Uno dei limiti dei mercati
spot (cioè di breve termine) dell’energia elettrica è la loro forte volatilità.
Esistono prodotti finanziari scambiati dentro e fuori dalle borse che
permettono di fissare in anticipo il prezzo dell’energia, ma tipicamente non
sono abbastanza liquidi su coperture oltre i pochi anni. Per questo chi vuole
investire in nuove centrali tipicamente deve prendersi il rischio che
l’elettricità valga in futuro meno di quanto serve per ripagare l’investimento.
Una casa nelle Cotswolds (UK) fotografata da Derrick nel 2012 |
A pensarci bene, questo succede in quasi tutti i settori: gl’imprenditori è
normale che prendano il rischio di creare capacità produttiva che potrebbe
rivelarsi in eccesso, a fronte della speranza di ottenere se va bene guadagni
maggiori al rendimento di
un bond strasicuro.
Nei mercati liberalizzati
dell’elettricità dicevo che il principio vale, ma con alcune eccezioni. Una ha
recentemente riguardato il nuovo nucleare inglese, al quale la politica locale ha
deciso di assicurare per decenni una remunerazione predefinita e molto alta (a
spese delle bollette) e di cui qui a Derrick abbiamo trattato diffusamente.
Un’altra eccezione
riguarda, anche in Italia, le nuove fonti elettriche rinnovabili a cui viene
garantito un prezzo predefinito per un po’ di anni. Prezzo che però, a
differenza del caso nucleare inglese, viene stabilito in modo competitivo
attraverso aste al ribasso.
Bene, qualche giorno fa,
con un simile meccanismo di aste, il governo britannico è riuscito ad
assicurarsi da controparti di mercato una capacità produttiva futura di oltre
2000 MW da centrali eoliche in mare a un prezzo tra i 65 e gli 85 €/MWh. Molto
meno degli oltre 105 garantiti (a cambio attuale) al nuovo nucleare di Hinkley Point, e per una
capacità produttiva simile.
Perché si tratta di un
risultato clamoroso? Perché mostra una tendenza di riduzione dei costi dell’eolico
marino ancora più veloce di quanto s’immaginasse prima di queste aste, e per
una tecnologia che è tra le più costose tra le fonti rinnovabili.
Dunque l’eolico offshore
batte di gran lunga il nucleare per economicità?
In prima istanza senza
subbio sì.
Un’obiezione certamente valida è che i costi di produzione potrebbero
non essere indicativi del costo totale per il consumatore. Infatti per l’eolico
essi non comprendono i costi di backup che il sistema elettrico deve essere
pronto a fornire, e pagare, quando il vento cala. Nel caso del nucleare invece
il costo di produzione non include, o non interamente, gli oneri, scarsamente stimabili,
della messa in sicurezza definitiva delle scorie (per ora non attuata in nessun
luogo del mondo), e di certo non quelli potenzialmente enormi di incidenti
catastrofici.
Tanto vale dunque basarsi
sui soli costi di produzione a cui l’industria oggi è disposta a impegnarsi.
Alla luce dei quali non stupisce che per esempio Caroline Lucas dei verdi
inglesi, come riporta Adam Vaughan sul Guardian dell’11 settembre 2017, ritenga
che si dovrebbe ripensare l’impegno sul nuovo nucleare britannico, vista la
disponibilità di alternative altrettanto vaste e si direbbe molto più
economiche per la produzione elettrica senza emissioni-serra.
Link utili:
- La serie di puntate di Derrick sul nuovo nucleare inglese sussidiato: https://derrickenergia.blogspot.it/2013/10/d179-il-nuovo-nucleare-inglese-di-stato.html
- Adam Vaughan su questo tema sul Guardian del 11/9/17: https://www.theguardian.com/environment/2017/sep/11/huge-boost-renewable-power-offshore-windfarm-costs-fall-record-low