martedì 3 dicembre 2024

Il rischio finanziario delle reti gas (Puntata 648 in onda il 3/12/24)

Bucarest, piazza della rivoluzione
La scorsa primavera, volendo rinnovare la mia cucina, ho approfittato per sostituire i fornelli a gas con piastre elettriche a induzione, e lo stesso ho fatto con la caldaia a gas, sostituita con un apparecchio elettrico. Questo mi ha permesso di liberarmi della bolletta del gas, di cui, consumando già molto poco, pagavo perlopiù componenti fisse.

Ho preso online tramite il mio fornitore un appuntamento con la società di distribuzione locale, che gestisce rete e contatori, e il giorno previsto si è presentato un addetto che ha chiuso il contatore e ha apposto un sigillo. Tutto qui. Non è stato non dico smontato, ma nemmeno tappato nulla.

L’operazione mi ha ricordato me stesso quando conservo oggetti che in cuor mio so non userò mai più. Lo faccio forse per illudermi di essere eterno, di poter un giorno se mi va ricominciare abitudini o cicli che in realtà si sono chiusi e appartengono a mondi ormai desueti. (Mi viene in mente una canzone struggente dell’ultimo album di Joe Cocker, intitolata Younger, in cui l’io narrante si propone quando sarà più giovane di fare un sacco di cose che ha finora tralasciato).

A proposito: in casa ho perfino riutilizzato una parte delle tubazioni del gas per farci passare filodiffusione per musica. Chi mai, anche se vendessi casa, ristrutturandola penserebbe mai di ripristinare apparecchi a gas mentre pressoché tutte le abitazioni vengono oggi progettate con alimentazione energetica solo elettrica?

L’Europa va verso l’abbattimento del 90% delle emissioni CO2 nel 2040 rispetto al ’90, e a emissioni nette nulle nel 2050. E un’analisi della Commissione europea prevede che nel 2050 useremo oltre il 70% in meno di idrocarburi gassosi rispetto a oggi, anche considerando biogas e idrogeno.

In un podcast-intervista che linko sul blog Derrick Energia, Jan Rosenow di Regulatory Assistance Project, una brillante società di consulenza al settore pubblico con sede a Oxford, nota non per la prima volta il rischio economico legato al fatto che migliaia di chilometri di reti ad alta pressione di gas e milioni di chilometri di reti cittadine sono valutate negli stati patrimoniali delle aziende che le gestiscono come cespiti in grado di produrre reddito ancora a lungo mentre in realtà saranno inutili molto preso. Non solo, in paesi come il nostro si investe ancora in nuove reti, fatte per durare anche 80 anni. A metterci i soldi sono anche fondi pensione che dovrebbero invece fuggire da infrastrutture che rischiano di non valere più nulla molto prima di quando il loro attuale tasso di ammortamento preveda.

Il mio contatore elettronico seminuovo sul pianerottolo, che verosimilmente non servirà mai più, ma forse è perfino ancora teleletto, è lì a testimoniare tutto ciò.

Più tardi smetteremo di investire in, e più tardi gestiremo un deprezzamento accelerato delle reti del gas, peggio sarà per chi si ritroverà coi suoi capitali ivi impiegati quando saranno diventate completamente inutili, dice Rosenow.

Conoscendo come funzionano le cose da noi, è molto probabile che alla fine col cerino in mano resteranno i contribuenti, dopo che chi avrà potuto avrà ceduto le quote a qualche fondo pubblico tipo CDP reti.

Link

Due interviste a Jan Rosenow di Regulatory Assistance Project:


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