dell'elettricità, e ci sono aziende che stanno sviluppando soluzioni in questo senso, non è detto che la flessibilità nella sua domanda sia sufficiente a ricevere gli sfridi di produzione di impianti di notevole potenza quali i reattori nucleari, quand'anche di taglia più piccola rispetto a quelli attuali.

Siamo tornati quindi al punto di partenza: se non è flessibile la produzione di energia, il sistema da qualche parte deve fornire capacità di stoccaggio o modulazione della domanda, con costi aggiuntivi.   

Scorie (gestione di lungo termine)

Non esiste al mondo per ora un sito già attivo per lo stoccaggio definitivo (geologico) di scorie nucleari. Il progetto USA di Yucca Mountain è stato abbandonato per complicazioni, opposizioni e costi. Esistono siti progettati in Europa, il più avanzato dei quali è quello di Onkalo in Finlandia che prevede di diventare attivo entro il 2026, mentre in Italia nessun governo ha mai avuto il coraggio di proporne uno, benché già commissioni tecniche abbiano identificato almeno un'ubicazione idonea.

In Canada l'ente pubblico per la gestione delle scorie nucleari, dopo un processo di selezione durato 14 anni che ha incluso la consultazione dei siti candidati, ha comunicato nel novembre 2024 il sito in Ontario del futuro deposito geologico di combustibile nucleare esausto. Qui un articolo in materia di fonte canadese. Il costo previsto è di circa 21 miliardi di €.

Un criterio di responsabilità forse imporrebbe di avere un progetto approvato e finanziato per la gestione delle scorie prima di lanciarsi in impegni su nuova generazione nucleare. Allo stesso modo, un politico che consideri fattibile l’opzione nucleare nel breve termine dovrebbe avere, oltre a risposte alle questioni tecniche ed economiche, una proposta per la realizzazione del sito di smaltimento definitivo delle scorie o almeno un'idea dei costi per accedere a uno di terzi.

Per l'Italia, il ministro Pichetto-Fratin in un'audizione parlamentare nell'ottobre 2024 ha dichiarato l'impegno del Governo (che però difficilmente sarà ancora in carica in tale data) a rendere disponibile il deposito geologico italiano per le scorie nucleari entro il 2039.

Interazione con i mercati energetici e finanziamento

Per le dimensioni dei siti e per la dimensione dei danni nel caso (per quanto rarissimo) di incidente, impianti energetici nucleari sono possibili di norma solo con supporto e garanzie pubbliche, e il rischio di incidenti è sostanzialmente non assicurabile.

Se è vero che indipendentemente dal nucleare gli shock del Covid e della invasione dell’Ucraina stanno portando a un neodirigismo anche europeo riguardo al settore dell’energia, è anche certamente vero che il ritorno a investimenti sul nucleare implicherebbe – come è sempre stato in Francia – una sostanziale socializzazione e politicizzazione dei costi di produzione dell’energia, con conseguenze che sono fuori dall’area di analisi di questo documento (peraltro, è una tendenza che si presenta per certi aspetti anche nella transizione alle rinnovabili).

In altri termini: dove uno Stato mette soldi o garanzie sul nucleare, il prezzo di mercato dell'elettricità è un indicatore meno significativo del suo costo complessivo. La classica affermazione da autobus "L'energia costa poco in Francia grazie al nucleare" è parziale e quindi fuorviante. Una più corretta è: "Il prezzo dell'energia sul mercato francese è basso perché buona parte dei costi per produrla sono stati pagati con le tasse dei francesi" (inclusi quelli per l'energia che importiamo noi italiani beneficiandone).

Parlando di eccezioni, un possible caso di finanziamento privato della riapertura di un sito nucleare è quello di Microsoft che con l'intermediazione di Constellation Energy ha siglato, secondo un articolo sul Financial Times di settembre 2024 e altre fonti, un contratto ventennale di acquisto di energia senza emissioni di gas-serra che dovrebbe essere onorato dal venditore attraverso la riapertura di uno dei reattori dell'impianto di Three Miles Island, in Pennsylvania, chiuso nel 2019. (Il sito è famoso perché avvenne lì nel 1979 il primo incidente grave del nucleare civile mondiale).

In generale, per i motivi visti sopra nel capitolo "Mancata attitudine [...]", i clienti di energia elettrica che devono alimentare i data center hanno interesse a una fornitura di energia costante (e decarbonizzata) come quella del nucleare. Infatti anche Google, almeno secondo l'Economist della terza settimana di ottobre 2024, ha chiuso un accordo con Kairos Power per la costruzione di futuri Small Modular Reactor (si veda il capitolo dedicato sotto) per alimentare i data center Google con 500 MW di potenza dedicata. Obiettivo temporale: 2035.

Fusione nucleare

Con la fusione nucleare, che è anche il processo che alimenta le stelle come il Sole, la liberazione di energia avviene quando due atomi collassano, e non quando si scindono come nel caso della fissione oggi utilizzata per produrre energia nelle centrali atomiche esistenti. Inoltre, non si tratta di una reazione a catena come quella della fissione, il che dovrebbe rendere intrinsecamente più sicuri i futuri reattori a fusione. D'altra parte, indurre la fusione richiede notevoli quantità di energia di attivazione e molta altra per confinare il plasma in cui la reazione avviene a temperature tali da rendere il contatto con qualunque materiale problematico. Le diverse tecniche di questo confinamento sono uno degli aspetti che differenziano le varie sperimentazioni in corso. Un altro è la scelta degli elementi da fondere.

Con il nucleare a fusione si risolverebbe il problema delle scorie legate al combustibile, ma non quello legato alla radioattività di altri materiali irraggiati.

Una vecchia battuta, riportata tra gli altri dall’Economist, dice che il nucleare commerciale a fusione è quella cosa che da cinquant’anni arriva tra trent’anni. In effetti il mondo sta da tempo cercando soluzioni tecnologiche per reattori a fusione, anche attraverso il programma internazionale ITER di cui fa parte l’Italia e che comprende un sito di sperimentazione a Frascati (un approfondimento di Derrick sul tema è qui). Nel luglio 2024 purtroppo ITER ha comunicato che il primo reattore sperimentale da 500 MW, in precedenza previsto in funzione nel 2025, è in ritardo di 9 anni (ne parla diffusamente un articolo su Science).

Stando ai comunicati dell'organizzazione, nell'ottobre 2023 nell'Oxfordshire inglese il reattore Joint European Torus (JET) ha superato il precedente record di energia prodotta da fusione (con 69 megajoule nell’arco di un impulso di 5 secondi). Si tratta di una sperimentazione coordinata da EUROfusion (un'iniziativa europea parallela a ITER e che continua a vedere la partecipazione del Regno Unito) di cui l’Italia è partner con ENEA, CNR, Consorzio RFX e alcuni atenei.

Secondo un articolo apparso sull'Economist a fine 2024, il settore della fusione nucleare sta vedendo recentemente un coinvolgimento anche di operatori privati, di cui l'articolo cita:

  • SPARC, un tokamak simile a quello di ITER, progetto di Commonwealth Fusion, uno spin-off del MIT
  • General Fusion, impresa Canadese che promette la sperimentazione di un reattore con un tipo diverso di confinamento di un plasma di deuterio e trizio
  • Helion, nello stato di Washington, intende usare un isotopo dell'elio differente dagli altri progetti
  • Zap Energy, stessa ubicazione di Helion, sperimenterà nuove applicazioni del "Z-pinch", un sistema di confinamento del plasma che sfrutta le forze di Lorentz indotte da correnti elettriche all'interno dello stesso plasma
  • ENN, nella provincia cinese dell'Hebei, che punta alla fisione tra idrogeno e boro.

L'Italia, come abbiamo visto in questo paragrafo, partecipa in più modi alla ricerca sulla fusione nucleare (ricerca che non è mai stata vietata da alcun rederendum). La Presidente del Consiglio Meloni alla COP di Baku nel novembre 2024 ha citato la fusione nucleare come un elemento decisivo del futuro energetico italiano.

Gli SMR e il nucleare di "quarta generazione" 

Piccoli reattori per la propulsione sono usati da tempo in navi e sottomarini bellici. Esistono anche rari casi di piccole centrali nucleari per la produzione di energia: un articolo dell'agenzia internazionale per l'energia atomica cita l'esempio di una nave-generatore, la Akademic Lomonosov, usata nel mare artico russo per alimentare un impianto di dissalazione d'acqua marina.

