Si è aperta il 10 novembre a Belem, città brasiliana alle
porte della foresta amazzonica, la trentesima conferenza per il clima
nell’ambito della convenzione-quadro sui cambiamenti climatici dell’ONU.
Capita ancora di sentire politici dalla debole logica
argomentativa affermare che una
comunità piccola rispetto al mondo intero non può assumersi responsabilità
rilevanti su una questione globale. Invece l’azione per il clima mostra come
tutto conti, dalle scelte di tecniche agricole o forestali in luoghi remoti,
alle politiche di investimenti pubblici, alle iniziative dimostrative di
singoli soggetti, passando per laboratori e sperimentazioni di comunità anche
piccole.
Relativamente piccole
sono le singole città, ma rilevanti in termini di effetti climatici subìti, e anche
di sviluppo di nuove forme di convivenza ed efficienza soprattutto se nell’ambito
di un coordinamento internazionale. Efficienza in cui le città partono
avvantaggiate perché rispetto ai villaggi isolati usano meno risorse logistiche
ed energetiche in rapporto all’emancipazione professionale e culturale che
permettono a chi ci vive, da cui deriva la loro inarrestata capacità di
attrazione.
Parliamo di
clima e città oggi con Edoardo Zanchini, direttore dell’ufficio Clima del
comune di Roma. Gli ho chiesto anzitutto di introdurci il rapporto tra città e
clima.
[Zanchini 1]
Nello specifico di Roma
ho chiesto poi a Zanchini come il clima colpisce la capitale e in quali settori
è necessario lavorare, in particolare in termini di adattamento.
[Zanchini 2]
Sul portale romaperilclima.it ci sono i vari documenti su questo lavoro,
tra cui il rapporto del monitoraggio degli effetti climatici, dove leggo per
esempio che nel 2024 a Roma la temperatura non è mai stata sotto zero (mentre
tra il ’91 e il 2020 ci sono stati in media 6 giorni all’anno con gelate
notturne), che la necessità di riscaldamento (misurata in gradi giorno, cioè la
somma dello scostamento tra 20 gradi e la media di temperatura del giorno) si è
quasi dimezzata, mentre è più che raddoppiata quella di raffrescamento.
Riguardo alle strategie di adattamento, è interessante il
lavoro su come aumentare l’ombra urbana, e la capacità delle superfici di non
assorbire i raggi solari. Da uno dei tanti grafici del portale, che mostra
l’incidenza delle cosiddette onde di calore, si vede come da un lato queste
onde siano temibili, dall’altro quanto i romani siano fortunati per la disponibilità
di parchi in cui rifugiarsi. Molti dei quali, aggiungo io, hanno ancora aree in
abbandono restituibili all’uso, così come in grandi zone verdi di fatto
inaccessibili (per esempio il parco agricolo di Casal del Marmo e le zone della
riserva dell’Insugherata più vicine a via Trionfale) c’è da lavorare per
acquisire servitù pubbliche per il passaggio di bici e pedoni.
Ne parleremo ancora magari sempre con Zanchini, che intanto ringrazio.
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