Donna con bambino (da una mostra a Bogotà) |
Il contesto odierno è quello in cui l’accesso online alle
informazioni è pressoché illimitato, inclusi dati affidabili e facilmente disponibili
per l’elaborazione. Per esempio nel mio settore (energia e clima) esistono
agenzie internazionali che permettono gratuitamente l’accesso a vasti dataset e
pubblicano continui rapporti per interpretarli e trarne le tendenze più
rilevanti e anche le conseguenze in termini di politiche necessarie. Si pensi
all’IPCC dell’ONU che si occupa di studiare i cambiamenti climatici o alla IEA,
agenzia dell’energia OCSE, che fotografa lo stato e le tendenze mondiali del
settore. Anche la possibilità di maneggiare i numeri e fare analisi empiriche
oggi è più elevata che in passato, applicazioni statistiche oggi girano anche
in pc personali, in un contesto in cui l’infrastruttura informatica mondiale
sta investendo verso i sistemi ben più onerosi e capienti che servono a riprodurre
euristicamente funzioni del cervello come quella del linguaggio.
Modelli generativi linguistici che gli allievi di pressoché
tutti i livelli scolastici possono usare, che sia consentito o meno dalle
politiche dell’istituto, anche per produrre elaborati d’esame. Tantoché una
delle abilità richieste a un docente è proprio quella di discernere il valore
aggiunto dell’allievo ai fini della valutazione.
Ma valutazione a parte, cosa resta da insegnare in questo
mondo di dati già disponibili?
Mi vengono in mente due filoni.
Uno. La capacità di discernere tra le fonti e di
verificarle, e quindi di riconoscere contenuti potenzialmente inaffidabili. Anche
per difendersi da quelle che in modo molto ingenuo o forse invece proditorio
nel settore dell’AI vengono chiamate “allucinazioni” e che di fatto sono l’incapacità
o peggio il disinteresse dei sistemi generativi di distinguere tra aree in cui
l’interpolazione (cioè l’invenzione analogica) è sensata e altre in cui invece
occorre attenersi strettamente all’evidenza, cioè a casi osservati e
verificabili.
Due. La ricerca delle connessioni. Nel mare dei dati e delle
sollecitazioni, molte delle quali sono il semplice rimbalzare nel web di suggestioni
per qualche motivo diventate virali, è utile aiutare gli allievi a trovare fili
argomentativi, percorsi di interpretazione. Che possono essere i più disparati,
ma richiedono coerenza interna, consequenzialità, robustezza. Anche passione,
gusto per la proposizione di un’ipotesi e onestà e accuratezza nel testarla
rispetto al mare potenziale di evidenza reperibile. E credo che un vigile anticonformismo,
nel mondo dei trend virali, sia di norma un ottimo punto di partenza e un
valore da insegnare.
Mi occupo di economia ma non sono uno statistico né un
econometrico. So però che con un po’ di malizia o imperizia si possono far dire
agli stessi dati molte cose diverse, cose talvolta non facilmente
controvertibili nemmeno quando incoerenti tra loro. Alla fine trovare un filo
argomentativo, una conclusione politica, una propria posizione, richiede un mix
di accuratezza, umiltà ma anche intuizione, capacità dialettica, rischio, gusto
per la narrazione, capacità retorica e nello stesso tempo di smontare la
retorica (un po’ come per proteggersi da un hacker serve un hacker), capacità
di cambiare idea.
Assecondare lo sviluppo di questo strano mix di competenze
che fa per ora della nostra intelligenza una cosa diversa da quella artificiale
è forse il compito di un insegnante.
Rileggendo questo testo mi chiedo se non dia troppo valore
alle tendenze recenti e alle novità tecnologiche rispetto alla descrizione del
lavoro di un docente. Ricordo una frase di Amedeo Bertuccioli, mio prof. di
francese al liceo, che una volta descrivendo il proprio lavoro disse: cerco di aiutarvi
a ragionare con la vostra testa. Ecco. Trentacinque o più anni dopo, mi sembra
sempre un’ottima sintesi.
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