lunedì 18 febbraio 2019

Analisi costi/benefici 2019 TAV Torino-Lione (Puntate 387 e 388 in onda il 19 e 26/2/19)

Con Laura Zigiotti

Analisi economica/analisi politica

Nelle discussioni seguite alla pubblicazione (tardiva) dell’analisi costi-benefici per l’Italia della nuova linea ferroviaria Torino-Lione si tende a confondere l’analisi economica con quella politica, con la conseguenza che i “sì tav” e i “no tav” affermano che certe voci dovrebbero o non dovrebbero essere incluse nell’analisi perché le ritengono eque o inique, mentre l’approccio microeconomico tende a valutare l’effetto netto complessivo di un’opera per tutti i soggetti coinvolti, a prescindere da questioni distributive che attengono invece alla politica.

Per questo il Governo è stato ingenuissimo a pensare di risolvere solo con un’analisi di costi/benefici economici una scelta politica. E ha sbagliato, a nostro avviso, a scegliere un team di esperti che si era già in passato espresso a sfavore di infrastrutture ferroviarie simili, non perché il team di Ponti non sia autorevole, ma perché scegliendo altri il Governo avrebbe evitato dubbi di pre-schieramento.

Le analisi costi-benefici applicate a opere pubbliche con l’obiettivo di misurare gli effetti sul welfare complessivo non si limitano a simulare transazioni esplicite (per esempio un consumatore in seguito all’opera pagherà più o meno un bene, o ne pagherà uno diverso) ma anche aspetti per intervenire sui quali qualcuno pagherebbe, se potesse, cioè le cosiddette esternalità (nel nostro caso il rumore, l’inquinamento, il consumo di suolo, l’emissione di gas dannosi al clima, la perdita di tempo per congestioni di trasporto).


Ponti et al.: opera debole sul piano della valutazione economica, ma i costi di uscita tardiva sono incerti e potenzialmente alti

Figura tratta dallo studio di Ponti
Quali sono i risultati dell’analisi di Ponti dunque? Secondo lo scenario di traffico considerato più probabile dagli autori, il valore economico sociale complessivo dell’infrastruttura (che è prevista costare in totale una decina di miliardi) è negativo per circa 8 miliardi attualizzati (cioè riportando a oggi, scontate degli interessi, tutte le partite future).

Se come vedremo questa valutazione è inevitabilmente opinabile, riguardo ai costi di abbandono dell’opera, cioè dell’opzione opposta, trattati in un documento separato reso anch’esso pubblico dal Governo, non ci sono nemmeno stime complete da aggiungere ai numeri di Ponti, che ipotizza  costi di ripristino dei cantieri aperti per 350 milioni e di adeguamento della vecchia linea ferroviaria storica per 1,5 miliardi. Tutto il resto, in particolare penali e conseguenze civili dall’abbandono, appare incerto. Per non parlare dei costi politici di effetti anche secondari di isolamento dovuti alla decisione di non rispettare i nostri impegni come Paese: come valutarli?


Criteri generali d'analisi costi/benefici: effetti da mercati espliciti e da esternalità

Per quanto riguarda gli effetti legati a transazioni economiche, l’analisi costi/benefici ha l'obiettivo di tener conto di come cambia in termini netti il surplus dei consumatori e dei produttori, cioè quanto i consumatori potranno acquistare beni o servizi a un prezzo più basso del massimo che sono disposti a spendere e quanto i produttori potranno vendere a un prezzo più alto dei loro costi. Il nome “surplus” usato dai microeconomisti indica appunto una sorta di ricchezza netta resa possibile dalle transazioni, a loro volta rese possibili (o non più possibili) dall’opera. Meri trasferimenti di denaro invece di norma non dovrebbero essere considerati secondo le linee guida europee. Per esempio: una tassa sul consumo pagata allo Stato non va considerata perché è un puro trasferimento di denaro che non modifica i surplus, mentre fanno eccezione le tasse ambientali introdotte per correggere le esternalità.

L’allargamento dell’analisi a fattori non legati a transazioni economiche introduce ulteriori elementi di complessità e costringe a fare assunzioni talvolta opinabili, per esempio in termini di simulazione della disponibilità a pagare per avere un bene o evitare un male per cui non esiste un mercato diretto, del valore di un danno e del suo rischio. Si resta però pur sempre nell’ambito di metodologie abbastanza consolidate nella letteratura economica, e su cui esistono appunto linee-guida UE consultabili ai link sotto e di cui teniamo conto nei commenti che seguono all’analisi costi-benefici di Ponti (consultabile anch’essa al link sotto).