Ci si riferisce in generale a reattori SMR (Small Modular Reactor) per identificare reattori di taglia ridotta, assemblabili direttamente negli stabilimenti del costruttore con maggiore standardizzazione ed economicità in fase di installazione.

Per ora non ci sono impianti commerciali di questo tipo ma esistono produttori (in Europa Rolls Royce, negli USA NuScale Power e TerraPower, in Cina l'azienda nucleare di Stato) che li stanno sviluppando. Due reattori sono già in costruzione, in Cina e in Argentina, secondo l'articolo citato sopra.
L'europea Newcleo ha annunciato di voler sperimentare componenti di un futuro reattore SMR con tecnologia autofertilizzante raffreddato a piombo fuso (ascrivibile quindi alla categoria Advanced Modular Reactor) nel centro ricerche Enea del Brasimone.

Un reattore sperimentale SMR di NuScale in Idaho (finanziato con sussidi pubblici) dovrebbe iniziare la produzione nel 2029 secondo la stessa azienda, mentre un accordo con il Governo locale prevede 6 piccoli reattori SMR dello stesso costruttore in Romania secondo l'Economist. La già citata NEA stimava a inizio 2022 in circa 50 i reattori SMR in progettazione nel mondo, 70 secondo l'articolo dell'agenzia internazionale dell'energia atomica già citato.

Gli SMR con tecnologia pronta allo sviluppo commerciale non risolverebbero il problema delle scorie e, se distribuiti sul territorio, richiederebbero una moltiplicazione dei presidi di sicurezza (oltre che delle difficoltà di autorizzazione) che potrebbero annullarne i vantaggi di economicità costruttiva. Questo svantaggio, d'altra parte, potrebbe essere mitigato aggregando più reattori nello stesso sito e costruendo quindi sempre grandi impianti, ma modulari.

Un vasto articolo uscito sull'Economist a fine marzo 2022 sui reattori SMR è qui.

Per nucleare di quarta generazione si intendono tecnologie radicalmente evolute rispetto alle attuali (indipendentemente dal formato miniaturizzato o meno) che includono reattori autofertilizzanti, cioè in grado di utilizzare per la reazione isotopi che nei reattori convenzionali andrebbero smaltiti come scorie. Tentativi in questo senso si sono già intrapresi in passato, in particolare con l'impianto sperimentale di dimensioni industriali di Superphoenix, in Francia, partecipato da Enel, poi chiuso nel 1996.

Il paese che più sta sperimentando impianti a fissione cosiddetti di quarta generazione è la Cina. Un articolo dell'Economist di settembre 2024 parla dell'impianto di Shidaowan in cui il combustibile è disposto in modalità innovativa in grado di ridurre la sua tendenza a fondersi in caso di interruzione del raffreddamento del reattore, rendendolo così intrinsecamente più sicuro.


L'opzione nucleare in Italia oggi

Un grafico dell'Economist (apr 22) sintetizza
le opzioni e i costi per raggiungere -43% di emissioni
nel 2030 necessario secondo IPCC per essere in linea
con gli obiettivi della COP di Parigi (+1,5° max)
Il nucleare di oggi non è un’opzione in Italia rispetto agli obiettivi energetici e climatici al 2030, e difficilmente – salvo accelerazioni eccezionali della tecnologia – lo sarà al 2050. Lo stesso ministro Pichetto Fratin in un'audizione in Parlamento nell'ottobre 2024 ha escluso interesse per l'attuale generazione di reattori.

Il nucleare dell'attuale generazione è inadatto a complementare sistemi elettrici con elevata incidenza di fonti rinnovabili.

L'opzione nucleare invece è sensata rispetto al mix energetico di paesi oggi molto indietro o con scarso potenziale in termini di rinnovabili, e - in futuro e se si consolidano tecnologie migliori delle attuali - per quando le fonti rinnovabili installate oggi saranno a fine vita (impianti solari ed eolici non hanno problemi di bonifiche a fine vita a differenza di impianti nucleari e perfino termoelettrici).

Considerare il nucleare una risposta agli obiettivi di decarbonizzazione al 2030 equivale a sviare attenzione e risorse rispetto alle tecnologie oggi disponibili ed efficienti nel breve periodo. In prospettive più lunghe, senza dubbio è utile continuare la ricerca (che peraltro non si è mai fermata in Italia) su tecnologie come i reattori autofertilizzanti e a fusione.

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