L'organizzazione mondiale della meteorologia ha pubblicato il suo report sul clima nel primo decennio di questo secolo,
decennio che ha registrato la temperatura più alta da quando esistono misure
affidabili, e ha assistito a eventi climatici estremi responsabili, sempre secondo
l'organizzazione, del 20% in più di morti rispetto al decennio precedente
(oltre 350 mila in totale).
Sul come (e in qualche
caso se) agire, però, i Paesi del mondo si stanno muovendo in modo quasi per
nulla coordinato, e l'Europa stessa, in tempo di crisi, si sta interrogando su
come portare avanti le misure di riduzione delle proprie emissioni di
gas-serra.
Staffetta Quotidiana del
5 luglio ha ospitato un articolo di Giovanni Battista Zorzoli che racconta come, paradossalmente,
proprio in Europa si stia usando più carbone di prima nella produzione elettrica, a causa del suo basso
prezzo generato dal minor consumo americano a sua volta conseguenza della
grande inattesa disponibilità di gas naturale a buon mercato in nordamerica. Succede
cioè che Paesi come la Germania, e in misura minore l'Italia, da un lato danno
enormi incentivi alle fonti rinnovabili di produzione elettrica, in gran parte a
zero emissioni, dall'altro usano una maggior quota di carbone per fare energia elettrica, rimangiandosi
in parte il risultato sulle emissioni.
In generale, anche indipendentemente
dallo shale gas americano, un effetto di una forte carbon tax in Europa sarebbe
una riduzione del prezzo internazionale del carbone, rendendolo più conveniente
dove non tassato. Così come è inevitabile che le produzioni ad alto contenuto
di carbonio tendano a spostarsi al di fuori delle aree dove c'è un sistema di
penalizzazione alle emissioni.
Secondo Zorzoli, e
secondo una visione di cui abbiamo già dato conto in Derrick, una soluzione a
questo problema di delocalizzazione è introdurre dazi all'importazione di
prodotti la cui produzione ha provocato emissioni e che arrivano da Paesi senza
un sistema di limitazione delle emissioni stesse.
È una soluzione che crea
problemi di valutazione del contenuto carbonioso implicito nei prodotti. Ma a
parte questo comporta almeno alcuni dei problemi standard del protezionismo. In
particolare, nel breve periodo aumenta i prezzi ai consumatori locali. Sempre
nel breve periodo, se metto un dazio su un bene infatti causo i seguenti
effetti:
- riduco il benessere del produttore estero di quel bene (che perde mercato)
- aumento il benessere di consumatori esteri (che pagano un prezzo più basso dovuto alla ridotta domanda per esportazioni, e si noti che quindi l'incentivo alle maggiori emissioni nei Paesi esteri almeno in parte resta anche con una tassa alle importazioni carboniose)
- riduco – come accennavo - il benessere del consumatore locale, che paga di più per il bene
- aumento il benessere del produttore locale, che vede meno concorrenza da fuori. (Ma attenzione: questo non vale nel caso di una tassa ambientale all'import con effetti pari alla carbon tax locale, perché in questo caso anche il produttore locale del prodotto carbonioso si vede ridotta la disponibilità a pagare del consumatore al netto della tassa).
Dunque il dazio ambientale di Zorzoli risolve la
disparità di trattamento tra imprese locali ed estere conseguenza di una carbon
tax, ma non quella tra i consumatori locali ed esteri, e incentiva questi
ultimi ad aumentare i consumi carboniosi grazie al minor prezzo estero del bene
carbonioso in seguito al dazio.
Resta poi un problema per
l'ambientalista liberale, come me: se lui sdogana il protezionismo a fini
ambientali, dovrebbe per coerenza sdoganarlo anche in relazione ad altre
possibili necessità di correzione di effetti avversi delle differenze di regole
internazionali, con possibilità di introdurre distorsioni massicce e magari
pretestuose. Per ora lascio aperto questo dilemma.
Su Aspo ( http://tech.groups.yahoo.com/group/risorseglobali/message/27274 ) ho cercato di insistere sulle considerazioni affrontate da Zorzoli. Ritengo che occorra allargare e approfondire questi orientamenti di politica energetico-economica. In effetti molti prodotti industriali incorporano dell'energia da fossili, in varia intensità (emergy, embedded energy): tanta se si tratta di semilavorati metallici, poca se si tratta di elettronica di consumo, pochissima se si tratta di prodotti artistico-culturali. Una politica di dazi comunque dovrebbe anche prendere in considerazione le condizioni di lavoro (l'ambiente non deve essere limitato a quello fisico naturale, ma anche ai rapporti sociali) ed ecco che si ha l'impressione che si dovrebbe applicare dazi su quasi tutti i prodotti, e ciò comporterebbe un ritorno a un sistema di economie separate, al passato, a una situazione pre-globalizzazione: un ritorno irrealistico e pericoloso. D'altro canto l'attuale situazione è caratterizzata da profondi squilibri sociali, da gravi problemi energetico-ambientali, quindi una correzione si rende necessaria. Occorre quindi che le famose "regole del mercato" - solo dichiarate - vengano rese esplicite, soprattutto debbono essere proposti i provvedimenti sanzionatori verso chi contravviene.
RispondiEliminaIn fin dei conti poi, un sistema di dazi orientato al perseguimento della difesa delle condizioni di lavoro e dell'ambiente è un vantaggio per tutti, sarebbero provvedimenti a somma positiva.
Ciao Mario. Il protezionismo costa a consumatori e aziende competitive. Quello buono potrebbe funzionare, ma a patto di introdurre i dazi giusti e solo le distorsioni che annullano le esternalità. Missione impossibile?
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