Il mondo classificato per libertà d'informazione secondo Reporter Senza Frontiere |
Credo che l’acquisto
di Twitter da parte di Elon Musk sia una buona occasione per riprendere il
discorso sull’imprenditore di origine sudafricana. Un articolo dell’Economist
di fine aprile 2022 riassume la vicenda in modo piuttosto utile.
Questa non è
la prima volta che Musk compie un’operazione, almeno secondo le sue
dichiarazioni, a prescindere dalle mere prospettive di ritorno economico almeno
di breve termine. Il mondo ha bisogno di una piattaforma nello stesso tempo autorevole
e in grado di garantire il diritto di espressione, ha detto Musk, aggiungendo
che il suo auspicio è che in futuro Twitter ospiti quanto e più di prima anche i
suoi (cioè di Musk) critici più aspri.
Io sono
certamente d’accordo che in linea di massima la censura sia più pericolosa
rispetto a un diritto di espressione senza troppe limitazioni. Per almeno due
ordini di motivi: perché in generale i proibizionismi funzionano male, e perché
se una notizia falsa o di propaganda può essere in qualche modo affrontata con informazioni
diverse, la censura in mano a un regime, magari sopravvenuto rispetto all’istituzione
della censura stessa, diventa esiziale rispetto all’informazione tout court
e quindi rispetto alla libertà.
Tradurre però
ragionevole libertà d’espressione in regole pratiche è molto complicato, come
fa notare l’Economist.
Musk ha
proposto di obbligare gli utilizzatori di Twitter a identificarsi. E questo potrebbe aiutare. E anche di voler attuare eventuali
sanzioni per il non rispetto delle regole in forma di sospensione dell’attività
e non di chiusura dell’account. Ha anche detto, in modo un po’ più generico,
che per lui la libertà d’espressione è non limitare nessuna esternazione
compatibile con la legge. Da cui deriva l’enorme problema che le leggi in
materia sono diverse perfino tra stati degli USA, figuriamoci tra paesi
diversi.
E tra l’altro:
dovrebbe poi adeguarsi o no un social network alle norme dei paesi in cui
opera? Diciamo che nel caso di regimi senza libertà d’espressione la soluzione è
direttamente fornita dalla messa al bando tout court di Twitter (nel
caso della Russia la motivazione, indovinate un po’?, è proprio difendere la
popolazione dalle fake news).
Far rispettare
qualsivoglia limitazione è anche un problema tecnologico. Secondo l’Economist,
e la cosa non mi sorprende affatto e più volte Derrick ne ha parlato anche
parecchio tempo fa, l’intelligenza artificiale sta clamorosamente rivelandosi
inadeguata alle analisi semantiche. Perché non è in grado di fare analogie,
capire i contesti e quindi capire l’ironia, le citazioni, i paradossi. In poche
parole, per ora l’intelligenza artificiale semantica non esiste. Tant’è che
migliaia di persone nei social come Twitter lavorano per verificare a mano (se
mi passate la metonimia) gli allerta dei sistemi automatici di censura, che
sono bravini nel riconoscere un paio di tette, ma pessimi nel contestualizzare
qualunque concetto.
C’è infine un
problema commerciale riguardo alla libertà nei social, che deriva dal fatto che
la pazienza degli utenti, in particolare di quelli più seri, ha un limite. A
quanti ascoltatori di Derrick sarà successo di sentirsi frustrati di fronte a
critiche o insulti da parte di profili palesemente disinteressati a comprendere
l’oggetto del contendere o anche solo a non travisarne il contenuto? Più questi
fenomeni avvengono, più gli utenti più desiderabili perdono motivazione a
restare nel social. Con il rischio che dove c’è più libertà restino solo quelli
che ne fanno cattivo uso.
Non ho le
competenze per valutare soluzioni a questi problemi. Ma sono d’accordo senza
dubbio con Musk riguardo al fatto che Twitter, per il tipo di utenti che lo
usano e per le sue caratteristiche, è uno strumento potente ed efficiente per la
partecipazione civica.
Puntata 528
Proprio su
Twitter ci sono state molte reazioni alla puntata 527. Ringrazio per questo e ne riprendo alcuni
spunti in questa nuova.
Intanto una
precisazione importante. Mi fanno notare esperti di cibersecurity che quel che
Musk ha chiesto, l’identificabilità dei profili, non significa necessariamente
che essi vengano resi palesi al pubblico. In un suo tweet di quache tempo fa
Federico Fuga, un esperto di sicurezza online, scrive:
“Quello dei social non è anonimato, ma pseudoanonimato, [che] esisteva anche prima del digitale” (per esempio con l’uso di pseudonimi in libri o giornali).
