martedì 7 ottobre 2014

Conferenza globale della tassazione ambientale - parte 2 - D214

Seconda puntata con notizie dalla quindicesima conferenza globale sulla tassazione ambientale promossa dall’università di Aarhus e svoltasi due settimane fa a Copenaghen.

L’altro giorno ho raccontato dell’esperienza della carbon tax canadese in British Columbia, un esempio di successo in termini di effetti sui consumi di combustibili fossili e di riduzione delle tasse sul reddito. Si tratta di una carbon tax che si applica sui soli combustibili ed è raccolta e trasmessa all’amministrazione dal rivenditore finale. Quindi abbastanza facile da applicare. Più complicata sarebbe un’imposta indiretta sui tutti i beni in base alle emissioni di CO2. A quali emissioni ci si riferirebbe? Quelle per produrre il bene? Per consumarlo? E supponendo quali tecnologie? È chiaro che servono semplificazioni per attuare una carbon tax olistica. E poi applicata in che fase della produzione? Solo sui beni finali?

Secondo David G. Duff dell’Università della British Columbia, anche lui autore di un paper presentato alla conferenza, è immaginabile una carbon tax sul valore aggiunto, che si costruisce come l’IVA e che a ogni transazione su un bene prevede di essere pagata dal compratore e incassata dal venditore, da applicare non però al prezzo dello scambio ma alle emissioni dannose per il clima.
Ma quanto dovrebbe essere grossa una tassa del genere per fornire segnali sufficienti a innescare cambi tecnologici o di abitudini rilevanti? Se torniamo all’esempio semplice di una accisa sui combustibili equivalente a un prezzo della CO2 di qualche decina di Euro, che è anche l’impostazione della bozza di direttiva europea in materia, parliamo di un ordine di grandezza di una decina di centesimi di euro, per esempio, al litro di gasolio. Non poi tanto.

Ma secondo Silvia Tiezzi e Stefano F. Verde dell’università di Siena, anche loro a Copenaghen con i risultati di uno studio basato su dati osservati negli USA, c’è un effetto imprevisto dalla teoria e molto interessante.
Questo: la gente reagisce in modo più forte a un aumento di prezzo di un carburante se sa che è causato da un tassa. Questa sorta di avversione fiscale, secondo Tiezzi e Verde, fa sì che l’elasticità al prezzo dei consumi (cioè la reattività dei consumatori a cambiamenti di prezzo) potrebbe essere sottostimata quando si parla di imposte al consumo, incluse quelle ambientali. Se così è, e nei dati visti dagli autori lo è, l’effetto di scoraggiamento al consumo di una tassa ambientale potrebbe andare al di là delle attese razionali, purché, certo, ci sia adeguata informazione (perché è difficile esplicare avversione per ciò di cui non si conosce l’esistenza, quand’anche sia una tassa).

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