lunedì 3 novembre 2025

La manetta del gas (Puntata 693 in onda il 4/11/25)

Illustrazione di Paolo Ghelfi
Questa puntata si può ascoltare qui.

Capita di prendere una decisione, iniziare a comportarsi di conseguenza e poi temere di aver sbagliato.

Quando ha senso tornare indietro e quando no? La mente umana è nota per alcune famiglie di comportamenti irrazionali frequenti, per esempio non voler accettare di aver usato inutilmente risorse, con la conseguenza di insistere su decisioni anche quando con le nuove informazioni disponibili queste appaiono irrazionali.

Ma un errore opposto è quello di dimenticare i fondamenti della decisione precedente solo perché alcuni segnali sembrano in contraddizione con quanto ci saremmo aspettati, e farsi prendere quindi dal panico quando è troppo presto per valutare che la strategia non funziona.

Nell’aviazione civile ci sono protocolli per aiutare un pilota a decidere in quali casi è ammissibile modificare una manovra in una fase critica delle operazioni come il decollo. Si ritiene per esempio che oltre una certa velocità, detta di non ritorno, sia quasi sempre da evitare un rigetto del decollo, sebbene la discrezione del pilota permetta di farlo in condizioni eccezionali se lui si convince che l’aereo non sia in grado di staccarsi da terra. In tal caso perfino la certezza di non potersi più fermare entro la fine della pista è preferibile a un tentativo di decollo. Decisioni da prendere nel giro di secondi e la cui esecuzione corretta richiede perfetto coordinamento e rispetto delle gerarchie nel cockpit.

Alla fine di quest’anno l’AD di Porche Oliver Blume lascerà il comando a Michael Leiters, come reazione al crollo nella redditività dell’azienda dovuto al fatto, scrive l’Economist, che l’interesse dei clienti di auto sportive per le versioni elettriche non è sufficiente a mantenere il livello di vendite e di margini precedente. Leiters dovrà quindi decidere per esempio se reintrodurre una versione a benzina per la nuova Macan, un SUV, che al momento è previsto solo elettrico.

Reintrodurne una versione a benzina, scrive l’Economist, comporterebbe almeno un paio d’anni di ritardo sul lancio. Che, tornando all’esempio aeronautico, equivale a dire che la rinuncia al decollo della strategia precedentemente impostata potrebbe comportare di finire fuori pista, subendo danni potenzialmente superiori ai rischi di tirare dritto.

A me in realtà non stupisce che i clienti di auto sportive siano affezionati ai motori tradizionali e a tutto l’immaginario relativo. Mi preoccupa invece che il nuovo CEO di Stellantis Antonio Filosa dichiari in pubblico che il problema dell’azienda è la decisione europea di vietare di vendere motori tradizionali nel 2035. Se davvero Stellantis pensa di fare una quota rilevante di profitti tra dieci anni con motori a combustione interna, vuol dire che non si sente in grado di decollare sull’elettrico nemmeno in tempi più che ragionevoli, nemmeno con una pista molto lunga davanti. E magari ci fosse tutto questo spazio: sappiamo che la concorrenza cinese invece è già in volo e che i suoi modelli elettrici, un po’ per l’attuale eccesso di capacità e aiuti pubblici, un po’ per il fatto di essere partiti prima, sono clamorosamente competitivi sui nostri mercati.

Insomma, spero tanto che i segnali che si vedono dall’industria automobilistica europea non siano quello che sembrano: panico rispetto al futuro. Paura di portare la manetta dei motori al massimo e giocarsela sui nuovi prodotti e le nuove tecnologie.

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martedì 28 ottobre 2025

Pasticcio al carbone (Puntata 692 in onda il 28/10/25)

Illustrazione di Paolo Ghelfi
(riutilizzata, perché l'autore
batte la fiacca ultimamente)
Questa puntata si può ascoltare qui.

Torniamo sulla retromarcia del Governo sulla chiusura degli impianti di produzione elettrica a carbone che sarebbe invece prevista alla fine di quest’anno in Italia dalla strategia energetica e dal piano per il clima.

Il ministro Pichetto ha addirittura dichiarato al recente convegno di AIGET (associazione grossisti e trader di energia) che non darà mai l’ordine di chiudere le poche restanti centrali, riferendosi al fatto che il Governo deve autorizzare le disconnessioni di impianti elettrici rilevanti, sentito il parere di Terna, il gestore della rete di trasmissione nazionale.

Il ministro ha anche ammesso che c’è in corso una negoziazione tra Enel (che gestisce tre delle centrali ancora operative) su quanto l’azienda dovrebbe essere remunerata per lasciare gli impianti disponibili in “riserva fredda”. Termine che è curioso come venga ripetuto pur non essendo definito nell’ordinamento italiano. Ci sono paesi che in effetti approvvigionano capacità elettrica di lungo termine come “riserva strategica” ma non è il nostro caso, in cui gli strumenti per garantire che il mercato fornisca capacità di sicurezza includono invece un sistema di remunerazione dei costi fissi chiamato capacity market e un mercato in cui nel breve periodo Terna si approvvigiona della potenza di riserva che permette di gestire le deviazioni dall’equilibrio previsto tra domanda e offerta elettrica.

