sabato 20 marzo 2021

Lo stigma della liquidità (Puntata 477 in onda il 23/3/21)

Ragazze birmane a Bagan (copyright Derrick)
Una domanda da tre trilioni di dollari”, titola un articolo della sezione finanza del numero dell’Economist di metà marzo 2021.

Si riferisce a una stima del risparmio in eccesso rispetto alla norma in 21 Paesi ricchi del mondo. Un risparmio naturalmente non distribuito uniformemente tra classi di reddito, e che riguarda soprattutto i benestanti per cui una quota importante di spesa normalmente è per beni voluttuari (diciamo così) come viaggi o ristoranti che la pandemia impedisce di consumare. Nella classifica dei Paesi con questo risparmio anomalo l’Economist mette in ordine decrescente di incidenza rispetto al PIL Canada, USA, Regno Unito, Australia e Italia (seguono Germania e Francia). In alcuni casi potrebbero aver contribuito i piani straordinari di stimolo all’economia fatti proprio con iniezione di liquidità, dice l’articolo. Come far immettere questa liquidità nell’economia? A questo allude il titolo.

Oltre alla impossibilità di fare attività voluttuarie, pesa probabilmente la razionalità dei cittadini, non così fessi da pensare che i sussidi a pioggia e le aziende obbligate a non licenziare e tenute in vita con soldi pubblici, o la nazionalizzazione di interi comparti dell’economia con un processo non dichiarato di deliberalizzazione possano esserci senza una stretta successiva duratura in termini di benessere e tasse.

Il guaio è naturalmente il circolo vizioso: più tardi gli acquisti ripartono peggio è per la sostenibilità del sistema anche pubblico.

Dunque dobbiamo sentirci in colpa se con il lockdown spendiamo meno? Con un tempismo inquietante, leggo qualche giorno fa una mail di Banca Fineco. Un’azienda che spesso ho lodato per l’eccellente piattaforma online inaugurata più di 20 anni fa quando sembrava ancora fantascienza, ma che commette la piccola ingenuità di mandare mail superfiche e scintillanti quando vuole venderti un servizio e invece omertose (ma proprio per questo riconoscibilissime) quando vuole piazzarti la fregatura. Apro dunque il link contenuto nella terrea e sibillina proposta di modifica unilaterale del contratto e scopro che la mia banca si riserverà a breve il diritto di chiudermi il conto se ho troppa liquidità e non compro servizi di credito o risparmio gestito. (Stranamente non sembra riferirsi anche ai servizi di intermediazione di trading).

Perché questa minaccia? Perché i tassi di interesse interbancari, quelli “all’ingrosso” per così dire sono ormai da tempo negativi e, immagino, non c’è molta domanda di credito che sia coerente con le regole di solidità dei bilanci degli istituti. Anche Fineco, in altre parole, evidentemente non sa dove mettere la liquidità. (Mi viene in mente che qualche mese fa ho visitato un concessionario d’auto per sentirmi dire che mi facevano lo sconto solo se chiedevo un finanziamento che non m’interessava).

Un po’ mi stupisce che questa decisione di Fineco arrivi proprio insieme ai primi segni di una ripresa dell’inflazione che dovrebbe di per sé ridurre l’incentivo alla liquidità e, politiche espansive delle banche centrali permettendo, rialzare un po’ i tassi. Ma tant’è.

Con una battuta si potrebbe dire che siamo allo stigma della liquidità.

Ora vado online e che faccio, mi compro la quinta bicicletta, visto le FAQ del Governo – nuova fonte del diritto in questa brutta stagione – concedono di varcare i confini comunali pedalando purché sia “funzionale all’attività sportiva”? O un nuovo telefonino? O un periodo di studio all’estero per mia figlia in un posto dove spero le scuole le tengano aperte non solo a parole? (Ah, già: questo l’ho già fatto).

“Aspettati un boom immobiliare” ha risposto con più visione Matteo Di Paolo a un mio tweet sullo stigma della liquidità. Ma nel mio caso non è uno stigma capiente abbastanza per l’attico che ho adocchiato.


Link

Nessun commento:

Posta un commento