Puntata 600
Sultan Al Jaber il presidente della COP28 |
Tra i risultati che ci si attende dall’assise, che
verosimilmente saranno espressi con i soliti verbi enfatici e volitivi, ma non
prescrittivi, tipo “auspichiamo”, “aspiriamo”, “dichiariamo la necessità di”,
c’è:
- L’obiettivo di triplicare le fonti rinnovabili di energia da qui al 2030, già proposto dal capo del Governo indiano in un recente G20 da lui presieduto (per l’India del resto è relativamente facile perché è all’inizio del processo e di rinnovabili ne ha ancora poche rispetto alla dimensione dell’economia).
- La messa in funzione del fondo “loss and damage” già battezzato alla COP precedente ma non ancora finanziato, che mira a compensare i costi di adattamento dei paesi che più subiscono i danni del cambiamento climatico.
- Un obiettivo di riduzione dell’uso di fonti fossili non compensate da tecnologie di neutralizzazione delle emissioni climalteranti attraverso loro separazione e confinamento.
Il 2 dicembre a Dubai c’è stata Meloni che si è impegnata a
mettere 100 milioni di € nel fondo e che, secondo un logoro procedimento retorico,
ha invitato a una transizione che sia non “ideologica”, per evitare effetti
recessivi.
Ora, mi chiedo se sia più recessivo tentare di ritardare un
processo d’innovazione proteggendo gli interessi del settore delle fossili oppure cercare di primeggiare nelle tecnologie pulite destinate a
prendere sempre più la scena.
Il non essere “ideologici” naturalmente corrisponde nella
nuova retorica alla prima scelta, cioè frenare, e quindi verosimilmente perdere
l’opportunità di essere leader nelle tecnologie che garantiranno la transizione
a emissioni climalteranti nulle o quasi.
È anche vero che gl’investitori e i consumatori sono spesso
più avanti della politica. Nei primi 10 mesi del 2023 l’Italia ha installato 4
GW di soli nuovi impianti fotovoltaici, oltre il doppio dello stesso periodo di
un anno prima, un risultato notevole ma ancora contenuto dalla difficoltà
autorizzativa sugli impianti più grandi e sull’eolico. Il tutto mentre un
decreto energia introduce varie deregulation in nome della sicurezza energetica
ma che si applicano, curiosamente, solo ad attività inerenti a quelle fossili.
Puntata 601
Cifra tonda a Derrick con la puntata 600, questa, ma non c’è molto da festeggiare stando alle notizie che arrivano da Dubai dove si svolge la conferenza annuale sul clima dei quasi 200 paesi che partecipano alla convenzione-quadro ONU per coordinarne le politiche.
Lo scenario di partenza già non è positivo, visto che i dati
provvisori di Carbon Project vedono per il 2023 un nuovo aumento delle
emissioni-serra globali a quasi 37 miliardi di tonnellate, oltre 1% in più dell’anno
prima, che non è certo il trend necessario per contenere a un grado e mezzo il
riscaldamento rispetto all’era preindustriale come i paesi della convezione si
sono impegnati a fare nelle precedenti assise.
Emissioni che arrivano soprattutto dalla combustione di
idrocarburi fossili, cioè carbone gas naturale e derivati del petrolio, ma
anche, ragguardevolmente, dalle emissioni di metano da agricoltura e da
attività minerarie ed energetiche. Quest’ultimo punto, in forma di impegno a
disperdere meno metano da parte delle aziende di petrolio e gas, rischia di
essere l’unico risultato rilevante di questa COP se non si riuscirà a trovare
un accordo per la riduzione dell’uso delle energie fossili.
Riduzione che non sembra considerata nel dimensionare gli
investimenti del settore, inclusi quelli dell’italiana Eni in violazione di
impegni presi dal nostro Paese alla COP26 di Glasgow. Investimenti ridondanti
rispetto a uno scenario di contenimento di queste fonti, come evidentemente
teme la stessa OPEC, che già in difficoltà per i prezzi del petrolio in calo e
per il non rispetto delle quote produttive di alcuni suoi membri si è rivolta
alla COP28 con una diffida all’introduzione di impegni di abbandono delle
energie fossili.
Il senso comune suggerisce che la mancata emancipazione dai
combustibili fossili sia motivata dalla loro economicità rispetto ad altre
energie. Ma si sbaglia, perché ignora i sussidi che vengono dati a queste fonti
con spesa pubblica, oltre il 7% del pil mondiale come calcola il Fondo Monetario
Internazionale, mentre per l’Italia il Ministero dell’Ambiente e della
Sicurezza Energetica stima gli aiuti pubblici alle fossili in oltre 20 miliardi
di € all’anno, quasi tutti in forma di facilitazioni fiscali, una cifra ben maggiore
di tutti i sussidi favorevoli all’ambiente.
Dati che per quanto ripetuti da studiosi e analisti (recentemente
per esempio su Lavoce.info da Alessia Fiorini ed Eleonora Trentini) sembrano
ignorati anche dai politici che abbracciano la retorica di una presunta
onerosità della transizione ecologica. E invece cosa c’è di più esoso e
inefficiente che dare più sussidi pubblici alle fonti fossili che a quelle
pulite?
Se alla COP28 si faranno passi avanti dipenderà come ogni
anno dalla capacità dei quasi 200 di trovare un accordo unanime. In un articolo
su Formiche, Corrado Clini auspica l’introduzione di decisioni a maggioranza
nelle COP. Terrebbe la convenzione se diventasse così impegnativa per i paesi più
scettici? Secondo un’intervista sul Sole 24 ore a Luca Bergamaschi,
condirettore del think tank ECCO con cui io stesso collaboro, non c’è alternativa
al pur faticoso multilateralismo.
Link
- Corrado Clini su Formiche: https://formiche.net/2023/12/cop28-multilateralismo-innovativo-clini/
- Sito della COP28: https://www.cop28.com/
- La puntata 601 è disponibile anche su YouTube qui: https://youtu.be/I4eAhwteyFE
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