Alcuni commenti di Derrick allo studio costi/benefici di Ponti sulla nuova tratta ferroviaria Torino-Lione e ad aspetti legati a esso
  • Che l’opera per l’UE abbia senso e che richieda trasferimenti pubblici per essere finanziariamente sostenibile è in parte insito nella sua inclusione in uno dei corridoi “Trans European Network” e nell’assegnazione di trasferimenti UE a fondo perduto. Tra i motivi del sostegno europeo ci sono l’integrazione economica e sociale e la lotta ai cambiamenti climatici anche attraverso lo sviluppo dell’intermodalità treno-gomma. (La stessa UE, peraltro, afferma che i progetti da finanziare devono aver senso in termini di traffico atteso di persone e merci).
  • Proprio le previsioni di traffico sono uno dei punti più controversi sulla Torino-Lione. Secondo Ponti le stime della precedente analisi del 2011 sono di molto eccessive (per motivi discussi anche in vecchie puntate di Derrick linkate sotto). Di conseguenza le prospettive di cambio modale delle merci da gomma a treno sono molto basse secondo Ponti, anche perché la capacità dei valichi stradali non è satura nei giorni feriali in cui marciano i TIR, e a maggior ragione non lo sarà dopo il raddoppio del tunnel stradale del Frejus previsto entro il 2019.
  • Ai vantaggi ambientali da traffico stradale evitato lo studio dà un peso ridotto che tiene conto dei trend di diminuzione delle emissioni inquinanti del traffico su gomma grazie all’evoluzione dei veicoli a combustione. In realtà non tutti i dati riportati dallo stesso studio riguardo al trend 2007-2017 in alcuni dei nodi stradali interessati mostrano riduzione rilevante di polveri sottili e ossidi di azoto. È vero però che ci si aspetta dal futuro un miglioramento decisivo dei TIR, con adozione di propulsori a gas naturale liquefatto – già oggi disponibili e in via di diffusione - e in un secondo momento elettrici con eventuale uso di celle a combustibile alimentate a idrogeno.
    In generale, quest'analisi in prospettiva fatta sul traffico su gomma è censurabile nel momento in cui una simile analisi non viene applicata anche al traffico ferroviario, che consumerà elettricità sempre più proveniente da fonti rinnovabili. Infine: è chiaro che la regolamentazione in termini di accise sui carburanti avrà un ruolo decisivo su questo passaggio, e più in generale che il senso di una grande opera pubblica è legato alle politiche pubbliche future e alla loro coerenza con l’opera. Anche per questo un’analisi costi-benefici a politiche correnti non può da sola esaurire la questione.
  • Due aspetti contro cui i “Sì-tav” si sono scagliati rispetto allo studio di Ponti sono il fatto che esso includa la perdita di accise da combustibili per lo Stato e di surplus dei concessionari autostradali per i pedaggi in relazione al passaggio modale da gomma a treno. Riguardo alle accise, è vero che di norma le tasse sono meri trasferimenti da non considerare in un’analisi di welfare complessivo secondo le linee-guida UE, ma è anche vero che le accise sui carburanti hanno (o meglio dovrebbero avere) il fine di compensare esternalità ambientali, la cui riduzione è anch’essa considerata nello studio. Che quindi, includendo entrambe le voci, tiene conto dell’effetto netto in termini di esternalità non corrette da accise (il tema non è affatto pacifico, ma sono proprio le linee-guida UE a stabilire per le imposte pigouviane un’eccezione alla regola generale). Derrick sarà felice di ospitare esperti in materia).
    Circa i pedaggi autostradali, fintantoché essi appaiono sia come costo risparmiato dagli utenti con il cambio modale sia come perdita di surplus per i concessionari di autostrade, è giusto che ci siano. Tuttavia è divertente vedere come un Governo che ha fatto una guerra senza quartiere a Autostrade per l’Italia dopo il crollo di ponte Morandi consideri ora la perdita di margini dei concessionari autostradali come un elemento piuttosto rilevante nel bilancio negativo alla TAV Torino-Lione.
  • Lo studio limita l'analisi ad aree più ristrette di quelle che potrebbero avere effetti dalla nuova infrastruttura.


Conclusione

Ecco la conclusione di Derrick: lo studio costi/benefici commissionato dal Governo sulla nuova tratta ferroviaria Torino-Lione ha punti discutibili ma non è per nulla sciatto o con errori marchiani come hanno sostenuto alcuni suoi detrattori. Però non analizza gran parte dei costi dell’abbandono dell’opera, che sono trattati in un altro documento di taglio giuridico che non fa una  valutazione economica complessiva. Ponti, con ragioni piuttosto solide, insiste che l’opera non sta in piedi, ma il Governo non ha prodotto alcuna prova che i costi di uscirne ora siano inferiori al valore economico attualizzato netto negativo che Ponti calcola.



Link utili:


lunedì 11 febbraio 2019

Auto intelligenti e mercato (Puntata 386 in onda il 12/2/19)

Mare mosso a Salerno
Oggi citerò due articoli recenti di due grandi giornali, Financial Times e Economist. (A chi mi dice che è un po’ radical chic riferirsi a testate del genere rispondo che non l’ho deciso io che sia il giornalismo anglosassone ad avere queste punte di approfondimento e competenza). L’articolo sul FT, di Patrick Mc Gee del 1 febbraio 2019, parla della prossima generazione di autoveicoli e del ruolo che in essi avrà l’intelligenza artificiale.

