| Illustrazione di Paolo Ghelfi |
Puntata 698
Nella penultima (più sotto in questa pagina) e terz’ultima puntata abbiamo parlato di intelligenza
artificiale e scuola scorrendo alcuni aspetti critici della convivenza tra i
due mondi, soprattutto in relazione alla possibilità dell’intelligenza
artificiale di eludere i compiti a casa o far barare agli esami, rendendo
queste attività inefficaci e togliendo incentivo all’impegno.
Nel primo numero di dicembre 2025 l’Economist fa la copertina
sull’argomento, evidenziando questa volta le possibili applicazioni positive e alcuni
trend internazionali riguardo alla formazione sull’intelligenza artificiale
stessa.
Trump negli USA ha firmato un ordine esecutivo che chiede alla
scuola di integrare la conoscenza di base dell’intelligenza artificiale a tutte
le materie. Singapore già insegna AI nelle scuole primarie, la Cina prevede di
farlo nelle primarie e secondarie entro il 2030 mentre nelle città più
tecnologiche alcuni programmi sono già iniziati.
Inevitabile per me pensare al nostro Parlamento che ha
limitato l’educazione sessuale a scuola proprio mentre una norma sul consenso agli
atti sessuali veniva lanciata all’unanimità. Come dire che la consapevolezza va
limitata nel suo formarsi, ma garantita – chissà come – nella sua espressione.
In fondo è un liet-motiv del populismo: le persone decidono sì, ma se
disinformate e ignoranti lo fanno creando meno problemi alla retorica di
Governo. Chissà se dobbiamo aspettarci che anche le tecnologie dell’AI debbano
restare tabù da noi.
E torniamo appunto a queste: l’Economist fa una carrellata su
come applicazioni specifiche per l’educazione possano permettere formazione
personalizzata accurata con costi e personale insegnante molto più abbordabili.
Nozioni, informazioni, passaggi logici possono essere trasmessi adattandosi al
livello del discente, modificando il linguaggio e le similitudini utilizzate, anche
attraverso giochi. L’intelligenza artificiale applicata alla didattica potrebbe
moltiplicare quindi la capacità della scuola di attivare l’ascensore sociale,
rendendo diffuse forme avanzate di insegnamento anche grazie agli strumenti
messi a disposizione degli insegnanti. La cosa è promettente soprattutto nei Paesi
con sistemi scolastici carenti e dove la numerosità degli allievi da raggiungere
rende inverosimile trovare e preparare personale docente in modo adeguato.
Ci sono rischi? Sì. Uno è la tendenza dei sistemi di
interazione artificiale ad assecondare il fruitore per metterlo a suo agio. Questo
potrebbe impedire lo sviluppo degli anticorpi degli allievi rispetto alle
difficoltà della vera interazione tra persone e alle frustrazioni che ne
derivano. Mi viene in mente su questo un altro editoriale dell’Economist di qualche
numero fa, in cui si sosteneva che la diffusione dei siti di incontri di coppia,
in cui è relativamente facile trovare un partner che assecondi i desideri del
momento, ha disinsegnato e disincentivato a conviverci poi a lungo superando le
avversità.
Parla di una sorta di riflusso di scuole e università,
soprattutto nei paesi ricchi, contro l’uso delle tecnologie digitali in classe.
Non solo per evitare che si bari agli esami scritti, ma anche per interrompere
la continua distrazione che deriva dai dispositivi. Justin Reich, direttore
all’MIT del Teaching Systems Lab, dice che da ampie ricognizioni negli USA
emerge che sistematicamente nelle high school e perfino al college i compiti a
casa sono fatti dagli studenti con sistemi automatici. Chi vi parla si
arrischia a confermare che da noi è lo stesso.
Diverse scuole, scrive l’Economist, stanno riadottando per
reazione perfino carta e penna e chiedono lavori scritti a mano. Almeno
l’apprendimento dell’amanuense così dovrebbe arrivare, commento io.
Ma torniamo all’Economist: anche i genitori, scrive, sono
spesso d’accordo sul ritorno a classi vecchio stile, ma talvolta sono gli
istituti scolastici a non poterselo più permettere perché i metodi di verifica
tradizionali, come gli esami orali, richiedono troppo personale docente, mentre
cavarsela con prove scritte magari da fare a casa in forma di presentazioni
Power Point è più semplice. Lo stesso vale per classi di dimensioni
sufficientemente piccole a rendere l’interazione possibile e in grado di coinvolgere
tutti gli allievi: richiedono più insegnanti, e capaci di farlo.
Insomma, nell’era dell’AI che efficientizza, tornare alla
didattica tradizionale, diciamo così, significa spendere di più, e non tutti se
lo possono permettere. Il che fa il paio alla triste tendenza, non difficile da
osservare, per cui i genitori con meno risorse finiscono per abbandonare i
figli a un uso più massiccio del cellulare. E il problema non è internet in sé,
naturalmente, bensì il modo diabolico con cui le varie piattaforme, anche
usando protocolli di intelligenza artificiale, ci imbottiscono di serie
ininterrotte di minivideo che sembrano studiati per inertizzarci e farci bere
uno spot pubblicitario ogni trenta secondi. (Tra parentesi, non ho mai capito
perché le pubblicità, già infestanti di loro, debbano anche essere così idiote.
Più volte io da utilizzatore ho accettato di far accedere i vari Google a
informazioni più vaste sulle mie interazioni sperando poi di essere trattato
non più come un cretino, ma non ha funzionato).
Tra i genitori, sono quelli più benestanti e istruiti a
desiderare meno tecnologia in classe, afferma Anne Maheux dell'Università della
Carolina del Nord a Chapel Hill. Un rapporto del Pew Research Centre di
dicembre 2024 ha rilevato che negli USA il 58% degli adolescenti ispanici e il
53% di quelli neri dichiaravano di essere quasi costantemente connessi a
internet, rispetto al 37% degli adolescenti bianchi.
Un digital divide al contrario, commenta l’Economist.
“Forse la cosa migliore che possiamo fare oggi in classe è
dare ai giovani il dono di un tempo senza distrazioni”, chiosa Reich dell’MIT.
Link
- Sulle potenzialità dell'IA a scuola: https://www.economist.com/leaders/2025/12/04/how-ai-is-rewiring-childhood
- Sullo scetticismo dell'IA a scuola: https://www.economist.com/united-states/2025/11/20/ai-is-accelerating-a-tech-backlash-in-american-classrooms