domenica 8 giugno 2025

Trenitalia e lo zen dei biglietti regionali (Puntata 475 in onda il 10/6/25)

Illustrazione di Paolo Ghelfi
Immaginiamo di doverci muovere in città coi mezzi pubblici, bus o metro. Abbiamo un biglietto da convalidare, o magari una carta di credito o la app di pagamento sul telefonino, convalidiamo o passiamo la carta e facciamo la nostra corsa.

Immaginiamo ora che il percorso comprenda un treno regionale – recentemente quelli cittadini si sono chiamati anche treni metropolitani ma non mi pare sia più così, la tassonomia dei treni è una materia affascinante e molto cangiante, ricordo ancora per esempio gli espressi con gli scompartimenti con i sedili in finta pelle, le copie di paesaggi italiani in bianco e nero in cornicette d’ottone. Oppure gli “interregionali” che dichiaravano con precisione nel nome di varcare il confine amministrativo ora invece anche loro definiti regionali - ma sto divagando e diventando troppo sentimentale.

Dicevo immaginiamo che il nostro spostamento in città includa un treno regionale. A Roma per esempio sono preziosi perché sopperiscono alle poche linee di metro. Un paio di giorni fa ne ho preso uno a Mandela, una stazione sulla Tiburtina, e nei 45 chilometri circa fino a Roma si è fermato 14 volte: un servizio di prossimità analogo a quello di una metropolitana.

Rispetto a una metropolitana o a un bus urbano, però, il modo in cui funziona il biglietto è completamente diverso. Nei primi nessuno pretende che tu sappia in anticipo quale convoglio prenderai e che compri il biglietto almeno cinque minuti prima, con il biglietto elettronico regionale Trenitalia invece sì: il biglietto è specifico per un solo treno. Puoi cambiarlo dalla app prima dell’orario previsto di partenza, ma se mancano meno di cinque minuti alla partenza prevista non puoi comprare il biglietto, e quindi a maggior ragione se il treno è in ritardo secondo la logica Trenitalia non ci puoi salire. Devi aspettare nella banchina il successivo, così, per dispetto.

Per quale motivo avranno deciso che i treni regionali siano l’unico mezzo di trasporto locale dove improvvisare è vietato?

Fino a un paio di settimane fa ho sempre constatato come regole così vessatorie fossero bilanciate dalla ragionevolezza del personale. Per esempio nella tratta da Roma Trastevere all’aeroporto di Fiumicino, un treno ogni 15 minuti, se il primo treno disponibile non è più acquistabile per ritardo o imminenza ho sempre comprato il biglietto per il successivo prima di salire, spiegandolo al personale di bordo che ha puntualmente constatato la buona fede (visto che ho già pagato per un treno successivo che materialmente non potrei prendere dopo aver già preso il precedente, in nessun modo sto pagando meno del dovuto) e non ha mai obiettato.

Questo è stato vero fino a un treno dall’aeroporto di Cagliari Elmas a Cagliari. Biglietto da 1,2 euro mi pare, corro sul primo convoglio disponibile col biglietto già fatto sul primo treno acquistabile, cioè il successivo, e il capotreno Nicola O. mi commina una multa di cinquanta euro e rotti, oltre all’acquisto del nuovo biglietto. Gli chiedo se non sia una regola stupida quella dei cinque minuti. Ammette che lo è, e accetta perfino di verbalizzarlo, giuro, ce l’ho scritto, ma non di comportarsi come tutti i suoi colleghi fino a ora in modo più ragionevole della regola a suo dire stupida.

Mi prendo la briga di fare pazientemente un reclamo ponendo tutte le considerazioni fatte qui, e invece di rispondere al quesito (perché fate regole vessatorie senza senso?) Trenitalia mi ripete la regola.

