domenica 10 novembre 2024

Insegnare (Puntata 645 in onda il 12/11/24)

Donna con bambino
(da una mostra a Bogotà)
In questa rubrica ogni tanto si parla anche di istruzione. Lo faccio perché penso sia il settore fondamentale per lo sviluppo umano e il futuro delle democrazie, e di istruzione nel mio piccolo mi occupo come docente a contratto in università, un lavoro che mi insegna molto. E che forse è un po’ cambiato in una manciata d’anni.

Il contesto odierno è quello in cui l’accesso online alle informazioni è pressoché illimitato, inclusi dati affidabili e facilmente disponibili per l’elaborazione. Per esempio nel mio settore (energia e clima) esistono agenzie internazionali che permettono gratuitamente l’accesso a vasti dataset e pubblicano continui rapporti per interpretarli e trarne le tendenze più rilevanti e anche le conseguenze in termini di politiche necessarie. Si pensi all’IPCC dell’ONU che si occupa di studiare i cambiamenti climatici o alla IEA, agenzia dell’energia OCSE, che fotografa lo stato e le tendenze mondiali del settore. Anche la possibilità di maneggiare i numeri e fare analisi empiriche oggi è più elevata che in passato, applicazioni statistiche oggi girano anche in pc personali, in un contesto in cui l’infrastruttura informatica mondiale sta investendo verso i sistemi ben più onerosi e capienti che servono a riprodurre euristicamente funzioni del cervello come quella del linguaggio.

Modelli generativi linguistici che gli allievi di pressoché tutti i livelli scolastici possono usare, che sia consentito o meno dalle politiche dell’istituto, anche per produrre elaborati d’esame. Tantoché una delle abilità richieste a un docente è proprio quella di discernere il valore aggiunto dell’allievo ai fini della valutazione.

Ma valutazione a parte, cosa resta da insegnare in questo mondo di dati già disponibili?

Mi vengono in mente due filoni.

Uno. La capacità di discernere tra le fonti e di verificarle, e quindi di riconoscere contenuti potenzialmente inaffidabili. Anche per difendersi da quelle che in modo molto ingenuo o forse invece proditorio nel settore dell’AI vengono chiamate “allucinazioni” e che di fatto sono l’incapacità o peggio il disinteresse dei sistemi generativi di distinguere tra aree in cui l’interpolazione (cioè l’invenzione analogica) è sensata e altre in cui invece occorre attenersi strettamente all’evidenza, cioè a casi osservati e verificabili.

Due. La ricerca delle connessioni. Nel mare dei dati e delle sollecitazioni, molte delle quali sono il semplice rimbalzare nel web di suggestioni per qualche motivo diventate virali, è utile aiutare gli allievi a trovare fili argomentativi, percorsi di interpretazione. Che possono essere i più disparati, ma richiedono coerenza interna, consequenzialità, robustezza. Anche passione, gusto per la proposizione di un’ipotesi e onestà e accuratezza nel testarla rispetto al mare potenziale di evidenza reperibile. E credo che un vigile anticonformismo, nel mondo dei trend virali, sia di norma un ottimo punto di partenza e un valore da insegnare.

Mi occupo di economia ma non sono uno statistico né un econometrico. So però che con un po’ di malizia o imperizia si possono far dire agli stessi dati molte cose diverse, cose talvolta non facilmente controvertibili nemmeno quando incoerenti tra loro. Alla fine trovare un filo argomentativo, una conclusione politica, una propria posizione, richiede un mix di accuratezza, umiltà ma anche intuizione, capacità dialettica, rischio, gusto per la narrazione, capacità retorica e nello stesso tempo di smontare la retorica (un po’ come per proteggersi da un hacker serve un hacker), capacità di cambiare idea.

Assecondare lo sviluppo di questo strano mix di competenze che fa per ora della nostra intelligenza una cosa diversa da quella artificiale è forse il compito di un insegnante.

Rileggendo questo testo mi chiedo se non dia troppo valore alle tendenze recenti e alle novità tecnologiche rispetto alla descrizione del lavoro di un docente. Ricordo una frase di Amedeo Bertuccioli, mio prof. di francese al liceo, che una volta descrivendo il proprio lavoro disse: cerco di aiutarvi a ragionare con la vostra testa. Ecco. Trentacinque o più anni dopo, mi sembra sempre un’ottima sintesi.

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