domenica 20 febbraio 2022

Caro energia e autarchia (Puntate 514 e 516 in onda l'8 e 22/2/22)

Il duomo di Termoli nella nebbia
Puntata 516

Nella puntata 514 (qui sotto) avevamo messo in rapporto la crisi dei prezzi energetici in corso con una reviviscenza di istinti autarchici riguardo alle politiche preconizzate per affrontare il momento.

D’altra parte nell’energia è quasi una costante retorica dire che “manca una strategia” e che c’è il problema della “dipendenza” dall’estero dimenticando che l’interdipendenza di mercati e infrastrutture, e la loro interconnessione, è stata uno dei fulcri non solo dello sviluppo del mercato unico energetico europeo, ma anche di investimenti per interconnetterlo con altre regioni del mondo. Quindi la strategia energetica non solo c’è e c’è stata, ma ha puntato proprio su questa temutissima interdipendenza (cos’altro avrebbe potuto fare in un contesto in cui la transizione alle rinnovabili – che sono autarchiche per loro natura – era ancora all’inizio e in cui le fonti primarie erano perlopiù fuori dall’Europa?). Nel gas, questa politica ha portato tra l’altro a nuovi gasdotti e nuovi porti che permettono anche all’Italia di ricevere gas, per esempio, anche dal Quatar, dai Caraibi o dagli Stati Uniti da cui non arrivano tubi.

Oggi però la narrazione prevalente del Governo rispetto ai prezzi alti del gas è che serva sviluppare giacimenti nazionali.

Ora, siccome i concessionari di tali giacimenti già prima della crisi sapevano fare i conti e quindi ciò che si poteva economicamente coltivare l’hanno coltivato, a maggior ragione coi prezzi alti c’è da immaginare che continuino a farlo senza bisogno di decreti. E se la produzione nazionale nel 2021 è stata di poco superiore ai 3 miliardi di metri cubi, cioè un’inezia rispetto a un consumo nazionale di 76 nel 2021, non è stato a causa di autolesionismo di questi operatori, bensì del fatto che in Italia il gas, come nel mare del Nord, è da tempo in una fase di inesorabile esaurimento, con i giacimenti che diventano via via più residuali e costosi. Del resto lo stesso Governo stima in 2 miseri miliardi di metri cubi l’ulteriore produzione immaginabile a breve, il che è difficile commisurare alla retorica dell’autarchia.

Il consiglio dei ministri del 18 febbraio 2022 ha discusso un decreto chiamato “Energia”, la cui bozza diffusa dai giornali il giorno stesso affida al GSE, l’agenzia del Tesoro per l’energia, di favorire contratti di lungo termine tra concessionari di giacimenti di gas italiano per nuova capacità e imprese energivore. Quel che non è chiaro a chi vi parla, sempre sulla base della bozza, è se lo Stato finanzierà un prezzo politico per questi contratti, risarcendo in tal caso inevitabilmente i produttori. Se andrà così, la retorica del gas autarchico si rivelerà sostanzialmente la copertura d’immagine a un nuovo sussidio ai clienti – in aggiunta a quelli già attivati dai decreti bollette fin qui per pressoché tutti i consumatori – e, verosimilmente un sussidio anche ai produttori di gas. Una copertura di cui, peraltro, non capisco la necessità politica, visto che già c’è un accordo generalizzato, mi pare, riguardo agli aiuti ai consumatori.

Un articolo apparso su Altraeconomia, a firma dell’autore di Derrick e di Francesca Andreolli in qualità di collaboratori del think tank ECCO, approfondisce la questione del gas nazionale come calmiere ai prezzi, ed è linkato sotto nella sezione "link".

 

Puntata 514

Un articolo dell’Economist di fine gennaio 2022 (link sotto) descrive come in vari settori
dell’economia globale l’effetto di indisponibilità di alcuni fattori produttivi e beni intermedi esito del covid non sia ancora finito e continui ad alimentare l’inflazione come del resto molti avevano previsto. Aziende come General Electric, Siemens, Tesla, Toyota hanno riferito di dover produrre al disotto della capacità degli impianti a causa di problemi nell’approvvigionamento di beni intermedi. Nei servizi, il problema ha riguardato in particolare la disponibilità dei lavoratori, come nel trasporto aereo nel periodo di Natale e negli Stati Uniti in quello stradale, dove l’associazione delle compagnie di autotrasporto passeggeri lamenta la mancanza di 80 mila conducenti.