Quando si dice che le grandi aziende sono miopi e non sanno guardare oltre la remunerazione di breve termine degli azionisti non si tiene conto di un fenomeno opposto, che nel settore di cui parliamo sta avvenendo: aziende che sviluppano tecnologie per la guida autonoma sono state acquistate a caro prezzo o hanno comunque visto la capitalizzazione andare alle stelle ben prima di intravvedere qualunque utile da questo business. Tra i giganti del settore c’è Waymo, l’azienda specializzata di Google.

Secondo molti analisti l’intelligenza artificiale della guida autonoma, insieme a tutta la filiera che la renderà possibile (tra cui la digitalizzazione e compressione efficiente delle mappe di super dettaglio o, in alternativa, le capacità di comunicazione veloce tra auto e database remoti) tenderà a essere fornita da poche aziende, meno di quante oggi occupino un settore peraltro già concentrato come quello della produzione automobilistica. Tant’è che già si prefigurano alleanze tra produttori in passato acerrimi concorrenti, come Mercedes e BMW. BMW che, insieme a Fiat Chrysler, sta contribuendo anche a una piattaforma di guida autonoma sviluppata da Mobileye, azienda israeliana comprata da Intel nel 2017 per oltre 15 miliardi di dollari, scrive il FT.

Probabilmente, azzardo io, è proprio la necessità di interoperabilità a rendere intrinsecamente concentrato il settore dell’intelligenza veicolare, un po’ come avvenne con i sistemi operativi per personal computer, dove il mondo si divise tra sole due piattaforme. In più ora c’è la necessità di tutti gli operatori di usare dati relativi alle stesse strade.

L’altra citazione che avevo promesso all’inizio era dall’Economist, che fa il punto della disfatta in Cina (e non solo) di aziende di bike sharing urbano, che hanno investito enormemente, con grande ottimismo (e con quella visione tutt’altro che ragionieristica cui accennavo prima) ma facendosi una concorrenza insostenibile l’una con l’altra, fino a non essere minimamente in grado di ripagare il costo del capitale. Mi chiedo se questo sia un segnale che perfino nel meno complesso mondo delle bici condivise saranno inevitabili forme di cartelli o di qualche barriera all’entrata al mercato per garantire la sostenibilità economica. 

Un tema che mi appassiona, spero di avere presto elementi per riprenderlo.


Link utili:



lunedì 4 febbraio 2019

Reddito di cittadinanza e bollette (Puntata 385 in onda il 5/2/19)

Con Elisa Borghese

Grazie anche al lavoro di Elisa Borghese, frequente coautrice di Derrick, facciamo qualche considerazione dalla lettura del decreto sul cosiddetto reddito di cittadinanza (d’ora in poi anche RDC), che come abbiamo già detto “di cittadinanza” non è ma è legato a condizioni di reddito, patrimonio e disponibilità ad accettare lavori o a formarsi.

Riparazione di fortuna su una Peugeot anni '90 a Cuba
Concentriamoci proprio su alcune delle condizioni di accesso.
Quella principale è un ISEE inferiore a 9360 Euro per il nucleo familiare. (L’ISEE è un indice sintetico che tiene conto di aspetti reddituali, patrimoniali e di necessità di potere d’acquisto).

Il decreto sull’RDC pone però anche paletti specifici sul patrimonio e sulla proprietà di beni durevoli. Per esempio, qualsiasi auto acquistata nuova da un familiare fa perdere il diritto per sei mesi, che diventano due anni per le cilindrate medio/alte (questo accanimento sulla cilindrata anziché su potenza o emissioni è davvero anacronistico). Sempre incompatibile è poi la proprietà di imbarcazioni da diporto, e questo deriva forse dalla celebre promessa di Di Maio di non permettere l’uso dell’RDC a fini voluttuari, promessa che se mantenuta davvero implicherebbe, temiamo, l’instaurazione di una dittatura di polizia.

Sui limiti al reddito s’inserisce uno strano collegamento tra RDC e le bollette di luce e gas. Perché?
Perché il decreto stabilisce che chi ha diritto al reddito di cittadinanza acquisisce anche diritto al bonus bollette, che è uno sconto già in essere e pagato nel sistema delle bollette e non dal fisco, volto a combattere la cosiddetta “povertà energetica”, che andrebbe identificata secondo l’UE anche con parametri specifici legati tra l’altro alla zona climatica, alla remotezza e all’efficienza energetica dell’abitazione, ma che in Italia si fa coincidere con un ISEE inferiore a un determinato livello, che, attenzione, è più basso di quello previsto per l’RDC.
Ecco, questa è una questione critica. Perché lega alle condizioni di accesso all’RDC la fruizione di un vantaggio che invece dovrebbe essere connesso ad aspetti di vulnerabilità specifici del settore energia e, inoltre, estende questo vantaggio a fasce di reddito prima escluse. Come dire che un pezzetto dei vantaggi introdotti dall’RDC sarà erogato e pagato dalle bollette.

Siamo quindi di fronte a un nuovo passo in direzione della fiscalizzazione dirigista delle bollette, sempre più usate per finalità – in questo caso di welfare - estranee al loro ambito.

Oltre a Elisa Borghese, ringrazio per questa puntata Francesco Mingiardi e Alessandro Massari per la consulenza.


Link utili: