Questa è la terza puntata (qui la seconda) di Derrick speciale economia
dedicata alla cosiddetta speculazione. Che per chi ne usa le accezioni negative
vuol dire cupidigia applicata ai soldi e ai mercati. Non ho mai sentito nessuno
prendersela con la speculazione di uno che compra un bene che gli serve
cercando di pagarlo il meno possibile. Ma se uno compra qualcosa per rivenderlo
e farci una differenza, beh allora rischia la bolla di speculatore. Come mai? E
chi lo sa.
L'altra volta accennavo ai derivati, simbolo forse per
antonomasia della speculazione e della finanza deteriore. Guido Rossi ha
scritto sul Sole 24 Ore che i derivati son diventati da strumenti di copertura
del rischio a scommesse da casinò.
Cosa sono i derivati? Sono
contratti finanziari il cui valore dipende da qualcos'altro che è detto sottostante, e che di solito è il prezzo
di un bene scambiato in mercati organizzati, oppure un indice finanziario pubblicato.
Facciamo un esempio: il contratto
con cui una parte s'impegna a cedere all'altra i futuri aumenti di prezzo del
sottostante, e a vedersi invece riconosciute le sue eventuali riduzioni, si chiama
future, ed è il più semplice
derivato. Un future sul cherosene,
per esempio, può essere comprato da una compagnia aerea per proteggersi dal
rischio che il prezzo del carburante aumenti (perché in tal caso spende sì di
più per fare il pieno, ma guadagna dal future), ma implica la perdita del
vantaggio se il prezzo scende. La controparte di questo future può essere
un'azienda che invece vuole proteggersi dalle riduzioni di prezzo del
cherosene, per esempio un raffinatore. Oppure può essere un operatore che
scommette sulla riduzione del prezzo, in modo speculativo.
Dove sta la malvagità di questi
contratti derivati? Non c'è una malvagità intrinseca: esistono dal '700 accordi
tra operatori industriali o commerciali che vogliono modificare la propria
esposizione al rischio di fluttuazione del prezzo di un bene con cui hanno a che fare. Però è
vero che i derivati sono oggetti delicati, perché espongono il sistema a forti
rischi di insolvenza delle controparti. Perché? Perché i derivati, pur
esponendo a piacere ai rischi di fluttuazioni del valore del bene sotteso, non
prevedono di acquistare o vendere questo bene fisicamente, né di pagarlo. Quindi manca una garanzia naturale sul fatto che la controparte abbia
i soldi per pagare poi le eventuali perdite.
Inoltre, e qui parliamo invece di
rischio per i risparmiatori, i derivati più esotici, per esempio quelli che
includono opzioni, possono essere difficili da valorizzare per una controparte
non professionale.
Facciamo un esempio. Se siete
clienti di una banca aggressiva nella raccolta del risparmio, vi sarà capitato
di sentirvi offrire certificati legati all'andamento di un indice di mercato,
del tipo, per esempio, che se la borsa sale vi spetterà una parte predefinita e
limitata di guadagno, mentre se scende fino a un certo punto non perderete
nulla. Vi si propone quindi una rinuncia a certe opportunità e a certi rischi.
C'è qualcosa di male? Di principio no. Peccato che un risparmiatore non abbia i
mezzi per valutare l'equità del patto.
Mettiamola in questi termini: è più probabile che ex post ci avrà
guadagnato la banca, o voi? Beh, una cosa è certa: la banca è preparata a fare
questo conto, e difficilmente vi vende un certificato il cui valore atteso è
negativo per lei.
Forse allora abbiamo un
risultato parziale: la finanza, che non è cattiva in sé, se comporta scambi con
assimetrie informative, può diventare parassitaria.
Riguardo ai derivati, comunque, siamo
solo all'inizio. Ci sentiamo la prossima settimana.
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