domenica 7 dicembre 2025

IA e scuola (Puntate 696 e 698 in onda il 25/11 e 9/12/25)

Illustrazione di Paolo Ghelfi

Puntata 698

Nella penultima (più sotto in questa pagina) e terz’ultima puntata abbiamo parlato di intelligenza artificiale e scuola scorrendo alcuni aspetti critici della convivenza tra i due mondi, soprattutto in relazione alla possibilità dell’intelligenza artificiale di eludere i compiti a casa o far barare agli esami, rendendo queste attività inefficaci e togliendo incentivo all’impegno.

Nel primo numero di dicembre 2025 l’Economist fa la copertina sull’argomento, evidenziando questa volta le possibili applicazioni positive e alcuni trend internazionali riguardo alla formazione sull’intelligenza artificiale stessa.

Trump negli USA ha firmato un ordine esecutivo che chiede alla scuola di integrare la conoscenza di base dell’intelligenza artificiale a tutte le materie. Singapore già insegna AI nelle scuole primarie, la Cina prevede di farlo nelle primarie e secondarie entro il 2030 mentre nelle città più tecnologiche alcuni programmi sono già iniziati.

Inevitabile per me pensare al nostro Parlamento che ha limitato l’educazione sessuale a scuola proprio mentre una norma sul consenso agli atti sessuali veniva lanciata all’unanimità. Come dire che la consapevolezza va limitata nel suo formarsi, ma garantita – chissà come – nella sua espressione. In fondo è un liet-motiv del populismo: le persone decidono sì, ma se disinformate e ignoranti lo fanno creando meno problemi alla retorica di Governo. Chissà se dobbiamo aspettarci che anche le tecnologie dell’AI debbano restare tabù da noi.

E torniamo appunto a queste: l’Economist fa una carrellata su come applicazioni specifiche per l’educazione possano permettere formazione personalizzata accurata con costi e personale insegnante molto più abbordabili. Nozioni, informazioni, passaggi logici possono essere trasmessi adattandosi al livello del discente, modificando il linguaggio e le similitudini utilizzate, anche attraverso giochi. L’intelligenza artificiale applicata alla didattica potrebbe moltiplicare quindi la capacità della scuola di attivare l’ascensore sociale, rendendo diffuse forme avanzate di insegnamento anche grazie agli strumenti messi a disposizione degli insegnanti. La cosa è promettente soprattutto nei Paesi con sistemi scolastici carenti e dove la numerosità degli allievi da raggiungere rende inverosimile trovare e preparare personale docente in modo adeguato.

Ci sono rischi? Sì. Uno è la tendenza dei sistemi di interazione artificiale ad assecondare il fruitore per metterlo a suo agio. Questo potrebbe impedire lo sviluppo degli anticorpi degli allievi rispetto alle difficoltà della vera interazione tra persone e alle frustrazioni che ne derivano. Mi viene in mente su questo un altro editoriale dell’Economist di qualche numero fa, in cui si sosteneva che la diffusione dei siti di incontri di coppia, in cui è relativamente facile trovare un partner che assecondi i desideri del momento, ha disinsegnato e disincentivato a conviverci poi a lungo superando le avversità.


Puntata 696

Questa puntata si può ascoltare qui.

L’ultima volta ho chiuso parlando dell’uso dell’intelligenza artificiale nella didattica, e l’Economist cosa fa? Piazza subito dopo un articolo (link sotto) che riprende la questione e secondo me merita di essere riferito.

Parla di una sorta di riflusso di scuole e università, soprattutto nei paesi ricchi, contro l’uso delle tecnologie digitali in classe. Non solo per evitare che si bari agli esami scritti, ma anche per interrompere la continua distrazione che deriva dai dispositivi. Justin Reich, direttore all’MIT del Teaching Systems Lab, dice che da ampie ricognizioni negli USA emerge che sistematicamente nelle high school e perfino al college i compiti a casa sono fatti dagli studenti con sistemi automatici. Chi vi parla si arrischia a confermare che da noi è lo stesso.

Diverse scuole, scrive l’Economist, stanno riadottando per reazione perfino carta e penna e chiedono lavori scritti a mano. Almeno l’apprendimento dell’amanuense così dovrebbe arrivare, commento io.

Ma torniamo all’Economist: anche i genitori, scrive, sono spesso d’accordo sul ritorno a classi vecchio stile, ma talvolta sono gli istituti scolastici a non poterselo più permettere perché i metodi di verifica tradizionali, come gli esami orali, richiedono troppo personale docente, mentre cavarsela con prove scritte magari da fare a casa in forma di presentazioni Power Point è più semplice. Lo stesso vale per classi di dimensioni sufficientemente piccole a rendere l’interazione possibile e in grado di coinvolgere tutti gli allievi: richiedono più insegnanti, e capaci di farlo.

Insomma, nell’era dell’AI che efficientizza, tornare alla didattica tradizionale, diciamo così, significa spendere di più, e non tutti se lo possono permettere. Il che fa il paio alla triste tendenza, non difficile da osservare, per cui i genitori con meno risorse finiscono per abbandonare i figli a un uso più massiccio del cellulare. E il problema non è internet in sé, naturalmente, bensì il modo diabolico con cui le varie piattaforme, anche usando protocolli di intelligenza artificiale, ci imbottiscono di serie ininterrotte di minivideo che sembrano studiati per inertizzarci e farci bere uno spot pubblicitario ogni trenta secondi. (Tra parentesi, non ho mai capito perché le pubblicità, già infestanti di loro, debbano anche essere così idiote. Più volte io da utilizzatore ho accettato di far accedere i vari Google a informazioni più vaste sulle mie interazioni sperando poi di essere trattato non più come un cretino, ma non ha funzionato).

Tra i genitori, sono quelli più benestanti e istruiti a desiderare meno tecnologia in classe, afferma Anne Maheux dell'Università della Carolina del Nord a Chapel Hill. Un rapporto del Pew Research Centre di dicembre 2024 ha rilevato che negli USA il 58% degli adolescenti ispanici e il 53% di quelli neri dichiaravano di essere quasi costantemente connessi a internet, rispetto al 37% degli adolescenti bianchi.

Un digital divide al contrario, commenta l’Economist.

“Forse la cosa migliore che possiamo fare oggi in classe è dare ai giovani il dono di un tempo senza distrazioni”, chiosa Reich dell’MIT.

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