Poi aggiunge una cosa che in realtà a me sembra poco significativa, e cioè che se si riesce a bloccare un account vuol dire che si riesce ad attribuire le responsabilità a un soggetto preciso.
Osservo io che nel momento in cui è
possibile creare molti account anche automaticamente usandoli a cascata da
parte di uno stesso soggetto, l’identificabilità di cui parla Fuga è di scarso
aiuto pratico. Infatti lui stesso scrive che quella contro i cosiddetti “BOT”
(cioè robot software che usano anche account multipli per diffondere
massivamente informazioni) è una causa persa.
E proprio la
limitazione dei BOT è un obiettivo che Musk dice di porsi a proposito di
Twitter.
Twitter, credo
in risposta a questo punto, ha dichiarato a inizio maggio [2022] che gli
account “falsi o spam” (così scrive Reuters riportando l’informazione) pesano
solo un 5% del totale. In un tweet su questo, il 13 maggio, Musk scrive che il
suo acquisto dell’azienda – cui si dichiara sempre interessato – è sospeso proprio
per la verifica di tale dato.
Se una
piattaforma come Twitter è utile a mio avviso in generale, lo è ancora di più
in luoghi dove gli organi dell’informazione sono meno liberi e indipendenti, e
quindi meno utili alla società se non addirittura mera grancassa del potere
costituito o dei soli interessi consolidati.
Secondo un rapporto di reporter senza frontiere, l’Italia è l’unico Paese dell'Europa occidentale con una libertà di informazione “problematica” (si veda il grafico dell’Economist sopra su questo). Significativo, per esempio, che nemmeno il servizio radiotelevisivo di Stato stia informando su un referendum, quello sulla giustizia del 12 giugno, inviso a gran parte delle forze politiche e della magistratura, che pure è uno strumento costituzionale di democrazia.
Che
piattaforme come Twitter riescano a trovare un bilanciamento tra la loro libertà
e la loro frequentabilità è decisamente auspicabile.
Alcuni critici
del capitalismo avevano e forse hanno ancora l’abitudine di parlare di schiavitù
dei consumi, di legge del profitto antitetica addirittura alla libertà, cose
del genere.
Una linea
critica forse un po’ più analitica consiste nel mettere in evidenza come questa
(tra virgolette) logica del profitto tenda a essere poco lungimirante e
incapace di mirare a vantaggi che siano abbastanza diffusi e tengano in conto
varie forme di sostenibilità.
Un
imprenditore che mette un po’ in crisi questi luoghi comuni, giusti o sbagliati
che siano, e che forse proprio per questo è spesso particolarmente detestato dagli
anticapitalisti è Elon Musk, il miliardario americano (ma sudafricano di
nascita) nemmeno cinquantenne che con i soldi fatti anni fa con PayPal e altre
aziende ne ha create varie altre nei settori più disparati e apparentemente con
una caratteristica comune: concentrarsi su sfide a lungo termine, proprio del
tipo che un capitalista dallo sguardo corto, interessato a profitti probabili e
vicini, non dovrebbe prendere in considerazione.
Con SpaceX Musk,
che ha lauree in economia e fisica, ha l’obiettivo di introdurre razzi e
navette riutilizzabili per ridurre il costo dei viaggi spaziali e permettere
così di realizzare l’obiettivo finale: rendere l’uomo una specie
multiplanetaria colonizzando Marte, ma anche posizionare e gestire batterie di
satelliti per le comunicazioni internet. Un’infrastruttura quest’ultima che ha
visto diversi fallimenti dai tempi della rete di telefoni satellitari Iridium.
Starlink, così si chiama una delle varie altre aziende fondate da Musk,
dovrebbe appunto occuparsi di questi satelliti, in grado per esempio di
connettere luoghi remotissimi o che comunque non abbiano una rete preesistente,
qualcosa di simile a quello che nell’energia è la prospettiva di
elettrificazione lontano dalle grandi reti, sfruttando le nuove tecnologie di
generazione e stoccaggio diffusi. Con Starlink, però, la connessione verrebbe
dal cielo.
Con la celebre Tesla, Musk non solo ha in qualche modo indotto l’inizio degli investimenti globali sull’auto elettrica, ma lo ha fatto con una strategia a dir poco radicale e apparentemente velleitaria: sviluppare dal nulla un’azienda molto integrata, che fa dalle batterie – anche di dimensioni industriali e utili alle reti elettriche per immagazzinare grandi quantità di elettricità rinnovabile - alle auto vere e proprie fino alla loro rete di ricarica. Il tutto senza che inizialmente nessuno di questi segmenti fosse in grado di fornire margini operativi, cioè di almeno iniziare a ripagare i costi fissi. Per Musk, se un pezzo di filiera che serve a un suo progetto non è maturo, la risposta naturale sembra essere di realizzarlo lui stesso. E attenzione: non può definirsi megalomane chi è capace di trovare le risorse finanziarie per i suoi progetti.
