La puntata di oggi prende spunto da due articoli, uno della Deutche Welle di Gero Rueter il 16 gennaio 2020 e l’altro di Clark Mindok sull’Independent del 14 gennaio.
Il tema è l’uscita dalle centrali elettriche a carbone in Germania e negli USA. In Germania il governo ha raggiunto, in modo tipicamente teutonico, un accordo con le regioni e con alcuni operatori elettrici per prevedere la messa fuori servizio di tutte le centrali a carbone e lignite del paese entro il 2038 al più tardi. L’accordo prevede sia compensazioni agli operatori elettrici per oltre 4 miliardi di € complessivi, sia alle comunità interessate alla perdita di posti di lavoro e di opportunità per l’indotto per almeno 14 miliardi di Euro. Secondo la Deutche Welle, le compensazioni ammontano a circa 2 milioni per posto di lavoro perso.
Altri sussidi andranno ai clienti energivori per compensare il maggior costo dell’energia dovuto alla necessità per i produttori di acquistare permessi ad emettere CO2.
Ora, mi pongo e pongo agli ascoltatori di Derrick un quesito: ha senso che gli Stati paghino con le risorse fiscali compensazioni così vaste ai soggetti colpiti dai processi di decarbonizzazione? Non c’è dubbio che tali processi siano perlopiù decisi dal legislatore e dal governo e non dagli operatori stessi, e quindi subiti da questi ultimi, ma è anche vero che si tratta di decisioni mirate a evitare maggiori costi di mitigazione o danni futuri.
In generale, proteggere chi ha investito in attività incompatibili con la lotta ai cambiamenti climatici dagli effetti negativi delle politiche di decarbonizzazione mi sembra come rimborsare chi ha acquistato un’auto che a un certo punto non può più circolare perché troppo inquinante. Le norme e le politiche necessariamente si evolvono. Fare scelte di investimento che tengano conto della loro tendenza – con il rischio di sbagliare - non dovrebbe essere responsabilità degli imprenditori, così come lo è in generale saper prefigurare il futuro? In che modo si distinguono le norme sulla decarbonizzazione da qualunque altra che renda meno profittevoli attività economiche già avviate? Non credo sia sostenibile un principio di completa salvaguardia dai mutamenti normativi. Se non altro perché esso deresponsabilizza i soggetti economici.
Negli Stati Uniti, nel frattempo, l’uscita dalle centrali a carbone è già una realtà e sta avvenendo con l’amministrazione Trump velocemente quasi quanto con Obama. Nel 2019 hanno chiuso negli States oltre 15 mila MW di centrali a carbone, malgrado le promesse di Trump di rivitalizzare l’industria del carbone in particolare in Virginia e Wyoming. Ciò si sta verificando senza compensazioni, ma non senza sussidi pubblici, che vanno però alle fonti rinnovabili attraverso politiche di sussidio diverse tra stato e stato e che in California, come abbiamo visto in passato qui a Derrick, stanno permettendo anche di rendere fattibili grandi impianti di batterie sulla rete elettrica, il cui obiettivo è permettere di stoccare l’elettricità da fonti rinnovabili quando c’è e restituirla alla rete quando serve, attività senz’altro auspicabile ma per ora, quando non sono disponibili centrali idroelettriche a pompaggio e doppio bacino, è molto costosa.
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Canale a Trondheim |
Altri sussidi andranno ai clienti energivori per compensare il maggior costo dell’energia dovuto alla necessità per i produttori di acquistare permessi ad emettere CO2.
Ora, mi pongo e pongo agli ascoltatori di Derrick un quesito: ha senso che gli Stati paghino con le risorse fiscali compensazioni così vaste ai soggetti colpiti dai processi di decarbonizzazione? Non c’è dubbio che tali processi siano perlopiù decisi dal legislatore e dal governo e non dagli operatori stessi, e quindi subiti da questi ultimi, ma è anche vero che si tratta di decisioni mirate a evitare maggiori costi di mitigazione o danni futuri.
In generale, proteggere chi ha investito in attività incompatibili con la lotta ai cambiamenti climatici dagli effetti negativi delle politiche di decarbonizzazione mi sembra come rimborsare chi ha acquistato un’auto che a un certo punto non può più circolare perché troppo inquinante. Le norme e le politiche necessariamente si evolvono. Fare scelte di investimento che tengano conto della loro tendenza – con il rischio di sbagliare - non dovrebbe essere responsabilità degli imprenditori, così come lo è in generale saper prefigurare il futuro? In che modo si distinguono le norme sulla decarbonizzazione da qualunque altra che renda meno profittevoli attività economiche già avviate? Non credo sia sostenibile un principio di completa salvaguardia dai mutamenti normativi. Se non altro perché esso deresponsabilizza i soggetti economici.
Negli Stati Uniti, nel frattempo, l’uscita dalle centrali a carbone è già una realtà e sta avvenendo con l’amministrazione Trump velocemente quasi quanto con Obama. Nel 2019 hanno chiuso negli States oltre 15 mila MW di centrali a carbone, malgrado le promesse di Trump di rivitalizzare l’industria del carbone in particolare in Virginia e Wyoming. Ciò si sta verificando senza compensazioni, ma non senza sussidi pubblici, che vanno però alle fonti rinnovabili attraverso politiche di sussidio diverse tra stato e stato e che in California, come abbiamo visto in passato qui a Derrick, stanno permettendo anche di rendere fattibili grandi impianti di batterie sulla rete elettrica, il cui obiettivo è permettere di stoccare l’elettricità da fonti rinnovabili quando c’è e restituirla alla rete quando serve, attività senz’altro auspicabile ma per ora, quando non sono disponibili centrali idroelettriche a pompaggio e doppio bacino, è molto costosa.
Link:
- Altre puntate di Derrick sulla decarbonizzazione:
http://derrickenergia.blogspot.com/search/label/Decarbonizzazione
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