È in corso a Baku, in Azerbaijan, la 29esima conferenza ONU sui cambiamenti climatici e non sta andando molto bene mentre scrivo. Pochi i capi di Stato presenti, mentre aleggia la figura del presidente elettro Trump che la prima volta alla Casa Bianca aveva ritirato gli USA dagli impegni dell’accordo di Parigi, uno dei più importanti nella storia delle COP, perché quantificò in 2° (poi ridotti a 1,5) il riscaldamento massimo tollerabile per non incorrere in costi di adattamento insostenibili.
Come nella storia (che ora non ricordo da che tradizione
venga) della rana in pentola, sembrerebbe che il riscaldamento progressivo e i
danni collaterali più che spaventare stiano assuefacendo la maggioranza del genere
umano, che non trova il guizzo per saltare fuori dalla pentola prima di restare
bollito, o per spegnere il gas sotto.
E l’assuefazione s’accompagna a un armamentario di frasi
fatte e argomentazioni dogmatiche standard che i politici disinteressati alla
questione usano ormai rutinariamente. Per esempio: no al catastrofismo, no
all’ambientalismo “ideologico”, sì alla neutralità tecnologica. (Per inciso,
non c’è niente di più tecnologicamente neutrale per ridurre le emissioni
dannose che far pagare una carbon tax sufficiente a disincentivarle, senza
impedire né favorire in modo arbitrario alcuna tecnologia).
Non fa eccezione a questa brutta superficialità purtroppo la premier Meloni che, a Baku anche come presidente di turno del G7, non si è fatta mancare nel suo discorso nessuno dei luoghi comuni che ho elencato, cui si aggiunge che le fonti rinnovabili di energia da sole non bastano. Il che richiederebbe evidenze o argomentazioni, come l’atra affermazione buttata lì sulla persistenza della necessità del gas.
Ma le argomentazioni, per smentire i tanti studi che dicono
il contrario da parte di istituzioni come OCSE, ONU, Banca Mondiale, non
arrivano in questo stanco gioco delle parti.
Meloni ha concluso dicendo che dobbiamo confidare nella
fusione nucleare.
Tagliando così le gambe allo stesso ministro Pichetto Fratin
che poche settimane fa (Derrick ne ha parlato) aveva invece lanciato un piano
per l’Italia sui piccoli reattori modulari a fissione, a sua volta deludendo
chi sperava di avere il via libera a realizzare impianti di tecnologie
effettivamente disponibili oggi, pur con tempi biblici di costruzione e senza
sapere con quali soldi.
Meloni invece salta direttamente alla fusione. Se in un
altro contesto una visione così proiettata al futuro remoto avrebbe potuto
suonare come un tocco di speranza o lungimiranza, a una conferenza il cui
obiettivo è spegnere in fretta il gas sotto la pentola della rana il discorso
di Meloni ha mostrato, in triste contrasto con il piglio assertivo con cui è
stato pronunciato, un’indifferenza raggelante. E non è un gelo utile a
raffreddare il pianeta.
Qui una recente mia conversazione sul nucleare per Euronews: