Spesa privata in istruzione (immagine dall'Economist 13 aprile 2019) |
I miei nonni hanno avuto
figli poco prima, durante o poco dopo la seconda guerra mondiale. Erano
poverissimi, ma intuivano che sarebbe convenuto al benessere della famiglia
togliersi il pane di bocca pur di far studiare i figli. Se oggi ho una vita
stimolante, per quanto faticosa, lo devo a loro.
Cosa ci è successo da allora?
Riusciremo a uscire da questa sorta di nuovo patto populista che promuove il
“buonsenso” (cioè la permeabilità a slogan fallaci ma facili) contrapposto alla
competenza? Patto di cui anche la Radio che trasmette questa rubrica, o meglio
i suoi ascoltatori, rischiano di fare le spese.
Ma se guardiamo al mondo,
soprattutto all’Asia, i ragionamenti dei miei nonni non sono affatto passati di
moda. Il mondo investe sempre di più in istruzione privata che si aggiunge a
quella già fornita dagli Stati e che in molti casi opera in coordinamento con
essa.
India, Cina, Vietnam sono i Paesi in cui l’industria dell’istruzione sta
decollando in modo impressionante, avendo quasi triplicato il fatturato in
dieci anni. Lo racconta un prezioso speciale apparso sul numero dell’Economist
del 13 aprile 2019. L’istruzione privata funziona anzitutto come soluzione alle
lacune di quella pubblica, e lo fa per le classi deboli ancor più che per le
élite.
Nella poverissima Haiti l’80% degli alunni elementari vanno in scuole
private. A Sangham Vihar, un immenso slum a sud di Delhi, un insegnante locale
ha fondato una scuola per 2000 studenti con rette a partire da 12 dollari al
mese (un discreto sacrificio per le famiglie, che però così riescono a
emanciparsi). Altre organizzazioni sono multinazionali finanziate da grandi
fondazioni, compresa quella di Bill Gates. Nei Paesi più indietro nello
sviluppo, la disponibilità di una comunità di insegnanti locali è un fattore-chiave
nella nascita di scuole. In casi più evoluti, le scelte dei genitori e la
concorrenza tra scuole influenzano positivamente anche l’offerta pubblica.
Naturalmente la mal posta
dicotomia pubblico-privato è un tabù bloccante sia per alcuni governi che per
parte dell’opinione pubblica, ma deriva perlopiù da manicheismo di vedute. Un
servizio quando è pubblico? Quando la struttura che lo rende possibile è di proprietà pubblica? Quando chi ci lavora è dipendente dello Stato? Quando la fruizione non prevede un
pagamento oltre alle tasse? (se fosse così, dalle elementari al
liceo – tutti statali - mia figlia non ha mai avuto una scuola pubblica visto
che tutte pagano una parte cospicua delle spese correnti – stipendi esclusi –
con collette tra i genitori). Oppure un istituto è pubblico quando chi lo
esercita non può fare profitti? E perché mai un bravo insegnante non dovrebbe
avere aspettative di essere pagato più di uno scarso, come avviene spesso a un
bravo manager o a un bravo chef?
Più sensato ritenere che
un servizio sia pubblico quando è pubblicistico il modo in cui esso è
accessibile – cioè effettivamente disponibile e pagato con le tasse o eventualmente
con una retta a prezzo sussidiato per le famiglie che ne hanno bisogno - e in
cui le sue prestazioni e qualità sono verificate e garantite da un organo
pubblico.
In termini di partnership
pubblico-privato nell'istruzione, uno dei più interessanti laboratori al mondo è quello del
Cile dove i cittadini decidono dove spendere un voucher pagato dalle
tasse, ma anche in Olanda, per esempio, lo Stato finanzia scuole di natura
pubblicistica ma gestite da privati. Nei Paesi in via di sviluppo, queste
partnership sono spesso un modo quasi obbligato per gli Stati di accelerare lo
sviluppo dell’offerta più di quanto riuscirebbero da soli.
Anche nel settore
dell’istruzione specializzata per adulti, questa invece perlopiù di natura
privatistica, le attività crescono velocemente, grazie anche alle possibilità
della tecnologia, che permette modi di fruizione diversi dall’aula tradizionale
e spesso coinvolge come insegnanti dei professionisti iperspecializzati che
si trasformano in docenti solo in alcuni momenti della loro vita professionale.
Quando guardiamo al mondo
e ci chiediamo quali saranno le grandi potenze di domani, e se noi saremo tra
esse, dovremmo forse guardare ai trend di spesa in istruzione (pubblica e
privata) come primo indicatore.
Link utili:
- Lo speciale istruzione sull'Economist del 13 aprile 2019:
https://www.economist.com/leaders/2019/04/13/a-class-apart
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