Ho letto un interessante articolo di Walt Patterson sull’Energy
Post in cui a partire da dati di un osservatorio del Chatham House Institute di
Londra si ipotizzano scenari geopolitici legati alla rivoluzione energetica che
il mondo sta imboccando con gli enormi investimenti in energie rinnovabili e
quindi il progressivo previsto affrancamento dalle fonti fossili.
Ecco alcune tendenze
citate nell’articolo.
Una bicicletta luminosa fotografata a Mondavio |
Se risorse minerarie
fossili perderanno importanza, verranno meno i vantaggi legati alla loro detenzione.
Vantaggi che peraltro – aggiungo io - non necessariamente hanno portato a
sviluppo i paesi ricchi di risorse. Con il termine “sindrome olandese” gli
economisti chiamano proprio la tendenza dei paesi esportatori di risorse a
perdere competitività in altri settori come il manifatturiero. A questo
potrebbe aggiungersi che, se una ricchezza è concentrata in risorse
di
proprietà pubblica, essa non facilita lo sviluppo di democrazie legate
all’emergere di una classe imprenditoriale.
Ma a parte questo: diventeranno
il sole e il vento i nuovi petrolio e carbone in termini di ruolo geopolitico
di chi ne è ricco? Probabilmente no, o non del tutto: i sistemi elettrici in
cui l’energia prodotta è convogliata sono molto meno globali dei mercati dei
combustibili fossili. È anche vero però che le interconnessioni tra paesi
stanno aumentando e che contratti internazionali di fornitura di elettricità
verde si stanno sviluppando. Sempre più importanti le reti dunque, e sempre
maggiori le opportunità di business per i giganti dei big data che potrebbero
avere vantaggi nel gestirle, con i pericoli di concentrazione che conosciamo.
Sole, vento e acqua a
parte, terre e metalli rari permetteranno a nuove potenze minerarie come la
Cina di tenere sotto scacco il mondo dell’energia? Patterson ritiene di no. La
bolla di molte materie prime del settore è già scoppiata, mentre il proliferare
di tecnologie, per esempio nelle batterie, permette al sistema di non dipendere
troppo da singoli elementi.
Infine una curiosità da
un articolo di Adam Vaughan sul Guardian: nel 2017 la Brexit non ha frenato gli
investimenti britannici in rinnovabili, visto che l’UK ha fatto la metà della
nuova capacità eolica offshore di tutta l’Europa, mentre per il futuro si
progettano pale eoliche marine alte il doppio del London Eye, da ben 15 MW di
potenza l’una.
Link utili:
- L'articolo di Patterson sull'Energy Post: http://energypost.eu/how-renewables-will-change-the-geopolitical-map-of-the-world/
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