Enrico Mattei |
Come lui sono nato nell’entroterra pesarese e dopo la laurea mi sono
formato alla scuola di energia che porta il suo nome a San Donato Milanese: figuriamoci
se non ammiro la figura di Enrico Mattei, di cui il 27 ottobre è ricorso
l’anniversario della morte.
In Eni girava uno scherzo secondo cui l’acronimo SNAM, nome
della società che è stata anche il monopolista della
commercializzazione del gas in Italia, significasse in realtà Siamo Nati A
Matelica, cittadina non lontana da dove Mattei nacque e dove il gruppo Eni
in effetti aveva aperto sedi forse motivate dalla sua attenzione a quel
territorio.
Mattei fu incaricato di liquidare l’Agip e invece le procurò
spazi prima inimmaginabili grazie all’innovazione con cui ruppe il cartello
delle major petrolifere concedendo nuove prerogative ai paesi produttori
che si affacciavano sul mercato. In Italia “inventò” il gas naturale, che
avrebbe permesso al sistema energetico nazionale di non ricorrere troppo al carbone nell'industria e nella produzione di elettricità, anche se per
abbandonare l’olio combustibile ci vollero la privatizzazione dell’Enel e
l’introduzione della concorrenza con una nuova stagione di investimenti.
La presidente Meloni lo ha citato come innovatore riguardo
ai suoi rapporti con l’Africa, un innovatore capace di leggere le tendenze
economiche e tecnologiche globali e di fare nello stesso tempo gli interessi
dell’industria energetica nazionale.
Cosa farebbe Enrico Mattei oggi? Dove accompagnerebbe i
politici (che lui si vantava di usare “come si usa un taxi” –
chissà se anche questo piace a Meloni) a farsi patrocinare accordi e
investimenti? Su quali energie e tecnologie punterebbe?
Immagino che guarderebbe al futuro come fece allora. Il suo gas era uno strumento di emancipazione tecnologica, ecologica ed economica,
mentre parlare oggi di “gas di transizione” in un paese che quella transizione
l’ha fatta tra i primi al mondo suona quantomeno intempestivo, così come averlo
promosso all’interno della tassonomia UE degli investimenti verdi da parte
italiana è masochistico, visto che da noi quegli investimenti sono già stati fatti.
E magari, come suggerisce Meloni, Mattei guarderebbe come
allora all’Africa, ma non per proporre lì un ulteriore sviluppo delle energie
fossili (peraltro in piena contraddizione con accordi siglati dall’Italia a
margine della COP26), bensì per arrivare in anticipo come partner
industriale nelle tecnologie della nuova energia.
Tecnologie che nella parte più rurale dell’Africa, che deve
ancora sviluppare un sistema elettrico moderno, potrebbero passare per percorsi
innovativi anche in confronto all’Europa, fatti di reti locali intelligenti, di
gestione flessibile della domanda, di accumuli e produzione elettrica
distribuita da fonti rinnovabili. O, nel Mediterraneo, fatta di quegli
elettrodotti sottomarini tra Italia e Nord Africa di cui chissà perché si
parlava vent’anni fa più di quanto si faccia oggi. Ne uscirebbe un’Italia hub
non del gas, bensì delle energie rinnovabili e delle loro tecnologie,
facilitando anche il collegamento del futuro eolico offshore
mediterraneo.
L’esempio di Enrico Mattei, la sua capacità di guardare
lontano e rovesciare i tavoli delle convenzioni e del business as usual sono necessari oggi quanto e più di allora. Ne hanno bisogno l’industria
italiana dell’energia e i suoi clienti, ne hanno bisogno le politiche del
clima.
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