domenica 18 febbraio 2024

Il punto sull'energia nucleare (Puntata 611 in onda il 20/2/24)

La piazza di Fidenza
È molto ingenuo pensare che il nucleare termoelettrico in Italia non sia stato più preso in considerazione solo a causa dei referendum dell’87 e del 2011.

Da un lato, purtroppo il sistema normativo italiano è costellato di referendum abrogativi poi superati da leggi successive, dall’altro le leggi sono – ed è naturale che siano – una risposta ai contesti culturali, economici, tecnologici. E infatti, quando gli investitori lo vogliono, le condizioni sembrano esserci e i lobbisti si mettono legittimamente al lavoro, le leggi per accompagnare le opportunità industriali si fanno eccome.

In effetti prima dell’incidente di Fukushima un revival del nucleare in Italia si stava preparando. Una legge predisponeva la costituzione di un’agenzia apposita e l’Autorità per l’Energia arrivò a mettere in consultazione un meccanismo di fissazione del prezzo di lungo periodo non molto diverso da quello che con polemiche è stato discusso recentemente in Europa su spinta della Francia. Enel entrò anche nel capitale di uno dei disastri finanziari del nucleare recente europeo: un nuovo reattore (in costruzione dal 2007) a Flamanville, nella Francia del nord, ma la quota di Enel (per nostra fortuna di suoi azionisti tramite la partecipazione pubblica) fu liquidata dopo il secondo referendum in Italia.

I costi e tempi insostenibili di progetti come Flamanville e gli altri 2 allora in costruzione in Europa sono probabilmente la ragione principale del calo di investimenti in nucleare in Europa e in altre regioni. Globalmente dagli anni Novanta si sono chiusi più impianti di quelli aperti, ma negli ultimi anni una ripresa dei progetti e della costruzione c’è, soprattutto in Cina dove la grande capacità di produzione a carbone giustifica un aumento del nucleare ai fini della politica climatica.

Invece il nucleare è inadatto a convivere con sistemi che abbiano già sviluppato molto le fonti rinnovabili, perché per motivi tecnici ed economici produce in modo costante e non modulabile. Non può, se non con batterie esterne, aumentare o ridurre la potenza sulla base del bisogno momentaneo. E quindi quando ci sono sole e vento la compresenza di nucleare e molta produzione da rinnovabili implica buttare l’energia in più, o stoccarla (aggiungendo i relativi costi), o spedirla altrove, di nuovo aggiungendo costi a quelli già proibitivi della produzione nucleare in sé, e senza nemmeno contare quelli di smaltimento delle scorie e degli impianti a fine vita, questioni mai risolte in modo definitivo in nessun luogo del mondo.

Questo cambierà a breve con nuove tecnologie?

Se per nuove tecnologie intendiamo gli small modular reactor (SMR), cioè versioni miniaturizzate e modulari di reattori convenzionali a fissione, non c’è per ora evidenza né di minori costi complessivi né di alcuna innovazione tecnologica drastica rispetto ai principi di funzionamento delle macchine attualmente disponibili. In ogni caso dovremo aspettare perché al mondo non ci sono ancora SMR commerciali in funzione e, delle tre principali aziende che li hanno annunciati, una, l’americana NuScale, ha recentemente ridimensionato i suoi programmi.

Se per nuove tecnologie intendiamo invece fusione nucleare, allora la questione-chiave è il tempo. Una vecchia battuta dice che la fusione è quella cosa che da cinquant’anni arriva tra trent’anni. Se anche siamo ottimisti (ed è giusto e ragionevole esserlo), i reattori a fusione potrebbero sostituire la generazione successiva di rinnovabili rispetto a quella che installiamo oggi. Non proprio un’opzione per domattina.

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