| Illustrazione di Paolo Ghelfi (riutilizzata, perché l'autore batte la fiacca ultimamente) |
Torniamo sulla retromarcia del Governo sulla chiusura degli impianti di produzione elettrica a carbone che sarebbe invece prevista alla fine di quest’anno in Italia dalla strategia energetica e dal piano per il clima.
Il ministro Pichetto ha addirittura dichiarato al recente
convegno di AIGET (associazione grossisti e trader di energia) che non darà mai
l’ordine di chiudere le poche restanti centrali, riferendosi al fatto che il
Governo deve autorizzare le disconnessioni di impianti elettrici rilevanti,
sentito il parere di Terna, il gestore della rete di trasmissione nazionale.
Il ministro ha anche ammesso che c’è in corso una
negoziazione tra Enel (che gestisce tre delle centrali ancora operative) su
quanto l’azienda dovrebbe essere remunerata per lasciare gli impianti
disponibili in “riserva fredda”. Termine che è curioso come venga ripetuto pur
non essendo definito nell’ordinamento italiano. Ci sono paesi che in effetti
approvvigionano capacità elettrica di lungo termine come “riserva strategica”
ma non è il nostro caso, in cui gli strumenti per garantire che il mercato
fornisca capacità di sicurezza includono invece un sistema di remunerazione dei
costi fissi chiamato capacity market e un mercato in cui nel breve periodo
Terna si approvvigiona della potenza di riserva che permette di gestire le
deviazioni dall’equilibrio previsto tra domanda e offerta elettrica.
E i riflettori sono ora inevitabilmente accesi su Terna, che
non dichiara nei suoi rapporti che le centrali continentali a carbone (per
quelle sarde è invece già previsto un ritardo di un paio d’anni) debbano
restare in condizioni funzionali e che, salvo clamorose smentite, non ha motivo
di dirlo.
Infatti le ragioni per cui il Governo vuole una riserva a carbone non hanno a
che fare con la sicurezza del sistema elettrico, bensì con una fiducia
evidentemente ora incerta sulla competitività futura delle forniture
internazionali di gas. Sfiducia un po’ intempestiva dopo che l’intera strategia
di conversione energetica è stata accompagnata da parte del Governo dal mantra
del gas come backup alle rinnovabili, strategia che ha implicato investimenti
notevolissimi in porti di rigassificazione e tubi.
Enel dal canto suo prima della riapertura della questione
aveva dichiarato pubblicamente di aver chiesto il permesso alla dismissione degli
impianti a carbone come da programma, cosa che a norme attuali le conviene
visto che in condizioni normali di mercato tali centrali non sono competitive e
infatti sono già spente di fatto da tempo, e pesano con i loro costi fissi.
Ora, pur nella nuova era di dirigismo arbitrario dei Governi,
non solo il nostro, anche in contrasto al legittimo affidamento degli operatori
di mercato e, direi, dei cittadini, le istituzioni dovranno pur comunque
riempire di un contenuto giuridico e regolatorio la definizione di “riserva
fredda” per quantificare e giustificare i soldi di fatto pubblici che andranno
ai gestori degli impianti coinvolti. E anche per chiarire quanto emergenziale
sarebbe l’uso di questa riserva, visto che accendere effettivamente gli
impianti prevederebbe senz’altro la violazione di norme ambientali su
inquinamento (su cui già siamo in mora con Bruxelles) e sul clima. Su quest’ultimo
punto il commissario UE competente, Hoekstra, si è detto in attesa di elementi.
- Su Staffetta Quotidiana anche riguardo a un commento pubblico di Terna in materia:
https://www.staffettaonline.com/articolo.aspx?id=398831 - Precedente puntata sull'argomento: https://derrickenergia.blogspot.com/2025/08/prolunghiamo-il-carbone-puntata-683-in.html
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