Ho provato a parlarne scrivendo a Gianpiero Strisciuglio, recentemente nominato amministratore delegato di Trenitalia, ma non mi ha risposto. Né lo ha fatto l’ufficio stampa. Ma io non mollo l’osso, cercherò ancora di contattare Strisciuglio per chiedergli cosa ci guadagna Trenitalia a rendere i biglietti regionali così farraginosi e multare viaggiatori rei di comprare il primo biglietto disponibile per un treno che parte entro cinque minuti. Sarà che Trenitalia vuole instillare lo zen della pianificazione e della lentezza a normali pendolari stressati? Ing. Strisciuglio, venga a raccontarcelo, è il benvenuto a Derrick.

martedì 27 maggio 2025

Il vento giusto (Puntate 673-4 in onda il 27/5 e 3/6/2025)

Illustrazioni di Paolo Ghelfi
Questo testo è apparso in una forma simile su QualEnergia, che ringrazio.

Il testo si può ascoltare qui (prima parte) e qui (seconda).

Il 18 agosto 2021, con 43 minuti di ritardo rispetto ai piani di volo, è atterrato al Pinal Airpark un Airbus A330 registrato in Canada come C-GITS.

Non si sarebbe più alzato da quella pista. Pinal Airpark è un deposito nel sud dell’Arizona per aerei destinati allo smantellamento. Grazie all’aria secca del deserto, i metalli dei velivoli parcheggiati si degradano più lentamente. E perché il sole non disintegri le plastiche e gomme degli interni, alcuni parabrezza vengono oscurati e i portelli di cabine e stive lasciati socchiusi per ventilarle un po’. La pioggia non è un problema al Pinal Airpark.

L’estate successiva, con mia figlia, nei pressi del forte Santa Catarina abbiamo atteso a lungo il traghetto che dall’isola Terceira, nell’arcipelago portoghese delle Azzorre, ci doveva portare all’isola Graciosa. Era in ritardo a causa del vento impietoso e del mare grosso.

Appena a bordo mi sono sistemato in una poltrona e ho aperto il laptop in vista delle molte ore di navigazione, ma dopo due minuti l’avevo già richiuso in preda alla nausea. Sono arrivato a Graciosa distrutto malgrado il soccorso di una coppia di attempati lusitani che ci ha regalato due compresse per il mal di mare.

Vent’anni prima del suo ultimo volo, il C-GITS era stato battezzato “Azores Glider” (aliante delle Azzorre) dopo le riparazioni in seguito a un atterraggio molto duro a Terceira. Aveva subito danni per la violenza del contatto con la pista e letteralmente grattugiato via le gomme e perfino i cerchioni dei carrelli posteriori. Era arrivato molto più veloce del normale, di punta, senza gli ipersostentatori che normalmente permettono di rallentare prima del touch down, senza gli spoiler che aumentano l’aderenza alla pista, senza il sistema antibloccaggio dei freni. Senza motori. Planando fino all’impatto in un silenzio che dev’essere apparso surreale a chi fosse alle prime luci del giorno d’estate sulla pista di Lajes, Terceira, Azzorre.

I cerchioni ormai privi di pneumatici hanno tagliato per un lungo tratto l’asfalto come avrebbe fatto un apriscatole.

Ai comandi c’era un canadese del Québec con discutibili capelli lunghi e un passato da contrabbandiere di marjuana con aerei da turismo che gli era costato negli anni Ottanta sedici mesi di carcere negli Stati Uniti. Il suo nome era Robert Piché.

Piché aveva appena pilotato per 120 km a motori spenti un aereo intercontinentale con 306 persone a bordo. Un record mai battuto su un aereo del genere, e con manovre non previste nemmeno in simulatore. Il carburante, disperso da un tubo sbagliato montato in uno dei motori, si era esaurito all’alba sopra l’oceano Atlantico. A bordo si erano spente tutte le luci e tutte le apparecchiature elettriche tranne gli strumenti minimi per la navigazione e il controllo dell’aereo. Gli assistenti di volo avevano preparato i passeggeri a un ammaraggio senza dire quel che molti intuivano: sarebbe stato potenzialmente letale.

Per 20 minuti i passeggeri hanno assaporato la fine.


La terraferma nel porto di Praia a Graciosa è stata una liberazione. Era ormai tardo pomeriggio, il vento incalzava. Era così bello avere i piedi sul suolo che anziché prendere un taxi ci siamo inerpicati per chilometri sulla strada alta sul mare verso il capoluogo Santa Cruz, tra costruzioni rurali e un paesaggio curiosamente simile a torbiere scozzesi o irlandesi. Il caldo dell’estate continentale sembrava lontanissimo, eppure proprio in quei giorni gl’incendi divampavano nei dintorni di Lisbona, mentre in Italia il governo Draghi si preparava a soccombere alle successive elezioni anticipate.

