La piazza di Fidenza |
Da un lato, purtroppo il sistema normativo italiano è
costellato di referendum abrogativi poi superati da leggi successive,
dall’altro le leggi sono – ed è naturale che siano – una risposta ai contesti
culturali, economici, tecnologici. E infatti, quando gli investitori lo
vogliono, le condizioni sembrano esserci e i lobbisti si mettono legittimamente
al lavoro, le leggi per accompagnare le opportunità industriali si fanno
eccome.
In effetti prima dell’incidente di Fukushima un revival
del nucleare in Italia si stava preparando. Una legge predisponeva la
costituzione di un’agenzia apposita e l’Autorità per l’Energia arrivò a mettere
in consultazione un meccanismo di fissazione del prezzo di lungo periodo non
molto diverso da quello che con polemiche è stato discusso recentemente in
Europa su spinta della Francia. Enel entrò anche nel capitale di uno dei
disastri finanziari del nucleare recente europeo: un nuovo reattore (in
costruzione dal 2007) a Flamanville, nella Francia del nord, ma la quota di
Enel (per nostra fortuna di suoi azionisti tramite la partecipazione pubblica) fu
liquidata dopo il secondo referendum in Italia.
I costi e tempi insostenibili di progetti come Flamanville e
gli altri 2 allora in costruzione in Europa sono probabilmente la ragione
principale del calo di investimenti in nucleare in Europa e in altre regioni.
Globalmente dagli anni Novanta si sono chiusi più impianti di quelli aperti, ma negli ultimi anni una ripresa dei progetti e della costruzione c’è,
soprattutto in Cina dove la grande capacità di produzione a carbone giustifica
un aumento del nucleare ai fini della politica climatica.
Invece il nucleare è inadatto a convivere con sistemi che
abbiano già sviluppato molto le fonti rinnovabili, perché per motivi tecnici ed
economici produce in modo costante e non modulabile. Non può, se non con
batterie esterne, aumentare o ridurre la potenza sulla base del bisogno
momentaneo. E quindi quando ci sono sole e vento la compresenza di nucleare e
molta produzione da rinnovabili implica buttare l’energia in più, o stoccarla
(aggiungendo i relativi costi), o spedirla altrove, di nuovo aggiungendo costi
a quelli già proibitivi della produzione nucleare in sé, e senza nemmeno
contare quelli di smaltimento delle scorie e degli impianti a fine vita, questioni
mai risolte in modo definitivo in nessun luogo del mondo.
Questo cambierà a breve con nuove tecnologie?
Se per nuove tecnologie intendiamo gli small modular
reactor (SMR), cioè versioni miniaturizzate e modulari di reattori
convenzionali a fissione, non c’è per ora evidenza né di minori costi
complessivi né di alcuna innovazione tecnologica drastica rispetto ai principi
di funzionamento delle macchine attualmente disponibili. In ogni caso dovremo
aspettare perché al mondo non ci sono ancora SMR commerciali in funzione e,
delle tre principali aziende che li hanno annunciati, una, l’americana NuScale,
ha recentemente ridimensionato i suoi programmi.
Se per nuove tecnologie intendiamo invece fusione nucleare,
allora la questione-chiave è il tempo. Una vecchia battuta dice che la fusione
è quella cosa che da cinquant’anni arriva tra trent’anni. Se anche siamo
ottimisti (ed è giusto e ragionevole esserlo), i reattori a fusione potrebbero
sostituire la generazione successiva di rinnovabili rispetto a quella che installiamo
oggi. Non proprio un’opzione per domattina.
Link
- Una pagina dettagliata in questo blog sulla produzione elettrica da nucleare con decine di fonti aggiornate è qui: https://derrickenergia.blogspot.com/p/nucleare-si-o-no-la-dicotomia-che-non-ce.html
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