domenica 10 dicembre 2023

COP28 (Puntate 600 e 601 in onda il 5 e 12/12/23)

Puntata 600

Sultan Al Jaber
il presidente della COP28
È in corso mentre scrivo questa puntata la ventottesima conferenza delle parti ONU sul clima a Dubai, presieduta dall’amministratore delegato dell’azienda petrolifera emiratina che ha dichiaratamente progetti di aumento degli investimenti in idrocarburi mentre la IEA, tra gli altri, ci dice che quelli incorso sono già troppi rispetto agli obiettivi di transizione. (Lo stesso Al Jaber peraltro è anche a capo di un’altra azienda che sta investendo in rinnovabili).

Tra i risultati che ci si attende dall’assise, che verosimilmente saranno espressi con i soliti verbi enfatici e volitivi, ma non prescrittivi, tipo “auspichiamo”, “aspiriamo”, “dichiariamo la necessità di”, c’è:

  • L’obiettivo di triplicare le fonti rinnovabili di energia da qui al 2030, già proposto dal capo del Governo indiano in un recente G20 da lui presieduto (per l’India del resto è relativamente facile perché è all’inizio del processo e di rinnovabili ne ha ancora poche rispetto alla dimensione dell’economia).
  • La messa in funzione del fondo “loss and damage” già battezzato alla COP precedente ma non ancora finanziato, che mira a compensare i costi di adattamento dei paesi che più subiscono i danni del cambiamento climatico.
  • Un obiettivo di riduzione dell’uso di fonti fossili non compensate da tecnologie di neutralizzazione delle emissioni climalteranti attraverso loro separazione e confinamento.

Il 2 dicembre a Dubai c’è stata Meloni che si è impegnata a mettere 100 milioni di € nel fondo e che, secondo un logoro procedimento retorico, ha invitato a una transizione che sia non “ideologica”, per evitare effetti recessivi.

Ora, mi chiedo se sia più recessivo tentare di ritardare un processo d’innovazione proteggendo gli interessi del settore delle fossili oppure cercare di primeggiare nelle tecnologie pulite destinate a prendere sempre più la scena.

Il non essere “ideologici” naturalmente corrisponde nella nuova retorica alla prima scelta, cioè frenare, e quindi verosimilmente perdere l’opportunità di essere leader nelle tecnologie che garantiranno la transizione a emissioni climalteranti nulle o quasi.

È anche vero che gl’investitori e i consumatori sono spesso più avanti della politica. Nei primi 10 mesi del 2023 l’Italia ha installato 4 GW di soli nuovi impianti fotovoltaici, oltre il doppio dello stesso periodo di un anno prima, un risultato notevole ma ancora contenuto dalla difficoltà autorizzativa sugli impianti più grandi e sull’eolico. Il tutto mentre un decreto energia introduce varie deregulation in nome della sicurezza energetica ma che si applicano, curiosamente, solo ad attività inerenti a quelle fossili.

Puntata 601

Cifra tonda a Derrick con la puntata 600, questa, ma non c’è molto da festeggiare stando alle notizie che arrivano da Dubai dove si svolge la conferenza annuale sul clima dei quasi 200 paesi che partecipano alla convenzione-quadro ONU per coordinarne le politiche.

Lo scenario di partenza già non è positivo, visto che i dati provvisori di Carbon Project vedono per il 2023 un nuovo aumento delle emissioni-serra globali a quasi 37 miliardi di tonnellate, oltre 1% in più dell’anno prima, che non è certo il trend necessario per contenere a un grado e mezzo il riscaldamento rispetto all’era preindustriale come i paesi della convezione si sono impegnati a fare nelle precedenti assise.

Emissioni che arrivano soprattutto dalla combustione di idrocarburi fossili, cioè carbone gas naturale e derivati del petrolio, ma anche, ragguardevolmente, dalle emissioni di metano da agricoltura e da attività minerarie ed energetiche. Quest’ultimo punto, in forma di impegno a disperdere meno metano da parte delle aziende di petrolio e gas, rischia di essere l’unico risultato rilevante di questa COP se non si riuscirà a trovare un accordo per la riduzione dell’uso delle energie fossili.

Riduzione che non sembra considerata nel dimensionare gli investimenti del settore, inclusi quelli dell’italiana Eni in violazione di impegni presi dal nostro Paese alla COP26 di Glasgow. Investimenti ridondanti rispetto a uno scenario di contenimento di queste fonti, come evidentemente teme la stessa OPEC, che già in difficoltà per i prezzi del petrolio in calo e per il non rispetto delle quote produttive di alcuni suoi membri si è rivolta alla COP28 con una diffida all’introduzione di impegni di abbandono delle energie fossili.

Il senso comune suggerisce che la mancata emancipazione dai combustibili fossili sia motivata dalla loro economicità rispetto ad altre energie. Ma si sbaglia, perché ignora i sussidi che vengono dati a queste fonti con spesa pubblica, oltre il 7% del pil mondiale come calcola il Fondo Monetario Internazionale, mentre per l’Italia il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica stima gli aiuti pubblici alle fossili in oltre 20 miliardi di € all’anno, quasi tutti in forma di facilitazioni fiscali, una cifra ben maggiore di tutti i sussidi favorevoli all’ambiente.

Dati che per quanto ripetuti da studiosi e analisti (recentemente per esempio su Lavoce.info da Alessia Fiorini ed Eleonora Trentini) sembrano ignorati anche dai politici che abbracciano la retorica di una presunta onerosità della transizione ecologica. E invece cosa c’è di più esoso e inefficiente che dare più sussidi pubblici alle fonti fossili che a quelle pulite?

Se alla COP28 si faranno passi avanti dipenderà come ogni anno dalla capacità dei quasi 200 di trovare un accordo unanime. In un articolo su Formiche, Corrado Clini auspica l’introduzione di decisioni a maggioranza nelle COP. Terrebbe la convenzione se diventasse così impegnativa per i paesi più scettici? Secondo un’intervista sul Sole 24 ore a Luca Bergamaschi, condirettore del think tank ECCO con cui io stesso collaboro, non c’è alternativa al pur faticoso multilateralismo.

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