lunedì 14 dicembre 2020

PagoPA: il quasi monopolio per pagare i servizi pubblici (Puntate 455-6 e 465 in onda il 6-13/10 e 15/12 2020)

Queste puntate riprendono un mio articolo uscito sul Riformista del 3 ottobre 2020 che ha innescato una vastissima discussione soprattutto su Twitter, la quale mi ha aiutato ad avere un quadro più completo.

Istruzioni di pagamento AMA Roma
Le nuove istruzioni di pagamento TARI
sul sito di AMA Roma (5/10/2020)
Nell’era dei tassi di interesse bassi o addirittura negativi, le banche hanno dovuto trovare nuove entrate da commissioni a fronte di servizi che ci eravamo abituati ad avere gratuiti o quasi con l’aumento della concorrenza dell’ultima ventina d’anni e la diffusione delle banche online. Resiste in genere, per trasferimenti in Europa, la gratuità dei bonifici e degli addebiti diretti in conto corrente. Grazie a ciò, la rata del condominio o le bollette si possono pagare senza commissioni domiciliandole oppure inviando bonifici, quando il gestore del servizio lo permette. In altri casi un pagamento disintermediato è possibile presso le tesorerie dell’esercente. Per esempio, fino alla penultima bolletta, io potevo pagare la Tari (tariffa rifiuti) a Roma presso le agenzie della Banca Popolare di Sondrio senza commissioni.

Ma con l’ultimo avviso di pagamento il Comune di Roma mi comunica che d’ora in poi posso pagare la Tari solo nell’ambito del circuito “Pago PA”.

Per capirne di più mi collego al sito ufficiale omonimo e leggo che le amministrazioni pubbliche sono ora obbligate a utilizzare per i pagamenti i servizi del consorzio CBI (customer to business interaction), quello che appare nei portali delle banche come sistema “Cbill”. Che permette un’identificazione univoca delle comunicazioni di debito e un loro pagamento su varie piattaforme, dalle ricevitorie ai siti delle banche, spesso con una commissione alta: quasi 2 Euro nel mio caso (online tramite la mia banca). Unica eccezione ammessa a questo circuito dal comune di Roma è il vecchio boll
ettino postale anch’esso a pagamento (ben 1,5 € di commissione anche per importi bassi).

Il sito di “Pago PA” afferma che il sistema serve a far risparmiare alle pubbliche amministrazioni semplificando loro la riscossione, ma ignora, anche nelle “FAQ”, che lo fa a spese dei cittadini. Ignora anche, almeno fino al 4 ottobre 2020, data del mio ultimo controllo, che l’inizio dell’obbligo per le amministrazioni pubbliche di servirsi di questo apparato è stato rinviato al 2021 dalla legge “Semplificazioni” della scorsa estate.

Questo mi rende ancora più indigesto quel che scrive (almeno mentre preparo questo articolo) il sito dell’Ama (l’azienda dei rifiuti del Comune di Roma):

Per il pagamento della tassa sui rifiuti non sarà più possibile l’addebito diretto della bolletta (RID – SEPA). Gli utenti che utilizzano la domiciliazione bancaria sono invitati dunque a dare comunicazione di disdetta dell’addebito alla propria banca.

In altre parole: Ama rinuncia alla forma di pagamento di solito più ambita da qualunque esercente: l’addebito bancario diretto, quello che semplifica l’esazione e garantisce l’ingresso puntuale dei soldi. Mi fa notare su Twitter l’esperto Stefano Quintarelli, che ringrazio, che la legge, se è vero che istituirà l’obbligo di ricorso al consorzio CBI, non impedisce alle amministrazioni di accettare anche altri mezzi di pagamento. Quello del Comune di Roma, e di moltissime altre amministrazioni in Italia, sembra quindi un eccesso di zelo costoso per i cittadini. Mi sono stati però segnalati anche altri casi in cui le amministrazioni continuano ad ammettere pagamenti con mezzi diversi da quelli del quasi monopolio ex lege dei “PSP”, come li chiama il sito “Pago PA”: i prestatori di servizi di pagamento consorziati.

