domenica 28 novembre 2021

Economia e Stati (Puntata 505 in onda il 30/11/21)

L'immagine di copertina dell'Economist
del 20/11/2021
L’editoriale dell’Economist del 20/11/2021 è dedicato al peso crescente degli Stati nelle rispettive economie. Una tendenza globale con pochissime eccezioni. Perfino negli USA ormai la quota di spesa pubblica rispetto al Pil veleggia verso il 50% mentre in Francia e Italia è attorno al 60%, superando perfino Paesi come la Svezia che siamo abituati a considerare forti esempi di welfare.

In India, lo abbiamo già visto in passato qui su Derrick, lo Stato deborda in termini di controllo delle aziende principali e, leggiamo sullo stesso Economist, anche di sussidi per alterare il prezzo di mercato di beni di consumo, con il 9% della spesa pubblica dedicata a quelli sul cibo, e qui la buona notizia è che in parallelo c’è stata nel paese una riduzione dei sussidi ai combustibili fossili.

In passato mi sono avventurato a chiedermi quanto possa durare, in Cina, un’economia basata su investimenti, anche in tecnologia, in cui c’è sempre meno spazio per l’autodeterminazione rispetto all’ingerenza delle holding controllate dal regime. L’economista Arthur Kroeber ha definito la Cina uno Stato venture capitalist, termine con cui in finanza si definiscono i fondi che investono in aziende con forti prospettive di crescita all’inizio del proprio ciclo di vita. Ma dubito che qualsivoglia regime, il cui principale obiettivo è perpetuare se stesso, possa avere intuizioni brillanti su quali innovazioni potranno interessare di più i consumatori di domani. E non è detto che la consapevolezza di questa contraddizione tardi molto a ridurre il flusso di investimenti verso la Cina.

L’Europa, dal canto suo, con la cosiddetta “tassonomia” dei settori economici in termini di sostenibilità ambientale, si sta preparando a guidare in questo senso gli investimenti privati, con alcuni rischi di eludibilità della tassonomia e soprattutto di sua incoerenza, e con la palese contraddizione dell’occuparsi della sostenibilità degli investimenti privati senza che la stessa comunità di Stati abbia interrotto i sussidi pubblici dannosi all’ambiente. Un problema globale laddove, calcola un recente studio Lancet, la carbon tax netta è addirittura negativa, cioè più che compensata dai sussidi agli stessi beni dannosi per il clima.

L’Italia su questo purtroppo contribuisce in negativo, e assistiamo a una riforma del fisco in arrivo che nel migliore dei casi sfiorerà la questione, mentre il ministro della transizione ecologica, mentre scrivo questa puntata il 27 novembre 2021, sta ancora bloccando alla sua firma, provocando un ritardo rispetto alla prescrizione normativa, l’edizione aggiornata del catalogo dei sussidi dannosi all’ambiente.

Forse perché conterrebbe numeri tali da mostrare tutta l’inadeguatezza della riforma in lavorazione?


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