Passato un valico e percorso un lungo rettilineo in discesa, finalmente si vedevano da lontano le prime case di Santa Cruz, mentre alla nostra destra sfilava una rada zona industriale in cui si notava un capannone più grosso degli altri con una scritta: Central da baterias, Graciolica. Poco dietro, all’interno dello stesso recinto, un parco fotovoltaico.

L’Azores Glider sarebbe potuto arrivare con un motore funzionante da Toronto all’arcipelago portoghese malgrado la perdita di carburante, se solo Piché e il suo giovane copilota avessero seguito le procedure corrette dopo che gli strumenti di bordo molto prima dell’alba li avevano avvertiti del consumo anomalo. Avrebbero potuto spegnere il motore con la perdita e far passare il carburante residuo nell’ala senza perdita. Invece hanno fatto il contrario: per bilanciare i pesi hanno spinto il carburante verso il buco, fino a trovarsi completamente a secco sopra l’oceano.

Senza la spinta dei motori si è fermata anche la pressurizzazione della cabina. Sono scese le maschere per l’ossigeno mentre Piché iniziava la discesa in planata. L’unica fornitura elettrica residua del bestione intercontinentale era affidata a un piccolo generatore eolico d’emergenza sotto alla carlinga, sceso automaticamente per forza di gravità.

La mattina dopo l’arrivo a Santa Cruz mia figlia e io abbiamo preso due bici a noleggio per esplorare l’isola. Un’ora più tardi, alla fine di un ripidissimo strappo di salita, eravamo sul punto più alto di Graciosa tra aerogeneratori in funzione. Un sentiero faceva il periplo di un antico cratere vulcanico. Ma il vulcano attivo dell’isola è la caldeira do Enxofre, più a Ovest, dove in una grande grotta echeggiano bolle di fanghi sulfurei.

Le indagini dopo l’incidente AirTransat 236 hanno acclarato che il potenziale disastro è stato causato prima da un errore di manutenzione e poi dalla reazione sbagliata dei piloti alla perdita di carburante. Questo non ha impedito a Robert Piché di essere da allora considerato un eroe, di ricevere un premio dall’associazione internazionale dei piloti e di iniziare una carriera parallela di conferenziere. Il giorno del suo ultimo volo prima della pensione ancora i passeggeri gli chiedevano selfie e autografi. Che cosa strana la vita, ha detto in un’intervista: un giorno finisci in galera, un altro temi di morire e dopo un’ora ti chiamano eroe. Su di lui, oltre a decine di video di ricostruzione dell’incidente più o meno accurati, è stato prodotto un film biografico (Piché entre ciel et terre, disponibile su YouTube nella versione originale in québécois).

Nel 2018 la società energetica Graciolica ha ordinato a Wartzila e altre aziende tecnologiche le macchine per creare a Graciosa un sistema di generazione elettrica e batterie in grado di funzionare al 100% con fonti rinnovabili.

All’inizio del 2020 la nuova configurazione ha iniziato a ridurre le ore di attivazione dei vecchi generatori diesel. Nel novembre dello stesso anno l’intera isola ha funzionato per 150 ore consecutive al 100% con eolico e fotovoltaico.

Chissà se l’Azores Glider è ancora intero, a parte i motori e gli strumenti più preziosi che saranno stati subito cannibalizzati. Le sue capacità di volare a vela come fosse un aliante di pochi quintali, testate per la prima volta da Piché per salvare la vita sua e dei passeggeri, hanno contribuito al prestigio di Airbus, oggi di gran lunga il più grande produttore di aerei civili al mondo e un caso di successo di un’azienda globale pianificata e incubata dall’Unione Europea. La sua divisione ZeroE dal 2020 sviluppa soluzioni per aerei a zero emissioni dannose con celle a combustibile e motori elettrici, o con turbine direttamente alimentate a idrogeno.

