domenica 5 febbraio 2017

Sicurezza o profitto? (Puntata 301)

È arrivata la sentenza di primo grado sulle responsabilità del disastro ferroviario di Viareggio, dove nella notte del 29 giugno 2009 in seguito a un guasto al carrello di un vagone merci e al conseguente ribaltamento di un serbatoio di gas di petrolio si sviluppò un incendio che si estese al difuori dell’area dei binari e causò oltre 30 morti e sconvolse la vita di molte famiglie della zona.
Le condanne in primo grado colpiscono esponenti dell’azienda proprietaria dei vagoni affittati alle ferrovie italiane, della stessa Trenitalia e di RFI, la società che gestisce la rete ferroviaria italiana, proprietà del gruppo Ferrovie dello Stato.
Tra i condannati, l’attuale AD di Leonardo, Finmeccanica, Mauro Moretti, ai tempi dell’incidente amministratore delegato delle ferrovie.
Le motivazioni della sentenza per ora non sono note, e Derrick si impegna, grazie a consulenti in grado di aiutarlo, a leggerle quando ci saranno.

Nel frattempo sono stato molto colpito da un articolo apparso su Repubblica mercoledì 1 febbraio 2017, in cui si riportano virgolettati del procuratore di Lucca, Pietro Suchan e del PM Salvatore Giannino. A quest’ultimo Repubblica attribuisce la frase: “Questa sentenza pone al centro la sicurezza e non più il profitto”. E ancora “L’incidente è nato da un errore, ma se quell’errore ha generato un disastro è perché il sistema era orientato al profitto e non alla sicurezza”.
Apparso su Repubblica il 1/2/2017

Ma cosa c’entra il profitto? Mi chiedo io. Io mi aspetto che i giudici abbiano indagato la violazione di norme sulla sicurezza o delle prestazioni stabilite dai contratti di servizio nelle diverse aziende coinvolte. Ma non mi aspetto assolutamente che si occupino di stabilire la primazia morale tra sicurezza e profitto. Se non altro, perché è una dicotomia faziosa: il diritto alla sicurezza in che modo dovrebbe essere perseguito tenendo conto della sua concorrenza con il perseguimento del profitto? Se FS fosse ancora l’azienda-carrozzone che perdeva soldi pubblici, allora un livello di sicurezza basso ma perseguito più efficacemente del profitto sarebbe accettabile?

Se è vero che la nostra Costituzione subordina agli interessi del bene comune l’iniziativa imprenditoriale (che “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”), dice anche che è “la legge” che “determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata ai fini sociali”. Ora, per quanto il passaggio sia sibillino in quel riferimento vago ai “fini sociali”, se è la legge che introduce i limiti – anche in favore della sicurezza - all’attività d’impresa, non dovrebbe essere una sentenza a farlo, se non in applicazione di quella stessa legge, no?

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