lunedì 25 novembre 2019

Stato dell'infrastruttura elettrica in Italia (Puntata 418 in onda il 26/11/19)

Ogni tanto qui proviamo a fare il punto sullo stato dell’infrastruttura energetica in Italia e Europa, e direi che è tempo oggi di un piccolo sommario aggiornamento (ai link sotto si trovano altre puntate e approfondimenti sullo stesso tema).
Mulino a Meersburg

L’occasione è l’inaugurazione da parte di Terna, il gestore della rete elettrica italiana ad alta tensione, della prima sezione del cavo sottomarino che collega Pescara con il Montenegro con una capacità di 600 MW, quanto una centrale elettrica di dimensioni medio-grandi, e che interconnetterà un po’ l’Italia coi Balcani, un’area a sua volta in corso di integrazione e ammodernamento in termini di infrastrutture e mercati elettrici.
La capacità di questo elettrodotto sarà in parte a disposizione di qualunque operatore abbia interesse a usarla pagandone gli oneri di passaggio, come avviene di norma per la rete Terna, in parte di un consorzio di aziende che si erano in precedenza impegnate a finanziare l’infrastruttura in cambio di vantaggi immediati sul prezzo di approvvigionamento dell’energia, un meccanismo su cui non ho tempo di entrare in dettaglio e che fa parte di un set di misure di politica industriale attuate attraverso le risorse economiche del sistema delle bollette.

E il parco centrali elettriche italiane in che condizioni è? Complessivamente buone, soprattutto rispetto ai nostri vicini europei. Abbiamo una buona ridondanza di capacità (cui si aggiunge anche quella notevole e costantemente aumentata di interconnessione con l’estero, soprattutto Francia e Svizzera), un discreto mix di tecnologie in termini ecologici (il 40% dei consumi sono alimentati da rinnovabili e il gas è la principale fonte fossile, anche se Enel continua ad avere il carbone soprattutto di Civitavecchia come sua fonte più importante).

D’altra parte Terna ha lanciato allarmi su possibili carenze future di capacità di generazione elettrica flessibile (cioè quella pronta a ovviare alle interruzioni degli impianti rinnovabili non programmabili) e ottenuto un approvvigionamento a lungo termine di capacità, attualmente in corso. 

Sono però i gestori di rete francese e tedesco ad essere ben più sotto pressione. La Francia sta dismettendo il carbone e ha un parco nucleare in parte vetusto e teme per l’approvvigionamento nel prossimo inverno quando si accenderanno i riscaldamenti elettrici, mentre il nuovo impianto nucleare di Flamanville, in Normandia, ha subito un nuovo ritardo di tre anni. (Si direbbe che la maggior garanzia di sicurezza della tecnologia EPR risieda nell’impossibilità di metterla in funzione, almeno in Europa). La Germania, anch’essa, ha carbone e lignite da dismettere. Ed è interessante notare come sono i costi, non solo le decisioni politiche, che stanno mettendo il carbone fuori mercato, se è vera l’affermazione di Carbon Tracker sul fatto che il 79% delle centrali a carbone in UE stia perdendo soldi.
O meglio, i segnali di costo in realtà la politica climatica già li internalizzano, conseguenti anche al funzionamento del disincentivo alle emissioni dannose per il clima (ETS).



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