domenica 17 novembre 2019

Carbon tax e border tax europee (Puntata 417 in onda il 19/11/19)


Nel piano politico che la nuova presidente designata della Commissione Europea Ursula Von Der Leyen ha presentato al Parlamento Europeo, il primo punto è il “green new deal”, che include un rafforzamento degli obiettivi di decarbonizzazione dell’economia, l’estensione del sistema di disincentivo alle emissioni dannose per il clima (l’Emission Trading Scheme – ETS) anche a settori oggi esclusi come la navigazione in mare e i trasporti di terra, e una carbon border tax sui beni importati nell’UE che eviti una mera delocalizzazione fuori dall’UE delle attività economiche ad alta intensità di emissioni.
Ardvreck castle, Scozia

Già prima della presa di posizione di Von Der Leyen, un comitato di cittadini europei, in partnership con l’Associazione Luca Coscioni, Eumans e Science for Democracy (ringrazio Carlo Maresca per le informazioni), ha presentato una proposta di norma di iniziativa popolare per introdurre una carbon tax europea con valori progressivamente crescenti da 50 a 100 Euro a tonnellata di CO2 tra il 2020 e il 2025 e utilizzo dei proventi per investimenti ambientali e riduzione delle imposte sui redditi.
I valori proposti sono coerenti con uno studio recentissimo del Fondo Monetario Internazionale che valuta in circa 75 €/T un valore di carbon tax sui prodotti energetici coerente con il raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione dell’accordo di Parigi (sotto c’è il link a un utile articolo in materia di Beatrice Bonini dell’Osservatorio Conti Pubblici Italiani, segnalatomi da Paolo Costanzo che ringrazio).
La proposta di iniziativa popolare non scende pressoché in alcun dettaglio (saranno gli uffici della commissione a declinarla tecnicamente se si raggiungerà il milione di firme necessarie) e non specifica su quali beni la carbon tax si applicherebbe.

Un’applicazione semplice potrebbe essere sui prodotti energetici, un’altra su tutti i beni. Questa dicotomia è in realtà meno importante di quanto sembri, perché anche facendo pagare una carbon tax sui soli prodotti energetici questa si ripercuote su tutti gli altri per i quali energie fossili sono state necessarie, senza bisogno di inventarsi un meccanismo di valutazione dell’impronta ecologica di tutti i beni. Per questo probabilmente occuparsi dei soli prodotti energetici, come i combustibili, è la cosa più sensata.

La proposta di iniziativa popolare mira anche – condivisibilmente – a eliminare l’allocazione di quote gratuite nell’ambito del sistema ETS, e quindi sembra che l’intento dei proponenti non sia di sostituire, ma di complementare l’ETS, come è già avvenuto in Francia e UK. E, infine, anche qui è prevista una carbon border tax come quella annunciata da Von Der Leyen.

Di nuovo, il paniere dei beni si cui la border tax si applicherebbe è decisivo rispetto alla sua complessità. Se applicata su molte categorie di beni, richiederebbe un tracciamento globale e complesso della loro impronta di carbonio, oppure l’uso di tabelle predefinite le quali, però, finirebbero per aver esiti opposti agli obiettivi perché non riuscirebbero a discernere, per esempio, quanta dell’energia sottesa nella produzione di un bene sia rinnovabile.
Ma la sfida politica principale di una carbon border tax è probabilmente la sua accettabilità nell’ambito della disciplina delle tariffe al commercio che il mondo si è dato con il WTO. Esistono pareri autorevoli secondo cui, se la border tax è in linea con la carbon tax interna, essa debba intendersi accettabile in termini di commercio internazionale.
Approfondiremo qui a Derrick con altre puntate.


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