Siamo alla quarta puntata (qui la terza) di Derrick speciale economia
dedicata alla speculazione, o meglio a una carrellata delle sue possibili
accezioni, di questi tempi perlopiù negative dal punto di vista del cosiddetto
sentire popolare.
Alla fine dell'ultima puntata parlavo dei certificati legati
all'andamento della borsa venduti da molte banche, che permettono di guadagnare
se la borsa sale, ma evitando parte dei rischi di discesa. Sono anche quelli
assimilabili a derivati. Dicevo che un loro problema è che è difficile per un
risparmiatore capire se i guadagni a cui si rinuncia sono troppi rispetto ai
rischi evitati. Un possibile trucco, allora, se questi certificati sono
scambiati in un mercato, è non comprarli in prima emissione al prezzo stabilito
dalla banca, bensì poi, sul mercato secondario. Che se è sufficientemente
liquido – cioè frequentato – tende ad attribuire ai certificati il loro valore
"giusto", o meglio quello che per la comunità che ci partecipa rende
indifferente l'acquisto in termini di valore del portafoglio.
E qui mi scappa una considerazione generale: nel periodo
buio che attraversiamo, la parola "mercato" a molti fa paura. Meglio,
si pensa, un amministratore pubblicistico che decida il prezzo dei beni. Questo
implica un'enorme fiducia verso questo decisore che fa il prezzo, e verso la
sua assenza di interessi privatistici. Un mercato liquido e ben regolato,
invece, non ha bisogno di gente altruista per fare il prezzo equo: ha solo
bisogno che più soggetti possibili facciano i loro interessi privati e abbiano
accesso all'arena con lo stesso livello di informazioni.
Torno ai derivati. Un motivo per cui non godono di buona
stampa sono le perdite che stanno causando agli enti locali. Oltre 1 miliardo
secondo Bankitalia. Che cos'è successo? È successo che banche hanno stipulato
con gli enti locali contratti derivati che attribuivano agli enti, probabili
rischi futuri, in particolare sull'andamento dei tassi di interesse, a fronte
di un iniziale flusso di cassa verso gli enti stessi. L'atteggiamento degli
enti locali era speculativo? Sì, visto che si assumevano un rischio, anziché
moderarlo. Anzi, peggio, a fronte di un vantaggio iniziale introducevano costi
probabili e di ammontare incerto alla comunità e ai suoi futuri amministratori.
Da un lato quindi c'erano amministratori pubblici ignoranti o in mala fede,
dall'altro banche che, a meno che non fosse tutta malafede degli
amministratori, non fornivano loro corretta informazione.
Sono diabolici i derivati sui cambi o sui tassi di
interesse, come scrivono Elio Lannutti di Adusbef e Rosario Trefiletti? No: era
irresponsabile l'uso che ne facevano gli enti locali, che per fortuna dal 2008
non possono più.
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