Il gas naturale, abbiamo visto, è uno dei casi di beni intermedi diventati temporaneamente più scarsi rispetto alla domanda e quindi costosi. Ed è uno dei casi, come quello che riguarda i chip elettronici, in cui la concentrazione della produzione in poche aree aggiunge al problema il rischio che gli oligopolisti sfruttino la propria posizione, come la Russia.

Quale l’antidoto nel medio periodo? Per i paesi trasformatori, che sono anche i più sviluppati del mondo, diversificare gli approvvigionamenti e investire nella filiera dove quella esistente non è abbastanza, creare nuove connessioni con potenziali nuovi fornitori. Curiosamente, però, la reazione alla scarsità (cioè maggior prezzo) di energia in qualche autorevole caso avviene nella forma di un auspicio di autarchia che è a dir poco antistorico.

Un documento del Copasir, commissione parlamentare per la sicurezza nazionale, arriva ad affermare che l’integrazione dei mercati energetici e delle stesse reti elettriche europee sia un pericolo perché un guasto in una centrale lontana potrebbe trasferire i suoi effetti da noi. In realtà da decenni investiamo proprio perché la rete europea sia abbastanza magliata da far sì non solo che nessuna centrale o tratta di rete da sola possa provocare un blackout, ma che a livello internazionale sia sempre più possibile, in coerenza con gli obiettivi climatici, consumare l’energia più economica sulla base delle disponibilità di fonti primarie, anche se non è strettamente quella più vicina.

Secondo il Copasir invece si starebbe diffondendo il timore di un blackout europeo (il condizionale è nel testo, che non cita alcuna fonte per quest’affermazione), e la soluzione sempre secondo il Copasir è far fare in italia impianti nucleari ad Ansaldo (che sarebbe in grado di realizzarli del tipo modulare di piccola taglia e autofertilizzanti, cioè capaci di riutilizzare il combustibile e generare poche scorie) e sviluppare il gas nazionale (che come abbiamo visto altrove avrebbe un effetto minimo in termini di minore dipendenza). Come dire, una soluzione autarchica integrata ai problemi dell’energia.

Che però non solo a mio parere non funzionerebbe e costerebbe di più, per le ragioni espresse qui e in talte altre puntate di Derrick, ma anche ignorerebbe almeno in parte quello che forse per il Copasir non è un problema di sicurezza altrettanto prioritario: i cambiamenti climatici.

Commenta e controbatte in questo senso al documento Copasir, intervistando esperti, un articolo di Duccio Facchini su Altraeconomia, linkato qui sotto e che a sua volta contiene il link al documento commentato.


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domenica 13 febbraio 2022

Catalogo dei sussidi dannosi all'ambiente, IV edizione (dati 2019-20) (Puntata 515 in onda il 15/2/22)

Ciclabile Assisi-Spoleto
(Un riferimento all'edizione successiva del Catalogo è qui.)

È finalmente uscita la quarta edizione di un documento particolarmente caro a Derrick, di una rilevanza economica tanto alta quanto il sistematico oscuramento dei suoi dati nel dibattito politico e nella conoscenza del pubblico: il Catalogo dei sussidi dannosi e favorevoli all’ambiente del Ministero della Transizione Ecologica.

I dati son presto riassunti: ancora nel 2020 l’Italia usava i sistemi fiscale e parafiscale (bollette) per dare oltre 20 miliardi di euro di soldi pubblici ad attività dannose all’ambiente, una cifra di quasi 3 miliardi maggiore di quella dei
sussidi vantaggiosi e inferiore solo al dato del 2019, inversione di tendenza questa dovuta purtroppo alla congiuntura e non a un cambio di politiche.

Il Catalogo è ormai anche un compendio di teoria economica e di analisi internazionale in materia, eppure son certo che di nuovo non basterà a prevenire nemmeno le più disinformate delle controdeduzioni che a ogni edizione tocca sentire. Tipo che uno sconto fiscale non è un sussidio.

Si arricchisce in questa edizione di approfondimenti, tra le altre cose, su:

  • uno dei suoi punti più controversi: la valutazione del sussidio costituito dalle minori accise sul gasolio per autotrazione rispetto alla benzina;
  • il regime delle royalty su energie minerarie (a dir poco d’attualità, visto che è tornato in auge il sogno autarchico del gas nazionale, come se fosse quasi gratis e abbondante);
  • le norme internazionali su navigazione aerea e in mare (laddove nella prima finalmente si vede una riduzione dei sussidi grazie alle politiche europee in materia);
  • le tariffe idriche e dei rifiuti;
  • l’economia circolare.

Da notare tra i sussidi dannosi l’opportuno inserimento del “capacity market”, il sistema che usa la parafiscalità delle bollette per ripagare interamente costi di capitale di nuove centrali perlopiù termoelettriche.

Sempre impressionanti i numeri sulle aliquote agevolate dell’IVA. (Un caso tra gli altri: che senso ha l’IVA al 4% per la cessione di fabbricati residenziali da parte dei costruttori? Serviva per rilanciare il settore, ma poi si è aggiunto il superbonus per l’efficientamento del patrimonio esistente. Si tratta di oltre due miliardi che il MiTE classifica come sussidio dannoso contro il parere della commissione sulle spese fiscali la quale lapalissianamente lo considera una semplice “aliquota differenziata”).

Della cifra totale dei sussidi dannosi, poco meno di 10 miliardi (la metà) riguardano l’energia. Ne consegue che il deficit tra sussidi buoni e cattivi in seguito alle varie norme salvabollette (che addirittura hanno aggiunto una tassa sulle rinnovabili) è destinato ad aumentare di molto, a meno di non correggere la logica e le condizionalità con cui gli aiuti vengono attribuiti.

Smetterebbero di essere dannosi all’ambiente, credo, se non dipendessero dai consumi effettivi ma da quelli standard basati su tecnologie efficienti, oppure se fossero subordinati ad azioni di efficientamento o all’adozione di tecnologie meno dannose per la salute e il clima.

Il comitato interministeriale per la transizione ecologica si è impegnato a una proposta di programma di superamento dei sussidi dannosi all’ambiente da presentare entro metà 2022. Visto il rischio di esplosione di cui sopra, forse intervenire non è mai stato così urgente.


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domenica 23 gennaio 2022

Ciclovia adriatica (Puntate 511 e 512 in onda il 18-25/1/22)

Vista da punta Aderci verso nord (copyright Derrick)
Vista da punta Aderci verso nord (copyright Derrick)
C’è una regione d’Italia la cui costa è quasi interamente dotata di piste ciclabili in gran parte direttamente sul mare e lontane dalla strada statale principale. A volte integrate in passeggiate di lungomare turistici ormai sempre più arredati e popolati di “chalet”, come va di moda non so bene da quanto chiamarli, che ospitano innumerevoli ristoranti di pesce, pizzerie e gelaterie d’inverno in buona parte chiusi e che nondimeno scandiscono le pedalate tra vento freddo e odore di salsedine.

Questa regione è l’Abruzzo. Il 30 dicembre 2021 l’autore di Derrick è partito dal centro di San Salvo, poco nell’entroterra rispetto all’estremo meridionale della costa d’Abruzzo, e ha iniziato la pedalata verso nord in un percorso che il marketing del turismo efficacemente ha battezzato costa dei trabocchi (che sono quelle costruzioni a palafitta sul mare per pescare, un po’ a forma di gru e piuttosto comuni nell’Abruzzo meridionale e in Molise). Un nome che se capisco bene si associa al tratto fino a Ortona, forse una cinquantina di chilometri da San Salvo. Ma come vedremo il percorso ciclabile prosegue con minime interruzioni fino al confine con le Marche, e valicato il Tronto – dove ancora manca un ponte ciclopedonale - continua ancora sostanzialmente ininterrotto fino a Cupra Marittima per una distanza totale da Termoli di circa 170 chilometri che tocca 3 regioni.

Ciò che distingue la parte più meridionale del percorso, la costa dei trabocchi appunto, è che sfrutta, come in altri casi fortunati in Italia, ampi tratti di infrastruttura lasciata libera dalla linea ferroviaria adriatica che in passato costeggiava il mare molto in prossimità. Chilometri e chilometri sono quindi dominanti sul mare e scanditi da scogli e tunnel ex ferroviari ora illuminati e dedicati alle bici.

Il tratto naturalisticamente più spettacolare però è anche uno dei pochi sterrati, a nord del porto di Vasto, nel promontorio di punta Aderci dove la vista domina decine di chilometri di costa, oltre che il trabocco d’ordinanza.

Proseguendo, con l’eccezione della sonnacchiosa località di Casalbordino dove la ferrovia ancora oggi è a un isolato dal lungomare che si percorre in bici, fino a Ortona il treno si nasconde perlopiù in galleria, e lo spettacolo della costa è tutto per le bici. A nord della città dominante sul mare la pista prosegue in modo spettacolare per un po’ (con vernice celeste ancora fresca il 30 dicembre a colorare le ruote), ma poi si interrompe prima di un nuovo tratto di costa alta che va superato con una strada asfaltata su alcuni tornanti, che è verosimilmente la vecchia Adriatica, oggi per fortuna decongestionata da quella nuova che evita il promontorio e sta più interna. E di cui bisognerà percorrere un paio di chilometri poco più a nord tra il fiume Arielli e Foro di Ortona, dove inizia l’interminabile lungomare di Francavilla che prosegue senza soluzione di continuità in quello di Pescara e poi ancora di Montesilvano, in una specie di metropoli lineare costiera.

Bici all'hotel Maja di Pescara

La seconda e ultima mezza giornata di viaggio è avvenuta il 31 dicembre 2021, in partenza dall’hotel Maja sul lungomare nord di Pescara, che ringrazio per avermi fatto ricoverare la bici in camera.

La ciclabile dei trabocchi è già terminata e l’ho lasciata alle spalle insieme ai trabocchi stessi e alle coste alte, ma non sono finite le bellezze.

Intanto c’è da completare quella che l’altra volta chiamavo la metropoli lineare che inizia a Francavilla e finisce dopo Montesilvano sul fiume Saline, che valico dall’Adriatica (uno dei pochi casi in cui mi capita di percorrerla) anche se ricontrollando le mappe avrei potuto forse percorrere il ponte di una strada secondaria e poi uno sterrato sul mare per poi attraversare sulla spiaggia il torrente Piomba, cosa forse ardua d’inverno e che potrebbe essere il motivo per cui il software di navigazione Komoot mi ha fatto passare sulla statale.

Pineta tra Silvi e Pineto
Sono ora a Silvi marina, dove la pista segue tranquilla il lungomare fino a un piccolo fiume che si supera con un ponte ciclopedonale dedicato (nella maggior parte dei casi in tutto il percorso ho trovato ponti non automobilistici sui fiumi) che porta a una zona di sottile ma bella pineta litoranea che dopo una breve interruzione riprende lunghissima un paio di chilometri a sud del paese di (non a caso) Pineto, dove il treno è rimasto vicino al mare e costeggia a lungo la pista. Anche a Pineto il torrente si passa con un ponte ciclabile,
e poi si prosegue sul mare, solitari e lontani dal traffico a Scerne di Pineto, dove la sensazione di rarefazione e tranquillità raggiunge forse il culmine. Dopo una zona pratosa, la ciclabile, qui mattonata, purtroppo non ha ancora l’infrastruttura per valicare l’importante fiume Vomano, per cui occorre prendere l’Adriatica per riportarsi poi sulla costa a sud di Roseto degli Abruzzi.

Ancora verde, con la riserva del Borsaccio, e poi ancora un rientro sull’Adriatica perché il cicloponte sul fiume prima di Giulianova è in manutenzione (o ancora in costruzione? Non so). Fa freddo e c’è nebbia, mi fermo per un cappuccino e bombolone alla crema al Caffè grande Italia in località Cologna, lasciando tranquillamente la bici ad attendermi fuori con tanto di borse mentre io mi riscaldo all’interno. C’è un clima di sommessa anticipazione di festeggiamenti di capodanno, e mentre faccio la mia seconda colazione gli altri clienti si dedicano all’aperitivo e alle carte da gioco.

A Giulianova inizia una nuova importante conurbazione costiera, con tanti hotel e ristoranti che attendono l’estate e lungomare turistici ormai riccamente infrastrutturati, e solo i ponti ciclopedonali sul Salinello e sul Vibrata segnalano il passaggio a Tortoreto e poi a Martinsicuro. Sul secondo chiedo a un anziano cosa siano quei grossi roditori che lui osserva sulle rive della foce Vibrata: nutrie.

Dopo tanta sonnacchiosa (e climaticamente fredda, aimè) tranquillità, riprendendo la statale per valicare il Tronto ed entrare nelle Marche dove sull’Adriatica e sulla parallela autostrada confluisce il raccordo autostradale da Ascoli, sembra d’esser finiti di colpo a Los Angeles. Sono intimidito dal ruggire dei TIR e alla prima opzione mi ributto sul lungomare.

A Nord della riserva naturale della Sentina, l’atmosfera a porto d’Ascoli con la sua passeggiata lungomare iperarredata sembra oggi rarefatta. Fa freddo. Guardo gli orari dei treni per tornare giù a San Salvo dove ho lasciato la macchina, sperando di trovare posto sulle rastrelliere delle bici.


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Tutte le "camminate impossibili" di Derrick in ordine anticronologico:
http://derrickenergia.blogspot.com/search/label/Camminate%20%28im%29possibili