lunedì 10 ottobre 2016

Diritto all'informazione o all'anonimato? Il caso Elena Ferrante - D289

Ho letto voci che considero autorevoli, come quelle di Tonia Mastrobuoni e Nadia Terranova, criticare l’articolo sul Sole 24 Ore con cui Claudio Gatti dà conto di un’indagine documentale sua e di suoi colleghi di altre testate che porta a svelare la vera identità del nom de plume Elena Ferrante, narratrice ormai star internazionale dell’editore romano E/O.
Gatti arriva alla sua deduzione analizzando i bilanci di E/O, che è una società di capitali e deve quindi depositarli, e visure catastali (che chiunque ormai può fare online pagando piccole somme) riguardo alle proprietà immobiliari dell’autrice.
Tonia Mastrobuoni e Michele Serra, in particolare, parlano di “diritto all’anonimato” o “all’assenza” violato per la Ferrante.

Un'installazione a Expo 2015
Esiste un simile diritto nel nostro ordinamento? Sì, nelle norme del diritto d’autore, che danno gli strumenti giuridici a un autore per percepire compensi anche se non vuole rivelare la sua identità.
Ma né l’ordinamento né la giurisprudenza limitano la libertà di chiunque di informarsi e rivelare, senza violare altre norme, l’identità di un autore che pure non lo desideri. Se così non fosse, avremmo una limitazione della libertà d’informazione (diritto passivo di tutti noi previsto in Costituzione) basata sul semplice desiderio dell’interessato di essere lasciato in pace.

Oltretutto, sia la giurisprudenza sulla privacy sia quella sul cosiddetto diritto all’oblio discriminano i personaggi pubblici, verso i quali considerano la curiosità pubblica, chiamiamola così, maggiormente degna di tutela.


Deve comunque un giornalista rispettare una deontologia nel rendere pubblici dati, pur pubblicamente accessibili, come appunto parti del bilancio di una s.r.l. o una visura catastale? Sì, secondo il garante della privacy che ha pubblicato lineeguida in materia: il giornalista deve valutare la congruità della diffusione delle informazioni rispetto al fatto d’interesse pubblico narrato.
E Gatti a mio avviso lo fa: infatti non scrive a quanto ammontano i compensi trasferiti da E/O, né dov'è l'immobile dell'autrice a cui fa riferimento, né altri dati personali cui comunque ha avuto accesso. Semplicemente scrive chi è Elena Ferrante e spiega come l’ha capito. Risponde cioè alla curiosità indurre la quale è uno dei fini (se non voluto, prevedibile e inevitabile, e verosimilmente remunerativo) della scelta di anonimato editoriale.

A ben vedere nelle censure a Gatti c’è anche un altro filone: il tabù del fare i conti in tasca alla gente. Come se far soldi fosse un’onta. E Gatti peraltro non rivela le cifre.

Sapete una cosa? A me che qualcuno oggi riesca a fare milioni con un romanzo sembra una notizia bella e meritevole di pubblicità e sì, sono curiosissimo di sapere chi. E grato a chi come Claudio Gatti sa fare giornalismo investigativo e non solo d’opinione.


Per la consulenza a questa puntata ringrazio Fabio Macaluso (qui su twitter), avvocato esperto in diritto d’autore, di cui ha scritto in “E Mozart finì in una fossa comune” per le edizioni Egea, e autore sull’Espresso del blog “impronte digitali”, dove anche lui si occupa del caso Ferrante.

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