Al mio articolo ha poi fatto seguito uno di Enrico D’Elia su lavoce.info il 9 ottobre 2020 (link sotto). Articolo che non cita né il Riformista né Derrick ma che ne riprende gli argomenti e le conclusioni, aggiungendo informazioni interessanti. Ne riporto stralci:

Chi […] utilizzava l’addebito diretto a costo zero sul proprio conto corrente [oppure il pagamento diretto presso le tesorerie o gli uffici dell’amministrazione – aggiungo io] si è visto precludere questo canale e ora si trova a pagare, oltre al dovuto, anche gli oneri di riscossione che prima erano sostenuti implicitamente dalla PA. Come se non bastasse, la piattaforma PagoPa non prevede ancora un addebito automatico, che pure è contemplato dalla Psd2 [una direttiva europea sui pagamenti digitali], con il rischio di ritardi sanzionati da more e penali. Il nuovo sistema sembra dunque penalizzare i contribuenti più fedeli e puntuali e, tra questi, proprio quelli tenuti a pagamenti più modesti perché hanno reddito, consumi e patrimonio minori. L’aggravio complessivo per i contribuenti sarà di poco meno di 40 milioni di euro l’anno, pur considerando una commissione di appena un euro sulle due rate della Tari e ipotizzando che soltanto per un quarto dei 74,3 milioni di immobili censiti in Italia si facesse prima ricorso all’addebito in banca.

D’Elia scrive anche che c’è il rischio probabile che l’oligopolio degli esercenti aderenti al sistema PagoPa non abbia incentivo a ridurre le commissioni, e che quindi questa “tassa occulta” diventi sistematica. I casi fortunati di commissione nulla, il cui esempio noto sono i pagamenti di piccolo importo operati con SatisPay, che in effetti è uno degli operatori di PagoPA, potrebbero dunque rimanere eccezioni, se non finire per adeguarsi alle commissioni più comuni che per pagamenti di poche decine di Euro possono anche raggiungere il 4-5% dell’importo.

Nell’ipotesi ottimistica che nessun pagamento vada a vuoto dopo la cancellazione dei flussi di addebito bancario diretto, l’efficienza per le pubbliche amministrazioni c’è, perché il sistema permette loro standardizzazione e semplificazione. Ma è scorretto che questa efficienza avvenga a spese dei cittadini.

Questo sostiene tra l’altro un’interrogazione già presentata in materia dalla Senatrice Emma Bonino di Più Europa.


Aggiornamemto del 14/12/2020

 A inizio novembre 2020 l’antitrust è uscita con una raccomandazione (link sotto) che ricostruisce la normativa (piuttosto contraddittoria con varie modifiche e rinvii che si sono susseguiti) e nota come sia importante che Pago PA non diventi l’unico modo per pagare, soprattutto non impedisca l’addebito diretto gratuito in conto corrente per chi lo desidera.

Recentemente ho ricevuto la mia seconda bolletta della tassa dei rifiuti di Roma da quando c’è pago PA, e l’azienda mi dice che posso o usare questo circuito online o andare in posta o in banca, quindi sempre con commissioni, almeno con le mie banche, per non parlare della Posta.

Ho però avuto un barlume di speranza circa la nuova app Io, gestita anch’essa da Pago PA. La app è diventata famosa per essere andata in tilt per più giorni all’inizio del cash back, ma non è per questo che mi interessa parlarne. Mi interessa perché la app permette comodamente di inquadrare il codice di una bolletta della pubblica amministrazione e pagarla subito online. Provo, e vedo che la app riconosce subito la mia fattura della tassa rifiuti. Mi appresto al pagamento speranzoso e invece, aimè, spunta una commissione di 1 euro.

Quindi si conferma almeno nel mio caso quello che già in passato avevo denunciato: pago PA probabilmente semplifica la vita alla PA, ma lo fa a spese degli utenti di questi servizi pubblici rispetto alla situazione precedente. E AMA Roma al momento non ha fatto nessuna marcia indietro riguardo alla chiusura ai pagamenti con bonifico o con addebito automatico, che invece prima permetteva (e che erano gratuiti).

Mentre scrivo questa puntata tutti fanno a gara a mettere online foto delle folle nei negozi in città dopo l’allentamento prenatalizio delle restrizioni anti-covid. In effetti allentare le restrizioni subito prima di rimetterle, come già preannunciato, sembra un modo quasi scientifico per creare assembramenti. Ma lo stesso cashback, cioè la distribuzione di denaro a chi paga con carte di pagamento, è disegnato per aumentare il contatto sociale, visto che esclude i negozi online. Con buona pace non solo di Amazon, che anche se vende online dà lavoro a gente fisica, ma di tante startup che hanno sviluppato piattaforme di commercio online per i servizi più vari, le quali non meritano un disincentivo del genere. Molte delle quali peraltro ricevono incentivi alla digitalizzazione o imprenditorialità per altre vie (la solita storia dei sussidi a tutto e al suo contrario).

Per ora, dunque, la protezione dei business esistenti dalla minaccia dei nuovi sembra premere al Governo più della riduzione del contatto sociale.


Link e riferimenti normativi:


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