domenica 27 ottobre 2019

Incentivi o disincentivi fiscali? È lo stesso (Puntata 414 in onda il 29/10/19)


Lo scorso sabato 26 ottobre 2019 il presidente del consiglio Conte in un intervento pubblico ad Ancona ha di nuovo insistito sul fatto che i segnali economici in favore dell’ambiente che il Governo intende dare non saranno punitivi per nessuno (addirittura Conte ha usato il termine “criminalizzanti”) e che il Governo vuole piuttosto usare incentivi per i comportamenti virtuosi, come l’accettare carte di pagamento da parte dei negozi. Incentivi e non disincentivi come nuove tasse, nelle parole di Conte.

Due obiettivi dichiarati della manovra mandata in bozza a Bruxelles sono la sostenibilità ambientale e la lotta all’evasione fiscale.
Sulla sostenibilità ambientale, si tratta di cambiare il fisco in modo da recuperare il costo sociale di attività legittime ma dannose, come per esempio usare un grosso motore a combustione in un centro storico anziché il bus o la bici o un mezzo elettrico meglio se condiviso. Ne abbiamo parlato tante volte qui e abbiamo visto che quest’impostazione è generalmente ben vista anche dagli economisti.
Quello che invece ha poco senso è la contrapposizione di cui sopra: quella di una politica di sussidi a chi fa la cosa “giusta”, considerata alternativa a una che preveda disincentivi fiscali a chi non la fa.

Michele Governatori su una microcar elettrica a Roma
Michele Governatori
su una microcar elettrica a Roma
Certo la parola “incentivi” (o “sussidi”) è intrinsecamente più bella, perché accede a una sfera semantica positiva, rispetto alla parola “tassa”, che nella comunicazione politica mainstream è il male assoluto, e d’accordo che nell’era populista la percezione conta più della realtà. Ma per un Governo responsabile che miri alla stabilità del bilancio la differenza tra le due politiche è solo apparente. Infatti un nuovo incentivo viene pagato per forza con nuove tasse o meno servizi, mentre un disincentivo apre lo spazio a minori tasse o più servizi per gli altri. In entrambi i casi si spostano risorse: qualcuno ci guadagna e qualcuno ci perde. Anche nella presunta politica dei soli incentivi, chi non li riceve li paga, e quindi il disincentivo – anche se mai dichiarato – se lo becca eccome.

Passando alla lotta all’evasione, invece, mi sembra che la sensatezza di una politica degli incentivi si perda a prescindere di questi distinguo. Qui il comportamento da limitare (l’infedeltà fiscale) non è affatto legittimo: è un reato (grave e odioso, aggiungerei). Se offro incentivi fiscali a chi usa sistemi di pagamento tracciabili, difficilmente faccio cambiare abitudini agli evasori, perché per farlo dovrei dare loro incentivi superiori o perlomeno vicini al vantaggio dell’evasione, cosa che annullerebbe il recupero fiscale.
Io credo che il rispetto delle leggi, anche fiscali, sia una sfera in cui lo Stato legittimamente può, anzi in termini di equità deve, usare strumenti impositivi (benché ragionevoli e proporzionati) anziché segnali economici.
Il che non vuol dire inasprimento di pene che già esistano (perché quando le pene sono sproporzionate finiscono da un lato per non essere comminate nei fatti, dall’altro per dare un potere discrezionale enorme alla magistratura, che da noi ha l’obbligo solo teorico dell’azione penale). Piuttosto, imposizione di comportamenti che rendono l’evasione difficile, come l’uso di sistemi tracciabili di pagamento o del wistleblowing (cioè meccanismi di segnalazione da parte dei cittadini, usati in altri Paesi ma da noi generalmente considerati, un po’ mafiosamente, peccato).


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