Edificio incompiuto in un'isola delle Maldive |
Quante volte
sentiamo banalità del genere (o cretinate, scegliete voi) dai politici?
E nel mondo del
lavoro non va meglio. In quanti convegni vediamo relatori mettere insieme
sequenze di frasi fatte che sembrano concepite solo con il fine di non
rischiare alcun errore, ossia di non dire niente che possa essere inatteso e
non condiviso da qualcuno in platea e quindi creare potenzialmente grane.
Produrre questi
contenuti d’arredamento è un lavoro di interpolazione di parole o narrazioni già
sentite, che si considerano adatte al contesto. Un lavoro simile a quello che
fanno le applicazioni che oggi chiamiamo di intelligenza artificiale:
masticazione di espressioni (verbali, acustiche, visive) già viste e loro
riproposizione in nuove sequenze con qualche adattamento al nuovo contesto.
Leggo in un articolo
sull’Economist (link sotto) della terza settimana di novembre 2023 che la piattaforma di
ebook di Amazon ha recentemente limitato a tre al giorno (sic) il numero di
libri autoprodotti pubblicabili da un singolo autore. Anche sulle piattaforme
di streaming musicale il materiale in arrivo si è moltiplicato grazie agli
strumenti di intelligenza artificiale.
Si tratta di una
minaccia per gli artisti in carne e ossa?
Non, scrive
l’Economist, per quelli molto noti, che nel mare di prodotti rimasticati e
scarsamente innovativi o distinguibili costituiscono una sorta di porto sicuro
per chi acquista opere d'ingegno. Se mai, il problema delle star è quello
di non riuscire a controllare i prodotti di contraffazione di sé, che sempre
grazie all’intelligenza artificiale è possibile generare creando performance
nuove, per esempio far dire o cantare a un certo volto o a una certa voce nuove
cose, attraverso sorte di avatar. I quali possono moltiplicare le opportunità
commerciali degli artisti famosi sempre che loro riescano a regolamentare le
proprie moltiplicazioni e farsene pagare i diritti.
Quando mi sono
laureato nel 1996 in economia industriale ho fatto una tesi sul mercato
nascente delle televisioni commerciali in Italia che analizzava i trend del
settore anche in altri paesi dove il fenomeno era partito prima. Curiosamente,
emergeva che malgrado la tecnologia allora permettesse una moltiplicazione dei
canali commerciali, quelli generalisti vedevano suddividere lo share tra pochi
canali che erano quelli in grado di assoldare i volti più noti. In altri
termini, a fronte della disponibilità di una scelta enorme e spesso di qualità
bassa gli ascoltatori finivano per concentrarsi nei porti sicuri delle firme
già note.
Parlando di
televisione, non è certo detto che i volti noti siano quelli che hanno qualcosa
da dire di innovativo o intelligente, anzi. Però è significativo come per il
pubblico l’investimento di cercare cose di qualità nel mare dell’offerta tenda
a diventare poco sostenibile, fino a ridurre l’investimento nello scouting, con
notevole rischio per l’evoluzione culturale.
Un altro trend che mi sembra emerga dal successo delle nuove applicazioni di A.I. è qualcosa che mi rallegra molto. Questo: i produttori di contenuti ovvi sono destinati a essere sostituiti da un software. Chessò: la pubblicazione di un post buonista su linkedin per raccontare quanto l’azienda X investa sui giovani, sull’innovazione o sulla sostenibilità è qualcosa che mi aspetto faranno sempre più spesso degli algoritmi. Così come sospetto che saranno solo altri algoritmi, quelli dei profili fake, a leggerle.
Produttori di banalità: preparatevi ad
essere costretti a trovarvi un altro lavoro!
Link
- L'articolo citato dell'Economist: https://www.economist.com/briefing/2023/11/09/now-ai-can-write-sing-and-act-is-it-still-possible-to-be-a-star
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