E i riflettori sono ora inevitabilmente accesi su Terna, che non dichiara nei suoi rapporti che le centrali continentali a carbone (per quelle sarde è invece già previsto un ritardo di un paio d’anni) debbano restare in condizioni funzionali e che, salvo clamorose smentite, non ha motivo di dirlo.
Infatti le ragioni per cui il Governo vuole una riserva a carbone non hanno a che fare con la sicurezza del sistema elettrico, bensì con una fiducia evidentemente ora incerta sulla competitività futura delle forniture internazionali di gas. Sfiducia un po’ intempestiva dopo che l’intera strategia di conversione energetica è stata accompagnata da parte del Governo dal mantra del gas come backup alle rinnovabili, strategia che ha implicato investimenti notevolissimi in porti di rigassificazione e tubi.

Enel dal canto suo prima della riapertura della questione aveva dichiarato pubblicamente di aver chiesto il permesso alla dismissione degli impianti a carbone come da programma, cosa che a norme attuali le conviene visto che in condizioni normali di mercato tali centrali non sono competitive e infatti sono già spente di fatto da tempo, e pesano con i loro costi fissi.

Ora, pur nella nuova era di dirigismo arbitrario dei Governi, non solo il nostro, anche in contrasto al legittimo affidamento degli operatori di mercato e, direi, dei cittadini, le istituzioni dovranno pur comunque riempire di un contenuto giuridico e regolatorio la definizione di “riserva fredda” per quantificare e giustificare i soldi di fatto pubblici che andranno ai gestori degli impianti coinvolti. E anche per chiarire quanto emergenziale sarebbe l’uso di questa riserva, visto che accendere effettivamente gli impianti prevederebbe senz’altro la violazione di norme ambientali su inquinamento (su cui già siamo in mora con Bruxelles) e sul clima. Su quest’ultimo punto il commissario UE competente, Hoekstra, si è detto in attesa di elementi.

La mia impressione è che il ministro Pichetto stia preparandosi la strada a qualche mal di testa. Derrick farà il possibile per contribuirvi.


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martedì 21 ottobre 2025

Calenda e i guadagni delle reti energetiche (Puntata 691 in onda il 21/10/25)

Illustrazione di Paolo Ghelfi
Questa puntata si può ascolare qui.

In un contesto in cui quasi mai qualcuno manifesta in pubblico criticismo su chiunque abbia un po' di potere, l'invettiva di Carlo Calenda di qualche giorno fa contro Flavio Cattaneo mi è parsa una piccola boccata d'ossigeno.

Calenda però la chiude buttando sul personale una cosa che invece (come lui stesso anticipa) ha una valenza pubblica.

Vediamo di cosa si tratta per chi non ha seguito il battibecco: Calenda nota come Enel Distribuzione, gruppo Enel, faccia utili notevolissimi, e menziona un 40% che potrebbe essere compatibile con dati recenti del rapporto tra risultato operativo o netto dell’azienda e il fatturato. In effetti nel 2024 Enel Distribuzione aveva un risultato operativo netto di oltre 3 miliardi e mezzo per un fatturato di poco più di 9.

Si tratta in effetti di una redditività notevolissima, ed è comune in Italia nelle aziende che gestiscono reti dell’energia. Aziende che come dice Calenda hanno un rischio limitato, visto che la struttura delle tariffe che le remunera, stabilita dall’ARERA, è disegnata per garantire un ragionevole ritorno sugli investimenti e rifusione dei costi operativi. In più, i clienti sono captive, cioè non possono scappare a meno che non smettano di consumare energia, visto che i gestori delle reti sono monopolisti nella loro area di competenza.

Non ha senso però prendersela con Cattaneo che amministra una delle aziende beneficiarie, e men che meno Cattaneo dovrebbe "stare zitto" (come gli suggerisce Calenda nel suo attacco) sui suoi risultati economici. Anche perché una società quotata cosa dovrebbe fare? Nascondere gli utili? Introdurre sussidi interni da business regolati ad altri in concorrenza?

Piuttosto, se il punto sollevato è fondato (e io credo di sì) c'è un problema delle istituzioni dello Stato che evidentemente non riescono a regolare come dovrebbero questi settori. Leggo che Calenda correttamente ha sollevato la questione anche in Parlamento e che il ministro Pichetto ha girato la responsabilità su ARERA, reazione comprensibile visto che l’Autorità è tenuta a essere indipendente dal Governo e che il disegno di dettaglio delle tariffe di rete le compete.

La questione politica in ogni caso c’è, ed è particolarmente importante, visto che non c'è membro del Governo o del Parlamento che non invochi bollette più basse, e visto che dopo alcuni mesi dalla scadenza Governo e Parlamento non sono ancora riusciti a esprimere i nuovi vertici di ARERA.

Ma attenzione, sulla remunerazione delle reti energetiche non c'è solo la questione del quanto, ma anche del cosa. Quali parti dell’infrastruttura hanno effettivamente bisogno di investimenti urgenti che magari giustificano (piccoli) premi economici? Quali invece al contrario devono smettere di spendere soldi collettivi in nuovi asset perché incoerenti con la strategia energetica e climatica? (Spoiler: la risposta a quest'ultima domanda è: le reti gas).

Di sicuro sovraremunerare indiscriminatamente o quasi ogni euro investito nei settori regolati non è una buona idea né per la competitività né per la transizione energetica.


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