Il villaggio di Santa Cruz a Graciosa è fresco anche a luglio, spazzato dal vento dell’Atlantico. Non è il posto giusto per imparare il portoghese a causa del dialetto che si mangia ancora più vocali che nel continente. Trovare una bici senza la catena corrosa dalla salsedine è difficile. Nel piccolo porto di pescatori hanno tirato su un muro bianco in alcuni punti, credo per difendersi dalle mareggiate che il nuovo clima sta rendendo più aggressive. Ma a Graciosa, riguardo al clima, non si limitano all’adattamento.

martedì 20 maggio 2025

Il ponte sul Topino (Puntata 672 in onda il 20/5/25)

Illustrazione di Paolo Ghelfi.
Chi è Paolo Ghelfi?
Questa puntata si può ascoltare qui.

Pontecentesimo. Sapete dov’è? È una frazione di Foligno, provincia di Perugia, città certo meno turistica (e più grande) rispetto alle vicinissime Assisi e Trevi, ma interessante anche per i tanti canali che la raffrescano. Acqua che arriva anche dal fiume Topino che dà il nome alla valle a NE della città dove passano la via Flaminia (sia nel tracciato romano che nella versione superstradale) e la ferrovia per Ancona di cui Derrick si è occupato più volte. Una valle fresca e lussureggiante dove l’acqua è anche nel nome di Capodacqua, con la sua stazione ferroviaria ormai chiusa come quella di Valtopina. (Di stazioni che chiudono o rischiano di farlo ho parlato a Derrick riguardo a Colli di Monte Bove - link sotto).

Pontecentesimo, dunque, è una delle prime località che s’incontrano imboccando la val Topina poco fuori Foligno.

Se siete lì o più a nord nella valle e avete una bici, o siete a piedi, e appartenete a quel piccolo novero di privilegiati dotati di arti inferiori e di capacità deambulatoria, sappiate che a Foligno con l’energia muscolare non potete arrivarci, salvo abbandonare lungamente la valle con centinaia di metri di dislivello nella zona di Ravignano.

Perché non si può andare dalla Valtopina a Foligno in bici o a piedi? Perché, seppure per solo un chilometro, la vecchia Flaminia converge nella superstrada vietata a bici e pedoni. E non ci sono alternative in quel breve collo di bottiglia. Nemmeno sentieri.

Il cancello tra il ponte abbandonato e
la superstrada Flaminia,
dove c'era lo svincolo di ingresso.
Fino ad alcuni anni fa il tratto di superstrada obbligatoria era di soli 150 metri, grazie a un ingresso dalla via Flaminia Nord di Foligno adiacente a un ponte sul Topino. Un ponte che da almeno cinque anni è in rovina e ospita una modesta discarica informale. È piegato trasversalmente forse per uno smottamento e forse è pericoloso per il flusso del fiume se dovesse cedere e ostruirlo in caso di piena. L’ingresso sulla superstrada (che probabilmente era pericoloso in assenza di corsie di accelerazione) è stato chiuso e al suo posto c’è un cancello, apribile fino a qualche tempo fa e poi bloccato da una catena. Poco dopo il ponte, allontanandosi dalla superstrada, c’era un passaggio a livello sulla ferrovia, oggi letteralmente murato (inglobando le barriere mobili nel muro con un inquietante effetto-Pompei).

Per curiosità sono andato a vedere le immagini satellitari e da terra di Google dove il ponte, l’ingresso in superstrada e il passaggio a livello sono ancora aperti.

Bene. La mia opinione è che la messa in sicurezza o l’aggiornamento di una superstrada non possa implicare l’istituzione di una barriera bloccante per le forme di movimento inadatte alla superstrada. Se mai, si affianca la sede stradale a corsie protette per pedoni e ciclisti, o si degrada quel tratto eliminando le esclusioni e imponendo agli automobilisti di rallentare.

Chi va in bici sa quanto spesso occorre violare barriere o divieti per muoversi in un paese dove la progettazione viaria molto spesso dimentica il traffico non automobilistico e ne diventa un impedimento.

Se pensate che questa puntata sia un invito a scavalcare (più facile passare sotto se siete abbastanza smilzi) il cancello sul Topino e avventurarvi sul ponte storto per poter continuare a percorrere in bici o a piedi la bellissima val Topina da o verso Foligno minimizzando la superstrada, la mia reazione è: no comment.


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