lunedì 4 marzo 2024

Il prezzo della sicurezza (Puntata 613 in onda il 5/3/24)

La volta scorsa abbiamo visto come la contemporanea costruzione in Europa di nuovi porti e tubi per il gas per emanciparci dalla Russia condurrà molto verosimilmente a un sistema ridondante e i cui costi renderanno artificiosamente più alti quelli dell’energia stessa per i clienti finali, oppure le tasse.

Il caso del gas in Europa non è l’unico in cui a un mondo più frammentato, insicuro e meno globalizzato si risponde con nuove infrastrutture locali. Se qui le infrastrutture aprono comunque a nuovi mercati internazionali o ne ampliano di esistenti, in altri esempi l’approccio è apertamente protezionista. Si pensi alla creazione in occidente di capacità di produzione o raffinazione di terre rare o di batterie per emanciparsi dalla Cina: potrebbe condurre a un eccesso di capacità mondiale nei settori interessati come è già avvenuto molto repentinamente nel caso del litio, il cui prezzo nel 2023 è sceso violentemente a fronte degli investimenti per renderlo disponibile in varie parti del mondo. Sceso fino a livelli non in grado di remunerare alcuni dei nuovi impianti.

Aiutare la capacità produttiva interna a un paese importatore per emanciparsi dalla dipendenza dall’estero costa al consumatore locale se fatta con tariffe protezionistiche, o al contribuente, sempre locale, se fatta con sussidi.

Cosa succede se poi il mondo, per fortuna, torna a essere un luogo aperto ai commerci liberi ed efficienti? Un mondo in cui, per esempio, le sanzioni verso paesi ostili vengano eliminate grazie alla fine delle ostilità.

Cosa succederebbe ai mercati del gas se il regime di Mosca venisse superato da un’evoluzione democratica e la Russia si riavvicinasse all’Occidente? Verosimilmente i flussi di gas dalla Siberia verso l’Europa riprenderebbero, almeno se parliamo di un futuro abbastanza prossimo da vedere ancora l’uso del gas in Europa, ed essendo il gas via tubo generalmente più competitivo di quello via nave sarebbero guai per la remunerazione degl’investimenti in capacità di trasporto marittima, e perfino probabilmente per quelli in campi di coltivazione di gas remoti (come quelli nel mar dei Caraibi o nell’Africa subsahariana) connessi solo via nave e di colpo non più necessari a rifornire l’Eurasia.

Cosa succederà se si normalizzeranno i rapporti tra Cina e Stati Uniti riguardo all’import ed export di terre rare o di prodotti tecnologici? Anche su questi la capacità produttiva negli USA ora sussidiata dall’Inflation Reduction Act potrebbe di colpo rivelarsi sovrabbondante, con gioia almeno temporanea dei clienti che vedrebbero crollare i prezzi e dolori di chi ha investito in capacità produttiva autarchica, compresi i contribuenti. 

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