Un reddito universale è
improponibile come dicono i detrattori? Un articolo recente sul Financial Times
di Ian Goldin è utile a passare in rassegna alcune insidie dell’Universal Basic
Income, come lo chiama lui.
Nasceranno nuovi lavori umani più avanzati a sostituire quelli fatti dai robot? |
Intanto: se se ne parla
tanto ultimamente, ci sono dei motivi: non solo sentiamo ancora gli effetti
della crisi nell’occupazione, ma le prospettive rispetto a cosa dobbiamo
aspettarci in termini di piena occupazione sembrano preoccupanti. Una ricerca
dell’Oxford Martin School, citata da Goldin, stima che nei prossimi 20 anni
quasi la metà dei lavori negli USA e in Gran Bretagna potrebbero essere
sostituiti da macchine. Potremmo obiettare che come nelle precedenti
rivoluzioni industriali arriveranno nuovi lavori di qualità a sostituire i
vecchi. Ma quest'aspettativa potrebbe essere troppo ottimista, se guardiamo a quanto questo tasso
di sostituzione stavolta si stia mostrando basso.
Ora, un mondo che con
meno lavoro riesce a produrre le risorse che gli servono (al netto delle
sperequazioni, e crescita della popolazione permettendo) non sembra di primo
acchito un posto così brutto. Ma lo diventa se il lavoro è la principale fonte sia
di redistribuzione del reddito, sia di inserimento sociale. (Su quest’ultimo aspetto
consiglio di riascoltare un’intervista di Marco Bentivogli per Derrick, il cui link è sotto).
Perché non pensare dunque
a un reddito universale per distribuire la ricchezza prodotta col
coinvolgimento di meno occupati? Un reddito universale, a differenza di
meccanismi di welfare ai soli non occupati, ha il vantaggio di disincentivare
meno il lavoro, visto che si cumula allo stipendio. Ma
questo vantaggio si lega anche al principale problema di un reddito universale:
costa moltissimo e va solo in piccola parte a coloro per cui è indispensabile,
e quindi – pur utile a ridurre la povertà – non è efficace a ridurre le
sperequazioni.
E l’altro grande problema
è quello cui accennavo poco fa: il reddito universale non sostituisce il lavoro
in termini di coesione e inserimento sociale – difetto che però in questo caso
condivide con tutte le forme di welfare con trasferimenti monetari, a meno che
questi ultimi non siano legati a comportamenti virtuosi di chi li percepisce,
come per esempio cercare attivamente lavoro, formarsi, svolgere attività
socialmente utili per quanto non remunerate dal mercato.
Allora, se il reddito
universale non va bene, come si affronta un possibile futuro con
strutturalmente meno occupati?
Lavorare meno ma in tanti potrebbe essere una soluzione, ma è difficile applicarla ai lavori più qualificati, che richiedono sia dedizione continua in chi li svolge, sia investimenti in formazione tali da rendere irrazionale poi un impegno part time.
Lavorare meno ma in tanti potrebbe essere una soluzione, ma è difficile applicarla ai lavori più qualificati, che richiedono sia dedizione continua in chi li svolge, sia investimenti in formazione tali da rendere irrazionale poi un impegno part time.
Chiudo in modo fosco: e
se fosse illusoria la prospettiva di un mondo che produce quel che ci serve
quasi automaticamente? E se fossimo sull’orlo di problemi globali tali da
obbligarci di nuovo a lavori faticosi a cui non siamo più abituati? Immaginate
se un giorno tutti i microprocessori del mondo smettessero di funzionare.
Link utili:
- La puntata di Derrick sulla funzione di integrazione sociale del lavoro, con sintesi di intervista (e link a intervista integrale) a Marco Bentivogli: https://derrickenergia.blogspot.it/2016/02/il-lavoro-sara-ancora-lunico-fattore-di.html
- Five reasons why Universal Basic Income is a bad idea di Ian Golding sul Financial Times dell'11/2/18: https://www.ft.com/content/100137b4-0cdf-11e8-bacb-2958fde95e5e