Ora gli utili per
Tesla stanno arrivando, quasi vent’anni dopo la fondazione. Nel frattempo sono
confluiti fiumi di denaro dagli investitori, rendendola un’azienda con capitalizzazione
di varie volte superiore a qualunque altra casa automobilistica.
Non sappiamo ancora se l’investimento nelle aziende di Musk pagherà alla fine per chi ci lascerà i soldi a tempo indeterminato (per ora ha pagato eccome). Ma di certo si può dire che a questo capitalismo, fatto di imprenditori coraggiosi e visionari e di investitori pronti a fidarsi, non manca la capacità di immaginare mondi meravigliosi desiderabili da tanti e di provare a realizzarli.
Puntata 487
Questa è
Derrick e questo è il 207esimo giorno dal decreto del 6/11/2020 che ha chiuso
le scuole per la seconda volta senza che quelle superiori, anche nelle regioni
più fortunate d’Italia, abbiano da allora mai più riaperto a pieno regime. L’anno
scolastico è quasi finito e non mi pare di aver nemmeno sentito l’assicurazione
che ci sarà una riapertura completa a settembre.
La scorsa
settimana (qui sopra per chi legge il blog) abbiamo parlato del capitalismo sognante di Elon Musk, una puntata su
cui temevo critiche magari il velleitarismo e inevitabile superficialità del
parlare di capitalismo in pochi minuti, invece ho ricevuto diversi
incoraggiamenti. Allora riprendiamo il discorso: nel suo “Capitalismo e libertà”
Milton Friedman forniva argomenti sull’indissolubilità tra l’uno e l’altra. Lo faceva
osservando il mondo degli anni ’60 e la dicotomia tra economie socialiste e
capitaliste, e mostrava come l’assenza di libertà economiche comprometta la
libertà individuale tout court, visto che tanta dell’autodeterminazione passa
da azioni economiche: di investimento, imprenditoriali, di consumo.
Oggi il libro di
Friedman sarebbe forse ancora più utile perché l’incompatibilità è meno ovvia,
mi pare, rispetto alle economie capitalistiche in regimi autoritari (Friedman
cita sì le esperienze fascista, nazista e franchista ma da un lato lo fa solo
en passant, dall’altro vorrei augurarmi che quegli esempi si applichino poco al
futuro). Un quesito riformulato dunque potrebbe essere: è sostenibile il capitalismo
dove i regimi non difendono, bensì reprimono, la libertà di pensiero e di
espressione, pur incoraggiando quella imprenditoriale?
La repressione
della libertà di espressione nella superpotenza asiatica dei giorni nostri ha recentemente
portato all’espulsione di giornalisti, ritorsioni commerciali, messa all’indice
improvvisa di imprenditori con crollo del valore di mercato delle loro aziende.
Non credo che nel breve periodo sia immaginabile che nemmeno i capitali
stranieri se ne ritirino, vista la vastità di quel mercato, anzi aziende
multinazionali hanno mostrato in vari episodi la disponibilità a imbavagliarsi
pur di operare presso il Dragone (per esempio a Hong Kong). Eppure sarei molto
cauto, per almeno un paio di ragioni, a ritenere che il capitalismo possa a
lungo funzionare senza la libertà anche solo di espressione.
La prima
ragione: in generale gl'investitori preferiscono fare previsioni di un
flusso di profitti basati sul potenziale di un’azienda e analisi di mercato, o semmai
segnali politici di lungo periodo, che dipendere dalle ritorsioni improvvise di
un regime in grado di influenzare le transazioni economiche, soprattutto se in
ansia da mantenimento del potere. Si veda, per esempio, l’effetto dell’erratica
politica monetaria determinata dal governo turco in barba all’autonomia della
banca centrale.
La seconda è in continuità con la scorsa puntata: le avventure imprenditoriali più creative, innovative, dirompenti sono forse scindibili dal desiderio – magari velleitario quanto volete - di cambiare il mondo? Di trovare nuove strade alle nostre aspirazioni? Non credo. E se è così, nessun regime autoritario, obbligato a preservare se stesso e quindi per forza conservatore e repressivo rispetto alle nuove idee dirompenti, può permettersi nel lungo periodo un’economia capitalistica abbastanza libera da alimentare sostenibilmente il proprio successo.
- Il rapporto sulla libertà di informazione di Reporter Senza Frontiere: https://rsf.org/en/index
- L'articolo dell'Economist citato nella puntata 527:
https://www.economist.com/business/2022/04/30/elon-musk-is-taking-twitters-public-square-private - Elon Musk su Twitter: https://twitter.com/elonmusk
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